Un anno con qualche luce e molte ombre. Così Legambiente descrive il 2023 nello studio Mal’aria di città, sull’inquinamento atmosferico in Italia.
- Legambiente ha pubblicato Mal’aria di città, lo studio sull’inquinamento atmosferico nelle città italiane capoluogo di provincia nel 2023.
- Su 98 città monitorate, ben 18 hanno sforato il limite di PM10 per più di 35 giorni in un anno.
- Le medie annuali dei principali inquinanti rispettano le normative attuali, ma sono ancora molto più alte rispetto a quanto raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità.
Un anno con qualche luce e molte ombre. Così l’organizzazione ambientalista Legambiente descrive il 2023 nell’ultima edizione di Mal’aria di città, lo studio che fa il punto sull’inquinamento atmosferico nei capoluoghi di provincia in Italia. Guardando infatti i valori delle polveri sottili (PM10 e PM2,5) e degli ossidi di azoto (NO2), si nota infatti un miglioramento rispetto al 2022. Ma con due, grandi, “ma”. Innanzitutto, il calo dello smog è sostanzialmente figlio del meteo favorevole, non delle politiche adottate dallo stato e dalle amministrazioni locali. Per di più, ci sono ancora 18 città italiane (sulle 98 monitorate) che hanno sforato il limite di PM10 per più di 35 giorni in un anno. Se le soglie fissate per il 2030 entrassero in vigore oggi, le città fuorilegge sarebbero la maggioranza.
Le città con più sforamenti dei livelli di PM10
Salta all’occhio il fatto che ben 18 città italiane sulle 98 monitorate abbiano superato i 50 μg/mc di PM10 per più di 35 giorni all’anno, infrangendo così la normativa. La peggiore è Frosinone, con 70 giorni di sforamento registrati nella centralina di Frosinone scalo; ma non va tanto meglio a Torino (66 giorni), Treviso (63), Mantova, Padova e Venezia (62). Come Legambiente ci tiene a precisare, però, questi momenti di picco sono indicativi solo fino a un certo punto, perché risentono molto delle condizioni meteorologiche.
Guardando quindi alle medie annuali, si scopre le città italiane sono tutte in linea con la normativa sull’inquinamento atmosferico, che impone rispettivamente una soglia di 40 microgrammi al metro cubo per PM10 e NO2 e di 25 μg/mc per il PM2,5. I dati, però, restano sostanzialmente stabili negli ultimi cinque anni: solo per il biossido di azoto si notano livelli in calo in diverse città.
Le città italiane sono lontane dalle linee guida dell’Oms sull’inquinamento atmosferico
Possiamo dunque dire che l’inquinamento atmosferico nelle città italiane vede un miglioramento. Ma è un miglioramento ancora molto lento. Troppo, considerato che in gioco c’è la salute delle persone. Nel 2021 l’Organizzazione mondiale della sanità ha introdotto nuovi parametri, molto più severi; e l’Unione europea nel frattempo ha intrapreso una revisione della direttiva sulla qualità dell’aria.
Se i nuovi limiti proposti dalle istituzioni europee per il 2030 entrassero in vigore adesso, solo 30 città italiane su 98 rispetterebbero quelli per il PM10 (20 μg/mc come media annuale), 14 su 87 quelli per il PM2,5 (10 μg/mc come media annuale) e 45 su 91 quelli per l’NO2 (20 μg/mc come media annuale). Se invece si confrontano i dati attuali con le linee guida dell’Oms, le percentuali si abbassano ulteriormente: sette città rispettano i valori raccomandati di NO2, una (L’Aquila) quelli di PM10 e nessuna quelli di PM2,5.
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