Dal mischiglio della Basilicata alla zucca malon del Friuli al cappero di Selargius, in Sardegna: i presìdi Slow Food che valorizzano prodotti dimenticati, ma di fondamentale valore per la biodiversità, il territorio e le comunità.
L’industria dell’olio di palma mina la normativa europea contro la deforestazione, la denuncia di Greenpeace
I big del settore vogliono far saltare quella parte di normativa che impone di tracciare i prodotti per dimostrare che non siano collegati alla distruzione delle foreste.
- L’associazione di categoria che rappresenta l’industria dell’olio di palma starebbe cercando di eliminare dalla normativa Ue l’obbligo di far sapere se per far spazio alle piantagioni sia stata distrutta la natura, segnala Greenpeace.
- Il provvedimento richiederebbe il completo tracciamento dei prodotti importati nella Ue per garantire che la loro produzione non abbia avuto effetto sulla deforestazione.
- Ma per il settore agroalimentare questo non sarebbe del tutto fattibile, specie per quanto riguarda i piccoli produttori.
- I piccoli produttori locali, invece, sostengono la normativa europea in quanto migliorerebbe le loro condizioni di lavoro.
Secondo quanto denunciato da Greenpeace, le associazioni di categoria che rappresentano l’industria dell’olio di palma stanno cercando di minare la normativa europea contro l’importazione di prodotti la cui estrazione, raccolta o produzione ha gravi impatti sulla natura e i diritti umani. Come l’olio di palma, appunto, la cui produzione, quando non sostenibile, comporta la distruzione di foreste tropicali.
Tracciabilità dell’appezzamento delle palme da olio: impossibile secondo l’industria, un’opportunità per i piccoli agricoltori
Stando al contenuto di una prima bozza della normativa presentata lo scorso novembre dalla Commissione europea, per la prima volta si chiederebbe alle aziende che immettono determinati prodotti e materie prime (incluso l’olio di palma) sul mercato Ue, di rintracciarne l’origine e dimostrare che non sono collegate alla distruzione o al degrado delle foreste.
In una dichiarazione congiunta datata 18 maggio, le organizzazione del settore dell’olio di palma, pur condividendo l’obiettivo di eliminare la deforestazione lungo la filiera dell’olio di palma, hanno espresso la difficoltà di effettuare la tracciabilità dell’appezzamento di terreno sul quale sono state piantate le palme, difficoltà derivanti dalla mancanza di registri dei terreni adeguati e aggiornati nei vari Paesi: “Di tutto l’olio di palma che rifornisce il mercato dell’Ue, circa il 45 per cento dei volumi può rispettare il tracciamento, mentre arrivare al 100 per cento richiederebbe la mappatura di tutti i piccoli proprietari, in particolare piccoli fornitori indiretti che vendono i loro prodotti tramite intermediari”, si legge nel comunicato.
Dal canto loro, i piccoli produttori, o meglio una rappresentanza indonesiana di essi riuniti nella Spks, in una lettera dello scorso marzo si dicono in grado di fornire i propri dati in base alla richiesta dell’Ue. Ma denunciano una scarsa collaborazione del settore privato con gli agricoltori indipendenti che effettuano la conservazione delle foreste o che praticano la coltivazione della palma da olio legalmente in conformità con le normative applicabili in Indonesia, tanto da essere costretti a vendere il frutto a intermediari a prezzi bassi. Propongono quindi che venga stabilito l’obbligo per le aziende che importano olio di palma nell’Ue di garantire una catena di approvvigionamento diretta costituita per almeno il 30 per cento dai piccoli proprietari indipendenti.
Olio di palma e non solo: il dietrofront sulla deforestazione delle multinazionali dell’agroalimentare
Lo scorso marzo anche un articolo del Guardian aveva denunciato il tentativo da parte di alcune multinazionali del settore agroalimentare, non solo quelle dell’olio di palma, di contrastare la legge sulla deforestazione solo una settimana dopo aver proclamato un maggiore impegno per la sostenibilità durante la Cop 26 di Glasgow.
Durante il vertice sul clima, dieci aziende alimentari con un fatturato combinato di quasi 500 miliardi di dollari avevano promesso azioni contro la deforestazione attraverso un piano di riforma della catena di approvvigionamento entro novembre 2022. Una settimana dopo, invece, le associazioni di categoria che rappresentano cinque delle aziende – Adm, Bunge, Cargill, Ldc e Viterra – avevano scritto al capo del Green deal della Ue, Frans Timmermans, definendo “tecnicamente ed effettivamente non fattibile” individuare prodotti come caffè, soia, carne bovina o cacao ritenuti collegati alla deforestazione e impedire loro di entrare nel mercato europeo e sottolineando come le conseguenze di questa normativa potessero portare all’impennata dei prezzi, a carenza di cibo e a un mercato su due livelli, uno per l’Europa e uno per il resto del mondo. Inoltre, si sosteneva la difficoltà dei piccoli produttori nel geolocalizzare la propria produzione.
Anche in questo caso, invece, diversi gruppi rappresentanti quasi 35mila coltivatori ivoriani di cacao, in una lettera all’Ue, esprimevano pieno supporto alla nuova normativa dicendosi disponibili a fornire i dati di geolocalizzazione per la costruzione di una filiera del cacao sostenibile che possa essere equa e garantire un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro degli agricoltori.
La prossima riunione degli Stati membri sulla normativa europea contro la deforestazione è prevista per il 28 giugno.
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