Le barriere coralline nei fondali di un’isola indonesiana sono state ripristinate. Ma gli scienziati avvertono: non si tratta di una soluzione universale.
Gli impatti delle attività umane sulla barriere coralline sono ormai da tempo devastanti. Non soltanto poiché il riscaldamento globale, incidendo anche sulla temperatura degli oceani, mette a rischio tali ecosistemi estremamente ricchi di biodiversità e fondamentali per gli equilibri complessivi della natura. In alcuni casi a pesare è stata anche la mancanza di regole per la pesca, non di rado effettuata a colpi di esplosivi, utilizzati dai pescatori per potersi poi soltanto limitare a raccogliere gli animali in superficie.
“In soli quattro anni i coralli restaurati crescono come quelli sani”
Una combinazione di fattori che – nel caso dell’area di Palau Bontosua, nella porzione sud occidentale dell’isola indonesiana di Sulawesi – ha portato i coralli a risultare “completamente distrutti”, ha spiegato al quotidiano svizzero Le Temps Ines Lange, ricercatrice presso l’università di Exeter, in Inghilterra, e principale autrice di uno studio pubblicato dalla rivista scientifica Current Biology: “Malgrado l’abbondanza di larve in mare, i coralli non si sono mai ricostituiti. I pesci non vi trovano riparo e i loro piccoli sono irrimediabilmente uccisi dallo spostamento dei frammenti di coralli morti portati dal movimento dell’acqua”.
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In un articolo pubblicato su The Conversation, la stessa Lange spiega però che a, “in soli quattro anni le barriere sono state ripristinate grazie ad un programma specifico, e crescono allo stesso ritmo di quelle sane vicine”.
I limiti della tecnica utilizzata in Indonesia
Concretamente, per consentire ai coralli di riformarsi, vengono installate delle strutture esagonali in acciaio ricoperte di sabbia, che stabilizzano i detriti e forniscono un habitat per la fauna della barriera. “Nel giro di un anno, sono sorte le prime colonie. In due si sono intrecciate tra loro e dopo altri due i siti di ripristino sono a malapena individuabili”, scrive ancora la ricercatrice.
Tuttavia, sebbene si tratti di un successo incoraggiante, sono ancora molte le sfide da affrontare: “I coralli utilizzati per queste barriere restaurate sono del tipo ramificato, scelti poiché più congeniali nella situazione specifica. Così, però, le barriere restaurate presentano una minore diversità di specie rispetto a quelle sane, il che può influenzare le specie marine”.
Il peso dei cambiamenti climatici sulle barriere coralline
Inoltre, questo tipo di coralli è particolarmente vulnerabile rispetto ai cambiamenti climatici, poiché soggetto facilmente al fenomeno dello sbiancamento, che si verifica in caso di aumento troppo marcato della temperatura dell’acqua. “L’utilizzo di tali coralli rischia quindi influenzare la capacità della barriera di sopravvivere a future ondate di caldo marino”, ammette Lange. E considerando che queste ultime si stanno moltiplicando, le tecniche utilizzate nel progetto indonesiano non possono essere considerate come una soluzione universale ai problemi derivanti dal riscaldamento globale.
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