Cop29

Clima, l’industria del cemento deve cambiare in fretta

L’industria del cemento è troppo inquinante, tanto più alla luce dell’Accordo di Parigi. Se ci tiene ai suoi profitti, deve correre ai ripari.

L’industria del cemento, così come la conosciamo, è troppo inquinante e ormai inadatta a far fronte alle sfide della lotta ai cambiamenti climatici. E, se vuole salvaguardare i suoi profitti, sarà costretta a correre ai ripari. Lo afferma un rapporto pubblicato da Cdp, un’organizzazione che lavora per fornire agli investitori istituzionali informazioni sull’impatto ambientale delle grandi aziende.

Una vecchia fabbrica di cemento. © ingimage
Una vecchia fabbrica di cemento

Le imprese del cemento sotto esame

Il settore del cemento è uno dei più impattanti in assoluto per il nostro pianeta: da solo produce il 5 per cento delle emissioni globali di CO2, più di paesi come il Giappone e il Canada. Questa realtà non è assolutamente compatibile con gli accordi presi alla Cop 21 di Parigi, che propongono di contenere l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2 gradi centigradi.

Il report ha così preso in analisi le dodici società più grandi del settore, a livello di produzione e capitalizzazione di mercato. In testa alla graduatoria sono le svizzere Holcim e LafrageHolcim, seguite dall’indiana Shree Cement e dalla francese Lafarge. Il campione comprende anche Crh (Irlanda), Cementos Argos (Colombia), HeidelbergCement (Germania), Cemex (Messico), Ultratech Cement (India), Taiheiyo Cement (Giappone). Anche l’Italia è presente, con Buzzi Unicem, Cementir e Italcementi.

In alcuni casi – fanno notare gli analisti di Cdp – da parte delle big del cemento è mancata la collaborazione: Anhui Conch Cement, Siam Cement, Dangote Cement e Vulcan Materials non hanno fornito i dati richiesti.

Il settore del cemento deve imparare a gestire meglio l'energia, i rifiuti e le risorse: lo dice un report di CDP.
Il settore del cemento deve imparare a gestire meglio l’energia, i rifiuti e le risorse: lo dice un report di CDP. © ingimage

La CO2 costa caro

Il report dà i voti a ogni società, su cinque aree: l’impegno per ridurre le emissioni, la gestione efficiente delle fonti energetiche, l’esposizione monetaria a una possibile carbon tax, la sede in una zona a rischio di carenza idrica, l’azione di lobbying sulle politiche per il clima.

Le conclusioni del rapporto sono nette: se venisse adottata una tassazione delle emissioni di CO2 pari a 10 dollari, queste dodici big del cemento rischierebbero di veder sfumare complessivamente ben 4,5 miliardi di dollari di profitti. Si riscontrano grandi differenze tra caso e caso, con alcune aziende che si stanno attivando per ridurre le emissioni e altre che, al contrario, hanno ancora molta strada da fare. Tra le più impreparate ci sono proprio le nostrane Cementir e Italcementi, che (su una scala da A ad E) ottengono una sfilza di desolanti D ed E. Tra quelle analizzate, per giunta, una società su due ha sede in un’area a rischio idrico e con l’avanzata del cambiamento climatico la situazione potrebbe decisamente peggiorare.

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