Il problema della fame nel mondo, nel suo complesso, è migliorato rispetto al 2000. Ma in undici nazioni i dati risultano ancora “allarmanti” e in 40 paesi la situazione è considerata “grave”. Senza dimenticare che le conseguenze socio-economiche dell’emergenza Covid-19 potrebbero peggiorare ulteriormente la situazione. Andando ad aggiungersi all’impatto dei cambiamenti climatici sulla produzione, sulla disponibilità e sulla qualità del cibo. È questa la fotografia che emerge dall’ultimo rapporto sull’Indice globale della fame (Global Hunger index, Ghi) realizzato da Welthungerhilfe e Concern Worldwide e curato da Cesvi per l’edizione italiana.
“Servono azioni a lungo termine e soluzioni politiche”
Il Ghi rappresenta, spiegano gli autori del documento, “uno strumento sviluppato per misurare e monitorare complessivamente la fame a livello mondiale, nazionale e regionale. Ciò sulla base dell’analisi di quattro indicatori: denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni. L’Indice 2020 si concentra sulla fame in relazione alla salute umana, animale e ambientale e lo sviluppo di relazioni commerciali eque. Mostrando come le attuali sfide siano interconnesse e richiedano un’azione a lungo termine e soluzioni politiche”.
L’Indice globale della fame 2020 presenta un livello (punteggio di 18,2) in miglioramento rispetto al 2000. “Tuttavia – precisano Welthungerhilfe, Concern Worldwide e Cesvi – in molte zone il progresso è troppo lento e la fame rimane acuta. La percentuale di persone denutrite nel mondo è infatti stabile, ma il numero assoluto è in aumento. Nel 2019 il dato era all’8,9%, invariato rispetto al 2018, ma nel 2019 la percentuale corrispondeva a quasi 690 milioni di persone, ovvero 10 milioni in più rispetto al 2018 e quasi 60 milioni in più rispetto al 2014”. A ciò si aggiunge, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, il fatto che 144 milioni di bambini soffrono di arresto della crescita, 47 milioni di deperimento e 5,3 milioni sono morti prima dei cinque anni nel 2018, in molti casi proprio a causa della malnutrizione.
La fame preoccupa soprattutto in Asia meridionale e Africa sub-sahariana
Secondo l’Indice globale della fame, “sono l’Asia meridionale e l’Africa sub-sahariana le regioni con i livelli di fame più elevata, con punteggi rispettivamente di 27,8 e 26. In entrambe le aree la fame è di livello grave, a causa dell’elevata percentuale di persone denutrite (rispettivamente 230 e 255 milioni) e dell’alto tasso di arresto della crescita infantile (un bambino su tre)”. Inoltre, “l’Africa a sud del Sahara presenta il più alto tasso di mortalità infantile al mondo, mentre l’Asia meridionale ha il più alto tasso mondiale di deperimento”. In generale, i casi più gravi sono quelli di Ciad, Timor Est e Madagascar, ma la fame è considerata allarmante anche in Burundi, Comore, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Siria, Somalia, Sud Sudan e Yemen. E grave in altre nove nazioni, tra le quali figurano Haiti, Mozambico, Myanmar e Zimbabwe.
“L’Indice globale della fame 2020 – sottolinea la presidente di Cesvi, Gloria Zavatta – mostra che la lotta alla fame globale deve essere sempre di più un impegno comune e una sfida sempre più urgente, resa ancora più complessa dalla pandemia e dalle sempre più drammatiche conseguenze dei cambiamenti climatici”. Ciò che preoccupa di più è infatti che i punteggi dell’Indice, basandosi su dati antecedenti alla crisi sanitaria, non riflettono ancora l’impatto del coronavirus sulla fame e sulla malnutrizione. Secondo le previsioni, il coronavirus potrebbero infatti raddoppiare il numero di persone colpite da crisi alimentari acute.
A rischio il secondo Obiettivo di sviluppo sostenibile: azzerare la fame entro il 2030
Di fronte a tale situazione, secondo Zavatta “le istituzioni multilaterali, i governi, le comunità e i singoli individui devono immediatamente realizzare una serie di interventi atti a garantire la continuità della disponibilità alimentare, la produzione e la distribuzione di cibo. È importante che governi, donatori e Ong lavorino a stretto contatto con organizzazioni che godono della fiducia delle comunità e delle autorità per assicurare misure di protezione sociale per i più vulnerabili. I paesi ad alto reddito devono aiutare quelli più poveri, perché solo con il loro supporto potranno uscire dall’insicurezza alimentare”.
Anche perché l’edizione 2020 del Ghi indica che il secondo Obiettivo di sviluppo sostenibile, con il quale si immagina di eliminare il problema della fame entro il 2030, rischia di non essere centrato: “Al ritmo attuale, 37 paesi non riusciranno nemmeno a raggiungere un livello di fame basso”.
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