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Nel mondo, nove persone su dieci respirano aria inquinata. Questo causa milioni di decessi ogni anno, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove neanche in casa l’aria è pulita.
“Se i soldi non fanno la felicità, figuriamoci la miseria”, diceva Totò, il principe della risata. E non aveva tutti i torti. Il 90 per cento delle morti dovute all’inquinamento dell’aria avviene nei paesi poveri, soprattutto in Africa e Asia.
Le più inquinate sono Nuova Delhi, in India e Il Cairo, in Egitto dove i livelli di pm10, sostanze nocive, risultano dieci volte superiori a quelli ritenuti accettabili dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms); seguono Dacca, Mumbai e Pechino. Nei paesi a basso e medio reddito, l’aria nel 97 per cento delle città con più di 100mila abitanti non soddisfa i requisiti di qualità, percentuale che scende al 49 per cento nei paesi ricchi. Lo ha svelato proprio l’Oms, che ha esaminato i dati raccolti in oltre 4.300 località di 108 nazioni del mondo.
New WHO data: 9 out of 10 people worldwide breathe polluted air https://t.co/W9OiazKkqF #AirPollution pic.twitter.com/x2ikHK4D9x
— WHO (@WHO) 2 maggio 2018
Complessivamente, nel mondo 9 persone su 10 respirano aria inquinata e la causa è dovuta principalmente al traffico e alle industrie, ma nei paesi in via di sviluppo c’è un ulteriore problema: 3 miliardi di abitanti bruciano legname, carbone o letame per cuocere i cibi e riscaldare le abitazioni, producendo polveri inquinanti all’interno delle proprie case che, respirate, possono causare asma, cancro ai polmoni, malattie cardiovascolari, ictus.
Per risolvere questo problema, non servono “grandi spese o infrastrutture, ma piuttosto un cambiamento radicale di abitudini e cultura”, spiega Pippo Ranci, già presidente dell’Autorità per l’energia, (l’attuale Arera). “Il maggior successo del clean cooking è avvenuto con politiche di diffusione delle stufette alimentate con gas in bombola, che non è una fonte rinnovabile, ma è sicuramente meno inquinante dei processi di cottura a legna o carbone vegetale”, aggiunge Ranci.
Leggi anche: Pippo Ranci. Contro la povertà energetica è necessario investire su cultura e informazione
L’inquinamento atmosferico provoca la morte di 7 milioni di persone ogni anno, di cui 91mila in Italia. In molte località europee e americane, fortunatamente, i livelli di pm10 sono calati nel periodo compreso tra il 2010 e il 2016, tuttavia sono aumentati nel 70 per cento delle città povere del sud e del Sudest asiatico.
Ridurre l’inquinamento dipende dalle risorse finanziarie di un paese, ma anche dalla consapevolezza dei cittadini e dalla volontà del governo di intervenire: positivo è l’esempio della Cina, che ha deciso di affrontare il problema con ogni mezzo anche perché “gli abitanti sanno che esiste un collegamento fra la qualità dell’aria e la loro salute”, spiega la dottoressa Maria Neira, direttrice del dipartimento di Sanità pubblica dell’Oms.
In Europa, il trasporto pubblico della Danimarca sarà a emissioni zero entro il 2030, dal 2040 il Regno Unito vieterà la vendita di nuove vetture dotate di motore a combustione e dal 2050 bloccherà la circolazione delle vecchie auto a diesel e a benzina.
Di questi temi si discuterà dal 30 ottobre al 1 novembre di quest’anno alla prima Conferenza globale sull’inquinamento atmosferico e la salute. Nel frattempo, la campagna BreatheLife mira a coinvolgere i cittadini in prima persona, invitandoli a partecipare a sfide come quella di lasciare l’automobile a casa per un mese.
Cambiare le nostre abitudini richiede sacrifici, ma a beneficiarne, prima ancora dell’ambiente, siamo noi stessi. Ed è qualcosa che tutti, ricchi e poveri, sono chiamati a fare: se noi siamo disposti ad arrivare in ufficio sudati dopo una pedalata, nei paesi in via di sviluppo ci sono persone disposte a rivoluzionare il propri sistema energetico. E c’è chi può aiutarle.
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