
La mancanza di dati ufficiali è un problema per il controllo del mercato legale di animali, soprattutto per le catture di quelli selvatici.
Entro la fine del secolo potremmo assistere al drastico declino del numero di orche, uccise dagli inquinanti chimici che avvelenano gli oceani.
L’impoverimento degli ecosistemi marini e terrestri sembra procedere senza tregua, facendoci sprofondare nella sesta estinzione di massa della storia del pianeta. In alcune porzioni di terre emerse, grazie al rewilding, la fauna sta tornando ad appropriarsi degli antichi spazi, ma sotto la superficie del mare la situazione è disperata. Alla lunga lista delle specie in pericolo si aggiungono le orche (Orcinus orca), secondo un nuovo studio almeno metà delle popolazioni di questi magnifici mammiferi marini è destinata ad estinguersi a causa degli inquinanti chimici presenti negli oceani.
Dallo studio Predicting global killer whale population collapse from PCB pollution, pubblicato su Science, emerge che i policlorobifenili, noti con la sigla PCB, stanno avvelenando le orche. Si tratta di sostanze chimiche prodotte tramite processi industriali sintetizzate dalla Monsanto a partire dall’inizio del secolo scorso. I PCB, spiegano i ricercatori guidati da Jean-Pierre Desforges, del Dipartimento di bioscienze dell’Arctic research centre dell’università Aarhus, si accumulano nei vari anelli che compongono la catena alimentare e le orche, predatori apicali, sono tra gli animali più contaminati del pianeta.
In particolare sono minacciati i cuccioli di orca, poiché le sostanze inquinanti si concentrano nel latte materno delle orche e finiscono dunque nell’alimentazione dei neonati. I PCB possono inoltre danneggiare gravemente gli organi riproduttivi, causare il cancro e danneggiare il sistema immunitario delle orche. Gli studiosi, che hanno analizzato 351 esemplari, hanno trovato concentrazioni di queste sostanze all’interno dei cetacei fino a cento volte sopra i livelli di sicurezza.
La ricerca ha evidenziato che alcune popolazioni di orche sono maggiormente a rischio di altre, quelle che nuotano al largo delle coste dei paesi industrializzati potrebbero scomparire in appena 30-50 anni. In particolare la sopravvivenza dell’ultima popolazione di orche del Regno Unito è appesa a un filo, la recente analisi di una carcassa ha infatti rivelato la presenza nelle acque britanniche di uno dei più alti livelli di PCB mai registrati. Anche i pod (l’unità familiare in cui si organizzano le orche) che popolano le acque di Gibilterra, Giappone e Brasile e del nord-est del Pacifico sono destinate a collassare. Le popolazioni di orche di Norvegia, Islanda, Canada e Isole Faroe, sono invece molto meno contaminate, in virtù della maggiore distanza dalle acque più inquinate.
“È come l’apocalisse delle orche – ha dichiarato uno degli autori della ricerca, Paul Jepson della Zoological Society di Londra. – Anche in un ambiente incontaminato questi animali sono molto lenti a riprodursi”. Le orche impiegano infatti in media venti anni per raggiungere la maturità sessuale e diciotto mesi per lo svezzamento.
Fino a pochi decenni fa, prima che risultassero altamente tossici e cancerogeni, i PCB erano ampiamente usati nella produzione, tra gli altri, di componenti elettrici, materie plastiche, vernici, refrigeranti e carta copiativa. Negli Stati Uniti la produzione è stata vietata nel 1979, eppure in molte aree del mondo i PCB vengono ancora usati e non saranno completamente abbandonati fino al 2025. Oltre ad essere tuttora impiegati, anche i PCB immessi in mare in passato continuano a danneggiare la vita marina, tali sostanze infatti non si disgregano facilmente e hanno un’elevata persistenza. La Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti, entrata in vigore nel 2004 per affrontare la questione, non avrebbe fino ad oggi adempiuto al suo dovere. “Penso che la Convenzione di Stoccolma stia fallendo – ha affermato Jepson – tutto ciò che abbiamo fatto in Europa è vietare i PCB e poi sperare che scomparissero da soli”.
Il futuro delle orche, la cui effettiva intelligenza e profondità emotiva ci sono ancora ignote, è cupo. Tuttavia una speranza per la specie è costituita da quelle popolazioni che vivono nelle acque meno inquinate e che, un giorno se mai riusciremo a ripulire gli oceani, potrebbero essere usate per ripopolare le acque da cui sono scomparse e nelle quali potrebbero tornare a risuonare i loro misteriosi e affascinanti vocalizzi.
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