Gli Shuar sono una tribù indigena dell’Amazzonia dell’Ecuador e in parte del Perù. A causa della presenza di rame nei loro territori, la loro cultura e le loro foreste sono a rischio.
“Noi Shuar siamo un popolo guerriero, abitiamo la foresta che scende dai pendii della Cordillera del Condor ecuadoriana da migliaia di anni e la difendiamo strenuamente: neppure gli spagnoli sono mai riusciti a mettere piede qui dentro. Conosciamo bene il nostro territorio, i suoi fiumi, le sue piante e gli spiriti che lo abitano”, ci racconta Fanny, leader indigena del popolo Shuar Arutam, nella sua casa circondata di erbe medicinali e piante da frutto dove al mattino brucia foglie di aglio selvatico per proteggersi dai malefìci.
Conosciamo bene il nostro territorio, i suoi fiumi, le sue piante e gli spiriti che lo abitano
Fanny
Il colosso canadese e la “nuova alleanza”
“Per noi anziani Shuar, la foresta e le piante sono la fonte di vita principale, la nostra medicina e il nostro cibo. Purtroppo per i giovani non è più così: hanno altre ambizioni, aspirano al modello occidentale, e ritengono che l’unico modo per raggiungerlo sia attraverso l’impresa”, continua Fanny. La presenza di giacimenti di rame nel territorio Shuar ha infatti condannato intere comunità a scontrarsi con i rischi dell’attività mineraria e, quindi, le pressioni degli organi governativi e delle imprese transnazionali.
In particolare, Fanny si riferisce alla Solaris Resources, un’impresa canadese gestita dal gruppo statunitense Augusta Group e quotata nei mercati azionari di Toronto e New York, che punta ad aprire una miniera di rame nel cuore del territorio Shuar. Il progetto, che prende il nome di “Warintza”, potrebbe vantare una capacità estrattiva senza eguali sul territorio ecuadoriano con qualità di rame “tra le migliori al mondo”, come dichiara l’amministratore delegato di Solaris Daniel Earle durante un’intervista.
Il progetto Warintza è nato nel 2003 in seno alla Solaris Copper Inc., che fin dai suoi primi tentativi di insediamento sul territorio indigeno si è scontrata con un forte dissenso da parte delle comunità. Nel 2006, gli elicotteri dell’impresa furono letteralmente cacciati dal territorio, e l’allora amministratore delegato David Lowell fu costretto a firmare un accordo coi leader Shuar giurando di non ripresentarsi mai più.
— Solaris Resources Inc. (@SolarisResource) July 9, 2024
Così, ha avuto inizio la vendita del progetto e delle concessioni Solaris Resources, operativa sul territorio attraverso la sua filiale Lowell Minerals Exploration Ecuador S.A, che per circa tredici anni ha mantenuto il progetto inattivo a causa dell’opposizione delle comunità. Nel 2019, l’impresa è tornata in scena con una nuova offerta per il popolo Shuar: un’alleanza strategica.
“L’alleanza strategica sembrava l’inizio di una nuova era, in cui le decisioni sarebbero state prese dalle comunità e i benefici ripartiti in maniera equa e diluita nel tempo, ma alla fine si è rivelata per quello che era davvero: l’ennesimo tentativo di dividere e raggirare le comunità, approfittando delle nostre condizioni di necessità economica e della scarsa accessibilità ai servizi”, afferma Jaime Palomino, presidente del Psha (Pueblo Shuar Arutam), durante un’intervista nel suo ufficio di Sucuà. Infatti, nel modello sono state scelte come “beneficiarie” solamente due comunità, Yawi e Warints, le più vicine al giacimento, violando qualsiasi gerarchia interna al popolo Shuar, dove chi prende decisioni politiche e legate al territorio sono la Fisch (Federazione Interprovinciale delle Comunità Shuar), al vertice, e l’organizzazione Psha, seconda in ordine di importanza.
