Sono stati necessari dieci anni di battaglia giudiziaria, ma alla fine un gruppo di abitanti del delta del Niger, in Nigeria, è riuscito nel proprio intento: trascinare il colosso anglo-olandese Shell in tribunale. La compagnia petrolifera è stata infatti formalmente rinviata a giudizio, giovedì 13 febbraio, di fronte all’Alta corte del Regno Unito. Gli avvocati che la difendono dovranno rispondere di accuse particolarmente pesanti: secondo le comunità locali, l’inquinamento provocato sul loro territorio dalle attività di Shell “ha causato danni immensi all’ambiente, privando tra le altre cose migliaia di persone dell’accesso all’acqua potabile”, come sottolineato da Amnesty International, che sostiene l’azione giudiziaria.
Il procedimento durerà fino al 10 marzo
Concretamente, il processo proseguirà fino al prossimo 10 marzo. Sono due le comunità nigeriane, Ogale e Bille, che hanno scelto di adire le vie legali contro Shell. Dieci anni fa, alcuni rappresentanti avevano denunciato il fatto che i loro mezzi di sussistenza sono stati distrutti a causa delle centinaia di fuoriuscite di petrolio dagli impianti di Shell. Sversamenti che hanno intossicato l’intera area, uccidendo pesci e colpendo la flora.
🚨BREAKING: We’re outside the Royal Courts of Justice today in solidarity with Nigeria, ahead of the beginning of a groundbreaking court case: the Bille and Ogale communities vs Shell.
Così, le due comunità decisero di unirsi e di depositare una denuncia presso un tribunale britannico. L’opposizione della multinazionale è stata però durissima, sin dall’inizio: la compagnia petrolifera ha sempre sempre dichiarato che alcuna responsabilità legale a suo carico può essere ammessa, in alcun episodio di inquinamento. Ciò ha ritardato a lungo i passaggi legali.
L’azione legale avviata dieci anni fa da due comunità locali
La svolta è arrivata il 6 dicembre scorso, quando la Corte d’appello del Regno Unito ha concesso il suo via libera al prosieguo del procedimento. “Le comunità Bille e Ogale presenti nella regione del delta del Niger vivono da moltissimo tempo gli effetti devastanti dell’inquinamento – ha commentato Isa Sanusi, direttrice di Amnesty International in Nigeria -. Le compagnie petrolifere, e in particolare Shell, li hanno esposti agli effetti di molteplici sversamenti, che hanno causato danni permanenti alle terre agricole, ai corsi d’acqua e alle risorse idriche, privando gli abitanti della possibilità di coltivare e di pescare”.
After a decade-long fight for justice, the Preliminary Issues Trial of Nigerian Law for Shell vs Ogale and Bille communities is ongoing at the UK High Court: from 13 February to 10 March 2025: https://t.co/4XBRpVxCwT
“La contaminazione dell’acqua – prosegue Sanusi – e altre conseguenze colpiscono anche i neonati, che in alcuni casi nascono con malformazioni. A queste popolazioni è negato un giusto livello di vita. Meritano giustizia e la riparazione dei danni. Spero che questo processo, troppo a lungo ritardato, possa permettere di raggiungere tali obiettivi”.
Le denunce di Amnesty International
La stessa organizzazione non governativa ha pubblicato d’altra parte numerosi rapporti che denunciano gli impatti sulla popolazione delle attività di Shell in Nigeria. E ha chiesto alla stessa compagnia di aprire un confronto con le comunità locali in proposito, al fine di stabilire un piano per le bonifiche, nonché indennizzi ragionevoli per le sofferenze imposte.
Già nel 2021, la stessa compagnia anglo-olandese aveva accettato di versare l’equivalente di 95 milioni di euro a delle comunità del delta del Niger, le cui terre sono state sfruttate a partire dagli anni Settanta. In quel caso si era trattato di un accordo tra le parti, anche se Shell era rimasta comunque ferma sulle proprie posizioni quanto alle sue responsabilità.
Shell già in passato costretta a concedere risarcimenti
In precedenza, nel 2015, l’azienda aveva accettato di chiudere un altro contenzioso con il pagamento dell’equivalente di 63 milioni di euro a favore di 15.600 pescatori della zona. Ciò per via di un grave incidente avvenuto nel 2008. Anche in quel caso, però, la compagnia aveva insistito sul fatto che, a suo avviso, la maggior parte degli sversamenti è dovuta a sabotaggi e non a proprie negligenze. Occorrerà attendere ora il giudizio del tribunale britannico per comprendere se saranno attribuite direttamente, e ufficialmente, delle responsabilità a carico del colosso petrolifero.
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