
Una missione scientifica in un atollo della Polinesia francese ha permesso di scoprire l’esistenza di coralli che sopravvivono in acque molto calde.
Secondo l’Ipcc, l’ozono troposferico e il black carbon contribuiscono direttamente al riscaldamento globale. Combattere per un pianeta meno inquinato significa quindi contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico e a salvare gli ecosistemi.
Oltre che sulla salute umana, ricordano le principali agenzia ambientali europee e mondiali, l’inquinamento atmosferico ha forti ricadute anche sulla vegetazione e sulla fauna, sulla qualità dell’acqua e del suolo. La denuncia arriva dagli esperti ambientali dell’Onu, dall’Agenzia Europea per l’ambiente (Eea) e dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc). Oltre ad aver causato almeno 400 mila morti premature in Europa nel 2016, l’inquinamento atmosferico potenzia infatti gli effetti del climate change sugli ambienti naturali, a partire da boschi, foreste, fiumi e laghi. Tra i componenti più pericolosi, secondo l’Ipcc, troviamo l’ozono troposferico e il black carbon (un componente del particolato ultrafine PM10 e Pm2,5), che hanno un potenziale impatto sul clima e sul riscaldamento globale a breve termine. Agenti climalteranti agiscono insieme agli ossidi di azoto, zolfo, ammoniaca e metalli.
The United Nations Environment Programme (UN Environment) and the Climate and Clean Air Coalition have launched a new ‘Clean Air Initiative’, which calls on governments around the world to ‘align climate change and air pollution policies’ by 2030.https://t.co/XWc9ojMOBP
— AC Active Design (@AC_ActDesign) 12 agosto 2019
L’ozono troposferico, oltre ad avere un effetto “riscaldante” altera la crescita della vegetazione, riduce l’assorbimento di biossido di carbonio (CO2) da parte degli alberi.
Secondo l’Eea, molte aree naturali dell’Europa centrale e meridionale, sono a rischio a causa dell’esposizione ai livelli attuali di O3, che possono cambiare la composizione delle specie vegetali, la fioritura e anche la produzione di semi.
Il cambiamento delle condizioni climatiche e l’aumento delle emissioni di CO2 e di altri inquinanti, come l’azoto, modificano le risposte della vegetazione allo stesso ozono. Elementi tutti concatenati tra loro. Oltre a influire sulla crescita delle piante, questi agenti influenzano la capacità di assorbimento di ozono troposferico da parte delle foglie, alterando, così, la crescita delle piante. Con conseguenze sui raccolti e sull’ecosistema globale, danneggiando colture agricole, foreste e piante, riducendo i loro tassi di crescita. Secondo l’Eea nel 2018, il livello critico è stato superato nel 60 per cento delle aree boschive e forestali, in tutti i paesi europei.
L’eccesso di emissioni di ossidi di azoto (NOx) e di ammoniaca (NH3), derivanti dai trasporti e dall’agricoltura, interrompono gli ecosistemi terrestri e acquatici. Come? Introducendo quantità eccessive di azoto nutriente. Questo porta all’eutrofizzazione e all’acidificazione. La prima consiste nell’eccedenza di composti azotati, che può portare a cambiamenti nella biodiversità, favorendo le invasioni di nuove specie nei laghi, nei fiumi e negli stagni. E provocando un aumento del fitoplancton e fioriture dannose di alghe, che possono avere un impatto sulla pesca, sulle attività ricreative e sul turismo.
L’Agenzia europea per l’ambiente ha stimato, tra il 2000 e il 2015, che, la deposizione di azoto inorganico sul suolo è diminuita di circa il 24 per cento, in aree altamente inquinate e di circa il 16 per cento in siti meno inquinati. Ma che, in ogni caso l’EMEP, il sistema di monitoraggio e valutazione ambientale europeo, nel 2017 ha stimato che le soglie critiche che portano all’eutrofizzazione sono state superate in tutti i paesi europei. Valori che nel 2015 hanno riguardato il 61 per cento dell’area ecosistemica europea, circa il 72 per cento dell’UE-28, confermando la minaccia per l’ambiente. I maggiori superamenti si sono verificati nella Pianura Padana, nelle zone di confine tra Olanda, Germania e Danimarca e nella Spagna nord-occidentale. Mettendo a rischio il 50 per cento delle aree naturali oggetto di tutela europea.
