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Indonesia, dove i bambini si ammalano per raccogliere tabacco
Minori sfruttati da aziende locali e multinazionali del tabacco, con il beneplacito del governo. La denuncia di Human rights watch.
“Vado nei campi da quando ero piccola. I miei genitori seminano il tabacco. Solitamente aiuto loro e qualche volta i miei vicini”. A parlare con voce sottile è Ayu, una ragazzina di 13 anni di un villaggio vicino a Garut, nella provincia indonesiana di Giava occidentale. Ayu ha quattro fratelli, due più grandi e due più piccoli. Tutti lavorano nelle piantagioni di tabacco. Ogni anno, al raccolto, Ayu sta male: “Vomito sempre e sono stanca, quando taglio le foglie e le trasporto”.
Questa è solamente una delle 227 testimonianze raccolte in Indonesia da Human rights watch (Hrw) per stilare il rapporto The harvest is in my blood sui pericoli per la salute dei piccoli lavoratori del tabacco. Migliaia di bambini e adolescenti, dagli 8 ai 17 anni, sono impiegati nella filiera che rifornisce le aziende indonesiane e le multinazionali. Su 132 bambini intervistati, la metà – tra cui Ayu – soffre di nausea, vomito, mal di testa o vertigini. Riporta cioè i sintomi dell’intossicazione acuta da nicotina assorbita attraverso la pelle.
Bambini avvelenati
“Le aziende del tabacco stanno facendo profitti sulle spalle dei bambini indonesiani e a scapito della loro salute”, dice Margaret Wurth, co-autrice del rapporto di Hrw. I minori sono esposti anche ad altri pericoli: uso di sostanze chimiche tossiche e strumenti taglienti, carichi pesanti, caldo estremo. Anche se gli effetti a lungo termine di questo lavoro in età infantile non sono ancora stati studiati, nel documento dell’organizzazione statunitense si legge che – secondo le ricerche disponibili – l’esposizione alla nicotina prima dei 18 anni può compromettere lo sviluppo cerebrale. Pesticidi e fertilizzanti, inoltre, possono provocare problemi respiratori e riproduttivi, cancro, depressione, deficit neurologici.
“Nel momento della semina, non ho usato la maschera e la puzza era così forte che ho cominciato a vomitare”, racconta a Hrw un quindicenne della Giava Orientale. L’Indonesia è il quinto produttore al mondo di tabacco, dopo Cina, Brasile, India e Stati Uniti. Si produce soprattutto nelle province di Giava Centrale, Giava Orientale e Nusa Tenggara Occidentale. Tra le maggiori compagnie manifatturiere, tre sono indonesiane e altre due di proprietà – rispettivamente – della British American Tobacco e della Philip Morris International. Molte altre, però, locali e multinazionali, comprano il tabacco indonesiano. Secondo il diritto internazionale i minori di 18 anni non devono svolgere lavori pericolosi, ma l’International labour organization (Ilo) stima che in Indonesia oltre un milione e mezzo di ragazzini, fra i 10 e i 17 anni, lavori nell’agricoltura.
Piccoli raccoglitori anche negli Stati Uniti
Nel cosiddetto Nord del mondo, sono gli Stati Uniti a utilizzare i bambini nei campi di tabacco. Si tratta, soprattutto, di ragazzi in media fra gli 11 e i 12 anni, figli di immigrati ispanici. Vivono presso le piantagioni e danno un supporto ai famigliari nella stagione estiva. È stata sempre Hrw a denunciare questo tipo di lavoro minorile negli Usa in un precedente rapporto del 2014 e in un aggiornamento dell’anno scorso.
L’ipocrisia delle istituzioni è spudorata: “Sebbene la legge statunitense proibisca la vendita di sigarette ai bambini, questi ultimi continuano a lavorare legalmente nelle aziende agricole del tabacco”, si legge sul sito di Hrw. Alcune aziende hanno fissato a 16 anni l’età minima d’impiego nei campi di tabacco, ma non basta. Lo sfruttamento minorile fino al compimento dei 18 anni andrebbe proibito con una legge federale. Dario, 16 anni, ha raccontato all’organizzazione umanitaria: “La più difficile tra tutte le coltivazioni nelle quali abbiamo lavorato è quella di tabacco. Ti sfinisce, ti toglie energie, ti fa ammalare, ma il giorno dopo devi comunque tornare a lavorare”.
L’indifferenza dei governi
Anche Giacarta vieta la vendita di prodotti realizzati col tabacco ai minorenni, ma conta ogni anno 4 milioni di nuovi piccoli fumatori fra i 10 e i 14 anni. Nell’arcipelago asiatico altri 239mila bambini inizierebbero a fumare prima dei 10 anni, come raccontato nel fotoreportage Marlboro Boys della pluri-premiata Michelle Siu, canadese nata da migranti cinesi. I bambini indonesiani – come quelli statunitensi – sono vittime nascoste. Se aziende locali e multinazionali declinano quasi ogni responsabilità, i governi restano a guardare. Secondo Hrw, oltre all’adesione e all’applicazione del diritto internazionale, a nuove leggi statali e regionali, servirebbero campagne estese di educazione che rendano consapevoli i genitori dei rischi cui i loro figli vanno incontro. I contadini indonesiani non conoscono le conseguenze del mix di nicotina e sostanze chimiche sulla salute dei minori, e non sono addestrati alla sicurezza. Come in altre aree povere, chiedono loro stessi ai figli di lasciare la scuola per aiutarli nel sostentamento della famiglia.
Ma anche negli Stati Uniti, gli immigrati ispanici spinti dalla necessità lavorano senza tutele. In North Carolina, Kentucky, Tennessee e Virginia, maggiori Stati produttori di tabacco, i bambini parlano di paghe inadeguate, di molte ore di lavoro senza pause, di esposizione continua al sole e al caldo torrido e di equipaggiamenti protettivi improvvisati, come buste di plastica.
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