Nord Italia immerso nell’inquinamento atmosferico: quali sostanze lo formano, i miti da sfatare, le soluzioni per porre rimedio, secondo Arpa Lombardia.
L’inquinamento atmosferico causa 52mila morti l’anno in Europa: ma in che cosa consiste realmente?
Pizzerie, Pianura padana, traffico: ecco alcune sorprese o miti da sfatare.
Un vademecum su cause, effetti e soluzioni con l’aiuto di Guido Lanzani, di Arpa Lombardia.
L’aria che respiriamo è ormai una questione di crescente preoccupazione, il nemico è infido perché spesso trasparente, ma ben visibili sono i danni causati: più di 52mila decessi l’anno legati all’inquinamento nella sola Unione europea. Il nord Italia proprio in questi giorni è sotto una coltre di smog, con la persistenza di nebbie dense e la formazione di neve chimica, che si forma quando le particelle di inquinanti presenti nella nebbia si congelano, dando vita a una sorta di neve artificiale. Condizioni che hanno gravi ripercussioni sulla salute pubblica e sull’ambiente, evidenziando la necessità di monitorare attentamente la qualità dell’aria e di adottare misure per ridurre l’inquinamento atmosferico.
In particolare, la Val Padana sta vivendo giorni difficili a causa della formazione di nebbie fitte e persistenti, che stanno interessando soprattutto le regioni della Lombardia, dell’Emilia e del Veneto. Nelle province di Milano, Bergamo e Pavia sono stati toccati i sei giorni consecutivi di superamento dei limiti consentiti di concentrazione di Pm10 e sono state attivate le misure temporanee di primo o secondo livello anche a Lodi, Monza e Brianza, Cremona, che comprendono la limitazione alla circolazione.
Oltre l’emergenza: come abbattere l’inquinamento atmosferico
Per fortuna, sempre più persone sono ormai consapevoli degli inquinanti che contaminano l’aria che respiriamo, e anche delle misure da prendere, soprattutto all’interno dei nuclei urbani che sono quello con la più alta concentrazione di inquinanti: zone a emissioni zero, come aree zone pedonali o ciclabili; zone a basse emissioni come le zone 30; utilizzo di mobilità elettrica e condivisa, abitazioni a emissioni 0, di rete di trasporti pubblici più estese ed efficienti.
Eppure, c’è ancora tanta strada da fare alla scoperta di tutto ciò che c’è sapere sugli inquinanti che guastano la nostra salute e quella del pianeta Terra, e perché no, anche di qualche falso mito da sfatare. Ad accompagnarci su questa strada è venuto Guido Lanzani, direttore dell’unità operativa sulla qualità dell’aria di Arpa Lombardia. Che ci ha aperto gli occhi su alcune cose importanti, a partire dall’esatta definizione di inquinamento atmosferico, divisibile “in una vasta gamma di sostanze dannose presenti nell’aria, ognuna con il potenziale di causare gravi danni alla salute umana e all’ambiente”.
I principali agenti dell’inquinamento atmosferico
Uno degli inquinanti più discussi per esempio è il particolato, spesso indicato con sigle come Pm10 o Pm2,5. Queste particelle di solfato, nitrato, carbonio, polveri minerali tanto piccole da essere invisibili a occhio nudo, sono composte da una varietà di sostanze solide e liquide, e non si differenziano tra loro per la composizione ma esclusivamente per il loro diametro, e di conseguenza per il loro grado di pericolosità. “Le polveri sottili, come il Pm10 e il Pm2,5, possono penetrare profondamente nei nostri polmoni e persino nel nostro flusso sanguigno, causando una serie di problemi respiratori e cardiovascolari”, aggiunge Lanzani. Con la differenza che il Pm2,5, più piccolo del Pm10, riesce a penetrare più facilmente e causare dunque danni peggiori. I particolati possono essere di tipo primario, se immessi in atmosfera direttamente dalla sorgente, o di tipo secondario, quando si formano successivamente, in seguito a trasformazioni di tipo chimico-fisico di altre sostanze. Per esempio tramite combustione. Tra gli altri inquinanti più pericolosi ci sono:
gli ossidi d’azoto, che in altre concentrazioni possono essere molto pericolosi per la salute perché possiedono un forte potere ossidante e sono legati soprattutto alle situazioni vicine al traffico automobilistico;
L’ozono, un inquinante secondario che si forma in atmosfera e che raggiunge i livelli più critici soprattutto in estate;
l’ammoniaca, che aiuta fortemente le particelle a legarsi e formare così il particolato secondario.
I composti organici volatili, ovvero inquinanti gassosi, tra cui benzene e formaldeide, che possono essere emessi da attività come la pulizia o la cottura a gas, oltre che da prodotti come deodoranti, spray per il corpo, candele, mobili e arredi.
il benzoapirene, è una sostanza cancerogena che si trova dentro il Pm10 e il Pm2,5 ed è legato al territorio, in particolare alla combustione della biomassa e della legna, per esempio quella dei caminetti, ma soprattutto – attenzione! – delle pizzerie con i forni a legna.
Ebbene sì, le nostre amate pizzerie, in città, sono le principali fonti inquinanti: “Nelle città sta sicuramente diminuendo l’apporto della combustione della legna, rimango forse l’apporto delle pizzerie, e poi quello delle stufe e dei caminetti, sicuramente meno importante”, spiega Lanzani: sta di fatto che secondo Arpa Lombardia oggi in una città come Milano il traffico pesa sull’inquinamento atmosferico per il 36 per cento e la combustione di legna per il 29 per cento, di cui il 22 proprio per la produzione del nostro cibo preferito.