L’emissione di azoto e zolfo nell’atmosfera a causa dell’inquinamento atmosferico crea, rispettivamente, acido nitrico e acido solforico. Il destino della grande quantità di questi acidi presenti nell’aria, è di ricadere, attraverso le piogge acide, sulla Terra e sulle acque, riducendo il livello di pH e portando alla cosiddetta acidificazione. L’acidificazione, a sua volta, danneggia la vita delle piante e degli animali. Nel 2015, si sono verificati superamenti delle soglie accettabili per l’acidificazione per circa il 5 per cento dell’area dell’ecosistema europeo e il 6 per cento dell’area dell’ecosistema UE-28, soprattutto nei Paesi Bassi, nelle aree confinanti con Germania e Belgio. La situazione è però, dicono dall’Eea, in miglioramento. Se si ridurranno ulteriormente le emissioni di biossido di zolfo (SO2), si risolverà la maggior parte della minaccia di acidificazione dei suoli forestali.
L’acidificazione può anche portare ad una maggiore diffusione di metalli tossici in acqua o nei suoli, aumentando il rischio di assorbimento nella catena alimentare. Metalli come arsenico, cadmio, piombo, nichel, mercurio, cromo, rame e zinco, possono causare effetti dannosi alle piante e agli animali, oltre che all’uomo. Sebbene le concentrazioni atmosferiche di questi elementi possano essere basse, a lungo andare si depositano in terreni, sedimenti e organismi. I metalli non si decompongono nell’ambiente e alcuni di essi si bio-accumulano.
Ciò significa che piante e animali possono essere avvelenati, attraverso un’esposizione a lungo termine, anche a partire da piccole quantità di metalli tossici. In questo modo, se un metallo si è bio-accumulato in un determinato punto della catena alimentare, ad esempio in un tipo di pesce, il consumo di quel pesce da parte dell’uomo può rappresentare un grave rischio per la salute.
Un esempio: l’EMEP ha stimato nel 2017 la deposizione di cadmio negli ecosistemi europei. I punti di maggiore deposizione di cadmio nei terreni coltivati si trovano nei paesi del Benelux, nella Polonia meridionale, nell’Italia settentrionale, nella parte centrale del territorio europeo della Russia e nei territori adiacenti al Mar Nero, mentre livelli più bassi sono stati rilevati in Spagna, Francia e Scandinavia.
Mercury bioaccumulation in fish is extremely common! ??☠️ Especially in those that are high on the food chain, such as tuna.
High concentrations of mercury can be toxic to humans. Mercury poisoning can severely affect the nervous system, leading to neurological disorders! pic.twitter.com/P4NDGC8LEj
— Good Catch (@goodcatchfoods) 3 giugno 2019
Gli esperti ambientali dell’Onu, dell’Agenzia Ambientale europea (EEA), del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc) e della Commissione Europea, ribadiscono che l’inquinamento atmosferico e il cambiamento climatico sono strettamente collegati tra loro. Il meccanismo che si instaura è duplice. Le variazioni delle condizioni meteorologiche, dovute ai cambiamenti climatici, possono alterare il trasporto, la dispersione, la deposizione e la formazione di inquinanti nell’atmosfera e la loro ricaduta al suolo. Inquinanti che a loro volta, interagiscono con i gas serra, potenziandone gli effetti.
#EmissionsGap Summary
➡️Ever-growing greenhouse gas emissions point to “lost decade” of #ClimateAction
➡️We can still hit our targets
➡️Everyone needs to #ActNow to hit the targets
➡️Scientific rigor has been, and will remain, crucial to climate action https://t.co/tx6w0ujEwQ
— UN Environment Programme (@UNEP) 14 ottobre 2019
Una rapida azione sulla riduzione degli inquinanti climatici di breve durata e molto potenti, come ozono troposferico, idrofluorocarburi, metano e particolato “black carbon”, assicurano gli esperti, può ridurre significativamente le probabilità di innescare punti di ribaltamento climatico pericolosi. Come il rilascio irreversibile di biossido di carbonio e metano dal disgelo del permafrost artico. La relazione dell’ottobre 2018 dell’Ipcc sottolinea l’importanza di mantenere gli aumenti della temperatura globale a 1,5 °C al di sotto dei livelli dell’era preindustriale. E bisogna fare presto.
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