Fame e conflitti si alimentano l’un l’altro, in un circolo vizioso che va spezzato al più presto. L’Indice globale della fame 2021 è un appello ad agire.
Per decenni i livelli di denutrizione nel mondo sono scesi lentamente ma con costanza, facendo sperare che il secondo Obiettivo di sviluppo sostenibile sancito dall’Onu – fame zero entro il 2030 – fosse difficile, sì, ma raggiungibile. Questi progressi, però, rischiano di essere polverizzati dall’effetto combinato dei conflitti armati, della pandemia da coronavirus e dei cambiamenti climatici. Tant’è che l’Indice globale della fame 2021 redatto dal Cesvi segna un peggioramento, il primo nell’arco degli ultimi anni. Nel 2020 155 milioni di persone si sono ritrovate in uno stato di insicurezza alimentare acuta, 20 milioni in più rispetto all’anno precedente.
Cos’è l’Indice globale della fame
Il Global hunger index (Ghi) è uno dei report sulla fame nel mondo più autorevoli a livello internazionale. A redigerlo è il network europeo Alliance 2015, formato da otto organizzazioni umanitarie tra cui Cesvi, curatrice dell’edizione italiana. Quest’anno lo studio ha passato in rassegna 135 paesi. Per 116 di loro è stato possibile calcolare il punteggio di Ghi attingendo ai dati diffusi dalle agenzie Onu, dalla Banca mondiale e dalle indagini demografiche e sanitarie. L’indice globale della fame è la sintesi di quattro indicatori: denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità infantile. È espresso su una scala da 0 a 100, dove un valore inferiore a 10 significa che il livello di fame è basso, da 20 in su diventa “grave” e, se superiore a 50, è “estremamente allarmante”.
Dove si soffre la fame nel mondo
Su scala globale, il punteggio di Ghi è nettamente diminuito negli ultimi vent’anni: nel 2000 era pari a 28, mentre nel 2021 si è fermato a 17,9. Basta guardare con più attenzione la curva, però, per notare che questa discesa sta rallentando. Il calo è stato di ben 4,7 punti in sei anni, dal 2006 al 2012, ma di appena 2,5 punti dal 2012 in poi.
L’Africa subsahariana è tra le zone del mondo in cui la fame è ufficialmente “grave”, con un punteggio complessivo di 27,1. Il tasso di denutrizione è passato dal 19,6 per cento del biennio 2014-2016 al 21,8 per cento del biennio 2018-2020 e circa un bambino su tre è denutrito. L’Africa, nel suo insieme, è l’unico Continente in cui si prevede che il numero di persone denutrite aumenti nel corso del decennio, invece di diminuire. Il picco più grave in assoluto si raggiunge in Somalia, a quota 50,8 (“estremamente allarmante”), ma il livello è “allarmante” anche in Ciad, Madagascar, Repubblica Centroafricana, Repubblica Democratica del Congo, Burundi, Comore e Sud Sudan.
Le cose non vanno meglio in Asia meridionale con un Ghi di 26,1, dovuto soprattutto alla malnutrizione infantile.
«In 9 Paesi (in arancione) la fame è allarmante, tra i quali Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, il Sud Sudan, lo Yemen e la Siria. La fame è stata identificata invece come grave in 37 Paesi», Valeria Emmi, Cesvi.#ghi2021@Radio1Raipic.twitter.com/xpIjX8WOZ5
Passi avanti e passi indietro nella lotta contro la fame
Le storie di successo, per fortuna, esistono. Il Bangladesh per esempio nel 2012 versava in una situazione “grave” con un punteggio di 28,6 e ora è a un livello “moderato” (19,1). Il merito spetta soprattutto alla vasta azione di contrasto alla malnutrizione intrapresa dal governo, determinato a conquistare lo status di paese sviluppato. Anche la Mongolia ha sforbiciato del 50 per cento il suo punteggio di Ghi nell’arco degli ultimi nove anni, anche se ultimamente la pandemia la sta mettendo a dura prova. Accade l’opposto in Ecuador, Lesotho, Madagascar, Malesia, Oman, Repubblica Centrafricana, Repubblica democratica del Congo, Sudafrica, Venezuela e Yemen: paesi con livelli “moderati”, “gravi” o “allarmanti” che vedono un aumento della fame rispetto al 2012.
«I conflitti continuano a essere una delle principali cause della fame. Più della metà delle persone denutrite vivono in Paesi colpiti da conflitti, violenza o fragilità», risponde Valeria Emmi, Cesvi alla domanda di Francesca Romana Elisei, @tg2rai.#ghi2021#famedicambiamentipic.twitter.com/e4qWYcyjAu
Pandemia, guerre e crisi climatica affamano il mondo
Tra i dieci paesi con livelli di fame “allarmanti” o “estremamente allarmanti”, otto sono teatri di guerra: di questo gruppo fanno parte Yemen, Somalia, Siria, Sud Sudan. “È urgente spezzare il circolo vizioso con cui fame e conflitto si alimentano l’un l’altro. Senza pace difficilmente potremo eliminare la fame nel mondo. Senza sicurezza alimentare non potrà esserci pace duratura”, ha commentato la presidente di Fondazione Cesvi Gloria Zavatta, durante la presentazione dell’Indice globale della fame 2021 che si è tenuta il 14 ottobre. “Allo stesso modo è necessario intervenire sulle conseguenze drammatiche della pandemia e sugli effetti devastanti dei cambiamenti climatici”.
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