— CNR Consiglio Nazionale delle Ricerche (@CNRsocial_) September 14, 2018
Quei falsi miti da sfatare sull’inquinamento atmosferico
Ma no, questa non è decisamente l’unica sorpresa che il direttore Lanzani ha in serbo per noi. Contrariamente alla convinzione comune, per esempio, non è vero che si stava meglio in passato. “L’inquinamento atmosferico è un problema storico, documentato fin dai tempi antichi”. Lo scriveva Seneca, di quanto l’aria di Roma fosse pesante per l’uso del carbone in città, “e la regina Eleonora per lo stesso motivo “lascio Nottingham con tutta la sua Corte per tornare nel suo castello”. Fino ad arrivare alla Londra del 1952, dove il valore di biossido di zolfo erano arrivati a 1500 microgrammi al metro cubo, contro i 5 – 10 microgrammi di oggi. Ma “anche se andiamo a guardare gli ultimi decenni, gli inquinanti che misuravamo negli anni 70 o agli inizi degli anni 2000, erano sicuramente molto di più di quelli che abbiamo oggi. Ciò non vuol dire che non dobbiamo proseguire a migliorare, però sicuramente dobbiamo riconoscere intanto che molta strada è stata fatta e che proseguire a ridurre le concentrazioni degli inquinanti è possibile”.
These are not dystopian scenes from Blade Runner. Instead, to mark the Jubilee, I actually transport you back 70 years to the London of 1952 and The Great Smog that year which killed 10,000 Londoners and made a further 100,000 ill. The event directly resulted in the Clean Air Act pic.twitter.com/NDK85K4rTK
Inoltre, in Italia, gran parte dell’inquinamento da traffico non deriva solo dai tubi di scappamento delle automobili, ma soprattutto dall’usura dei freni, degli pneumatici e dall’asfalto. Se da una parte cresce il contributo del traffico nella formazione del particolato, è anche vero che grazie alle nuove tecnologie, ai filtri e a motori un po’ meno inquinanti la situazione non è più quella di qualche decennio fa. E così l’usura di freni pneumatici e asfalto inizia a pesare in proporzione sempre di più. E allora, spiega il direttore Lanzani, “oltre che introdurre tecnologie migliori e auto meno inquinanti, dobbiamo anche proprio perseguire la riduzione dei chilometri percorsi”.
Infine, c’è il caso tutto italiano della Pianura Padana, considerata una delle zone più inquinate di tutta Europa insieme ad alcune aree della Polonia: non per via della quanti di emissioni in sé, però, quanto per la sua conformazione geografica. “La Pianura Padana è particolarmente svantaggiata a causa delle condizioni meteorologiche che favoriscono il ristagno degli inquinanti”, chiarisce Lanzani. “La presenza delle Alpi e degli Appennini a fare da cornice, sì che gli inquinanti tendano a ristagnare, portando la formazione di particolato secondario di ozono e favorendo le inversioni termiche”, quel fenomeno visibile a occhio nudo per cui le particelle di smog si concentrano in basso, lasciando invece il cielo terso solo a quote più elevate. E la mancanza di pioggia, che quando cade spazza via il particolato, ultimamente non aiuta.
I limiti dell’Oms e come arrivare a rispettarli
Per affrontare l’inquinamento atmosferico, come detto, è necessario adottare misure concrete, che in parte hanno già ottenuto un effetto ove messe in pratica. Tuttavia, raggiungere gli standard internazionali, come quelli ambiziosi stabiliti dall’Organizzazione mondiale della Sanità sulle concentrazioni di Pm2,5 e Pm10, non è facile. Ad esempio, per il Pm2,5 l’attuale limite della normativa italiana ed europea è pari a una media annua di 25 microgrammi al metro cubo, mentre l’Oms dà come valore guida 5 microgrammi al metro cubo.
Il tutto spesso con grandissime differenze tra spazi interni ed esterni, come rivela una ricerca effettuata da Dyson, da cui emerge che nel 2022, in tutto il mondo in due Paesi su tre sono stati rilevati livelli medi annui di Pm2,5 indoor più alti di quelli outdoor: in Italia, in particolare, i livelli medi annui di PM2,5 in ambienti interni hanno superato del 10 per cento quelli all’esterno.
Le rilevazioni CAMS mostrano che per le aree della Pianura Padana la concentrazione media di PM 2.5 è significativamente superiore rispetto al resto d'Italia pic.twitter.com/mCdtq24IoO
Secondo la stessa ricerca, l’Italia è tra i primi 10 Paesi (ottavo posto) per livello medio annuo di PM2,5, insieme a India, Cina, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Corea del Sud, Romania, Messico, Polonia e Austria. “Noi abbiamo fatto uno studio dove abbiamo calcolato cosa succederebbe riducendo dell’80 per cento le emissioni di tutti gli inquinanti emessi nel bacino padano: abbiamo visto che il 30 per cento delle stazioni di monitoraggio farebbe registrare una concentrazione compresa tra 5 e 10 microgrammi per il PM 2m5, e l’altro 70 per ancora tra 10 – 15, quindi addirittura 10 microgrammi sopra lo standard Oms”. Un dato che dà l’idea di come le linee guida dell’Oms debba essere un target di lungo, “ma non raggiungibile per noi nel breve periodo”.
Nal 2030 nell’Unione europea scattano i nuovi parametri per la qualità dell’aria, meno rigorosi rispetto a quelli dell’Organizzazione mondiale della sanità.
Più controlli sulla qualità dell’aria, soglie più severe e risarcimenti per i cittadini che subiscono i danni dello smog: lo chiede il Parlamento europeo.