Questo ha generato forti conflitti tra le comunità limitrofe, che sono state condannate a pagare le conseguenze del progetto minerario senza nemmeno ottenere benefici economici. Tra queste la comunità di Maikiuants non ha esitato a schierarsi apertamente contro il progetto e ripudiare gli accordi presi dalle comunità Yawi e Warints, tanto che nel 2021 la “guardia indigena” guidata dalle donne di Maikiuants ha bloccato la strada di accesso all’area del progetto incendiando alberi e copertoni e negando ogni forma di dialogo con l’impresa.
“Sono misure forti, ma non avevamo scelta, era l’unico modo per far capire ai nostri vicini e all’impresa che Maikiuants era ed è fortemente anti-miniera, e che continuiamo ad essere disposte a tutto pur di mantenere il nostro territorio integro. Quelli di Yawi e Warintz hanno ottenuto macchine e soldi da spendere in alcol, soprattutto i più giovani, ma questo non è l’essere Shuar che intendiamo noi, essere Shuar per noi significa resistere all’invasore”, racconta Fanny sorseggiando della chicha seduta su un’amaca.
La febbre del rame
Ma perché tanto interesse verso il rame? Mossi da una pressante necessità di decarbonizzare le fonti di energia per far fronte alla crisi climatica, molti governi del nord globale, e non solo, hanno messo in cima alla loro agenda politica la transizione energetica. Nel settore della mobilità, questo si traduce nell’utilizzo crescente di veicoli elettrici, nel settore minerario in una nuova era estrattivista giustificata da un bollino “verde”. Infatti, per far fronte alla crescente domanda globale di tecnologie per il consumo energetico e la mobilità “green”, è necessario un aumento intensivo dell’attività estrattiva di metalli e minerali strategici come il litio, il nichel, il cobalto e il rame. Quest’ultimo in particolare gioca un ruolo fondamentale per alcune sue caratteristiche come la duttilità, la conduttività e l’efficienza, che lo rendono indispensabile per le cablature dei pannelli solari, le turbine eoliche, le batterie e i veicoli elettrici.
Questa pressante necessità si traduce nell’aumento degli investimenti in progetti minerari a livello globale. Negli ultimi anni, il progetto Warintza della Solaris Resources ha attirato l’interesse di diversi azionisti, in particolare da Francia, Svizzera, Cina e Stati Uniti, i cui investimenti sono necessari per portare avanti la fase di esplorazione avanzata, da poco cominciata, e successivamente quella di estrazione.
Possibili danni ambientali e sociali
“Non sappiamo nel dettaglio come, ma siamo certi che l’apertura della miniera potrebbe causare dei danni irreparabili alla nostra salute e a quella dell’ecosistema, contaminare i fiumi e le cascate, le nostre chakra (orti) e i nostri animali”, ci dice il leader indigeno Don Pinchu durante un’intervista nella sede del Psha, nella comunità Maikiuants. Non ha tutti i torti: miniere come quella di Warintza implicano inevitabilmente un alto tasso di deforestazione, per gli scavi, gli accampamenti e le strade necessarie per il trasporto dei prodotti. Oltre alla contaminazione dell’aria e dell’acqua.
In Cile, ad esempio, i villaggi vicini alla miniera di rame di Chuquicamata hanno un’ incidenza di cancro elevata a causa del particolato di mercurio e arsenico emesso dall’industria. Per non parlare dei rischi potenziali di cedimento dei bacini di contenimento dei rifiuti tossici, che spesso pendono come una ghigliottina sulla testa delle comunità limitrofe. Basti pensare al crollo delle due dighe brasiliane di Mariana nel 2015 e Brumadinho nel 2019 che hanno causato la morte di centinaia di persone per porsi serie questioni sul progetto di costruire tale infrastruttura nel cuore di un hot-spot di biodiversità come la Cordillera del Condor. Inoltre, ad oggi non è stato presentato alcuno studio da parte di Solaris sull’adeguatezza del tipo di diga proposta nel sito di interesse.
