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Foresta amazzonica, luglio 1993: un gruppo di indios Yanomami – un popolo di diecimila persone – fu massacrato da una ventina di cercatori d’oro.
Foresta amazzonica, luglio 1993: un gruppo di indios Yanomami – un
popolo di diecimila persone – fu massacrato da una ventina di
garimpeiros, di cercatori d’oro. La ricostruzione degli
avvenimenti e del processo per genocidio che ne è seguito
hanno posto il problema della loro sopravvivenza nella terra dove
hanno sempre vissuto, tra il Brasile e il Venezuela.
Intorno alla regione sono state costruite tre caserme militari; i
garimpeiros (in dieci anni, più di quarantamila) si
sono riversati nella foresta per scavare cave e miniere; i
fazendeiros abbattono acri di alberi per farne pascoli e
sterili terre da foraggio. Il contatto con l’uomo bianco ha portato
tubercolosi e malaria. E paradossalmente una misura a protezione
dell’ambiente, il progetto del governo Lula per due parchi
nazionali sul Monte Roraima e Pico Neblina, potrebbe privarli di
una fonte di sostentamento, dei loro territori di caccia e di
coltivazione…
Survival International, l’organizzazione di sostegno ai popoli
indigeni di tutto il mondo, ha portato in Italia un gruppo di
indios Yanomami, che dal 20 al 23 maggio lanciano a noi tutti un
appello per la loro salvezza, per la loro identità. Per
reagire all’accerchiamento, alcuni indios si sono fatti
“professori”: hanno imparato il portoghese, e lo insegnano, con
rudimenti di matematica e geometria, ai piccoli Yanomami. Decidono
cioè di comunicare il loro punto di vista in prima persona,
senza più interpreti o intermediari. Per la prima volta,
mettono su carta il loro sapere conservando le immagini e i suoni
della lingua madre, gli unici che possano dar voce al loro mondo.
Contemporaneamente, imparano il portoghese per raccontare al mondo
chi sono e che cosa pensano e interagire alla pari con il resto del
mondo.
Lo fanno per difendere la loro lingua. Il loro sapere. E purtroppo,
secondo le stesse parole dello sciamano Davi Kopenawa Yanomami, non
per stabilire un dialogo, ma “per non farsi ingannare dall’uomo
bianco”. Per loro, il portoghese (la lingua parlata in Brasile),
è la lingua del nemico.
Eppure durante gli incontri con la stampa e con i giovani italiani
all¹Università Cattolica di Milano, Davi Kopenawa
Yanomami ha lanciato un messaggio d’amicizia. Con il figlio Dario,
Yoseca Yanomami e i rappresentanti di Survival International ha
dichiarato: “sono qui per parlare agli italiani, in particolare ai
giovani, perché credo che sia importante stringere
un¹amicizia tra yanomami e non yanomami. I popoli indigeni e i
bianchi devono diventare amici perché è importante
lottare insieme per i nostri diritti e per vivere in pace; dobbiamo
lavorare insieme e lottare insieme. I bianchi devono guardare al
nostro pianeta insieme agli sciamani yanomami, perché gli
sciamani stanno sostenendo la Terra affinché non crolli su
di noi”. Secondo gli yanomami, la “O” di yan-o-mami è il
mondo, che Mami ha dato al popolo “yan” per custodirlo.
Perciò, come per tutti i popoli indigeni, l’attaccamento
degli Yanomami alla loro terra è profondo, spirituale ed
essenziale per la vita. È Urihi: “Urihi –
spiega lo sciamano – per noi significa il nostro posto, il nostro
passato, la nostra terra. Urihi non è in vendita.
Urihi non ha prezzo. Gli yanomami si prendevano cura di
questa terra molto tempo prima che arrivasse qualsiasi politico con
carte e documenti. Noi non abbiamo carta. La nostra “carta” sono i
nostri pensieri, il nostro sapere.”
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