A livello sociale, come menzionava Fanny durante l’intervista, le prime “vittime” del progetto minerario sono proprio i giovani. La divisione sociale che l’impresa vuole generare, e di fatto sta generando, non è solo inter e intra comunitaria, ma anche intergenerazionale. Le ambizioni e i desideri delle nuove generazioni, condizionate inevitabilmente dall’accesso alle reti sociali e quindi dal modello di vita occidentale, mirano ad un guadagno economico che in quel contesto geografico solo un’impresa multinazionale può garantire.
In questo modo si genera un distacco dalla terra, dal territorio e dalle radici linguistiche e culturali della tradizione Shuar, che si traduce in prospettive divergenti da quelle delle generazioni anteriori per il futuro delle comunità. “I giovani Shuar devono prendere coscienza che sul lungo termine Solaris porterà solo povertà e miseria, finché abbiamo i fiumi dove pescare e la foresta che ci dà i suoi frutti staremo bene, meglio di quanto potremmo stare in città. Non abbiamo i lussi e i servizi che hanno a Quito ma abbiamo aria pulita, terreno fertile e viviamo in tranquillità, è questo che molti giovani non capiscono e per ambizione si lasciano comprare dall’impresa”, spiega Freddy, uno dei pochi giovani ancora legati al territorio ed ai suoi valori e non sedotti dal modello di vita occidentale.
La resistenza Shuar: dal locale all’internazionale
Il 21 maggio 2024, il Gruppo Augusta, azionista maggioritario e società controllante di Solaris, ha annunciato l’accordo per la vendita di 35 milioni di dollari in titoli azionari a diversi istituti finanziari canadesi finalizzata all’espansione del progetto Warintza, all’acquisto di ulteriori concessioni minerarie e all’avvio di ulteriori perforazioni.
L’accordo è in attesa di approvazione dalle autorità competenti e dai mercati azionari di New York e Toronto, fase che potrebbe preoccupare il consiglio di amministrazione di Solaris considerata la recente vittoria delle popolazioni indigene riguardo all’accordo da 95 milioni di dollari per l’acquisto del 15 per cento delle azioni da parte del il Zijin Mining Group, leader cinese nel settore minerario.
Infatti, l’offerta del colosso cinese è stata bloccata dalla British Columbia Securities Commission (Bcsc), ente di controllo delle transazioni sul mercato finanziario canadese, dopo una denuncia da parte dell’opposizione Shuar presentata a marzo 2024. In questa, i leader Shuar accusavano l’azienda di mancata trasparenza riguardo alla consulta delle comunità e di aver falsamente dichiarato il consenso maggioritario del popolo Shuar, come confermato dall’ Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) delle Nazioni Unite.
Victory! The International Labor Organization has concluded that the Shuar Arutam peoples in Ecuador’s Amazon had not been consulted over two copper mining projects on their territory, which violates their rights as guaranteed in the ILO Convention 169.https://t.co/nbZbSSYdFO
Inoltre, grazie a queste forti pressioni, il 17 luglio 2024 le azioni di Solaris hanno raggiunto il loro minimo storico, ledendo così l’immagine dell’impresa e dando speranza ai leader Shuar.
“Gli ultimi cinque anni di resistenza del popolo Shuar insegnano al mondo che una transizione energetica su scala globale non può e non deve pesare sulle spalle dei popoli indigeni e contadini del sud del mondo”, spiega Nathaly Yepez, avvocata di Amazon Watch e alleata del Psha, al concludersi dell’intervista nel suo ufficio di Quito. “E ci insegnano che il nord del mondo non può continuare ad anteporre l’approvvigionamento di materie prime alla vita degli esseri umani che abitano della foresta amazzonica, indipendentemente dall’impiego che viene fatto di tali materiali”.
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