Insonnia cronica o acuta, un disturbo del sonno che si può e si deve curare

L’insonnia è un disturbo del sonno molto diffuso: in Italia ne soffrono circa 13 milioni di persone. Stress, preoccupazioni, predisposizione e abitudini di riposo scorrette contribuiscono all’insorgere dell’insonnia cronica. In prima linea per la cura di questa patologia la comunità scientifica schiera la terapia cognitivo-comportamentale. L’insonnia è molto più di un fastidio notturno. Nei casi

  • L’insonnia è un disturbo del sonno molto diffuso: in Italia ne soffrono circa 13 milioni di persone.
  • Stress, preoccupazioni, predisposizione e abitudini di riposo scorrette contribuiscono all’insorgere dell’insonnia cronica.
  • In prima linea per la cura di questa patologia la comunità scientifica schiera la terapia cognitivo-comportamentale.

L’insonnia è molto più di un fastidio notturno. Nei casi più gravi, quelli prolungati nel tempo, è giusto parlare di patologia. Ne soffrono circa 6-7 milioni di italiani, che raddoppiano a 13,4 milioni se alla forma cronica si aggiunge l’insonnia transitoria, secondo le ultime rilevazioni di Aims – l’Associazione italiana medicina del sonno che promuove la ricerca, la divulgazione e la formazione clinica sul sonno da più di trent’anni. Eppure il 46 per cento dei connazionali insonni non fa nulla per risolvere il problema. Perché?

L’insonnia cronica è una malattia

“Molte persone ritengono che non sia così grave la serie di conseguenze a cui vanno incontro, tanto da entrare in un processo di trattamento e di guarigione, cioè di poter fronteggiare il problema”, spiega Luigi De Gennaro, professore Ordinario del dipartimento di Psicologia dell’università Sapienza di Roma e Segretario dell’Associazione italiana di medicina del sonno.

“L’altro motivo è che l’insonnia molte volte si presenta associata ad altre problematiche, in prevalenza ansia e disturbi depressivi che hanno, indipendentemente, un simile status. Da un lato, ci si scontra con lo stigma sociale nel raccontarli, dall’altro con la pretesa che non siano problemi di salute tanto quanto altri di cui ci occupiamo. Nei fatti così non è. L’insonnia cronica è, a tutti gli effetti, una malattia”.

Tipi di insonnia: acuta e cronica

Le quattro tipologie più comuni di insonnia, ovvero difficoltà di addormentamento (insonnia iniziale/precoce), frequenti e prolungati risvegli notturni (insonnia di mantenimento), risveglio precoce al mattino (insonnia tardiva) e, infine, una combinazione delle precedenti (insonnia mista o generalizzata), hanno ripercussioni immediate sulla qualità della vita diurna e, nella forma cronica, possono depauperare lo stato di salute della persona.

Quando l’insonnia diventa grave? Una risposta univoca non c’è, ma è fondamentale fare una distinzione: “L’insonnia acuta è quella a breve termine. Mentre convenzionalmente si considera cronica l’insonnia i cui sintomi persistono da più di tre mesi nella storia clinica della persona: si stima che in Italia ne soffrano circa 6-7 milioni di persone”, precisa De Gennaro. Viene spontaneo chiedersi da dove abbia origine questo malessere diffuso.

Donna esausta l'Impatto dell'insonnia acuta e cronica

Perché dormiamo male? Le cause dell’insonnia

Per Alain de Button non serve cercare lontano. In un video intitolato “Ecco perché dormiamo male”, lo scrittore, filosofo e conduttore televisivo punta il dito allo specchio. L’insonnia sarebbe infatti la “vendetta” della nostra mente per tutti i pensieri insidiosi che abbiamo scansato durante il giorno.

Simile l’approccio della sleep-coach e terapeuta dell’insonnia Camilla Stoddart, che tra le righe del Guardian ci solleva da ogni responsabilità: se addormentarsi è un processo passivo, al pari di respirare e digerire, allora è inutile accanirsi nel voler dormire. Meglio lavorare con un esperto sulle cause a monte, cioè la carenza di stimolo al sonno e l’hyperarousal, in soldoni un sovraccarico del sistema nervoso simpatico che ci rende ansiosi e stressati.

Certo, gli eventi degli ultimi anni non aiutano a rilassarsi, a cominciare dalla pandemia da Covid-19 che ci ha lasciati con una dose extra di occhiaie (il New York Times parla di “coronasomnia”), per continuare con la guerra in Ucraina, il caldo estremo che ci ha tolto in media 44 ore di riposo all’anno e l’eco-ansia che galoppa di fronte alle notizie di incendi, alluvioni e altre calamità naturali dovute alla crisi climatica.

L’insonnia mette a dura prova il sistema nervoso, più del lavoro o perfino del divertimento.

Sir Arthur Conan Doyle

Volendo fare chiarezza, è bene sapere che esistono tre ordini di cause alla base dell’insonnia, le cosiddette tre P: fattori predisponenti, fattori precipitanti, fattori perpetuanti. Ce li illustra il professor De Gennaro: “I primi sono caratteristiche stabili dell’individuo che conferiscono il rischio teorico di sviluppare una patologia di insonnia: si tratta di fattori genetici e, a volte, di personalità. I secondi coincidono, in fondo, con la vita stessa: sono fattori di ordine stressante, lutti, ma anche emozioni positive. Quanto agli ultimi, i fattori perpetuanti, identificano quelle condotte e quei comportamenti che le persone scelgono nella pretesa o nell’aspettativa di fronteggiare l’insonnia, paradossalmente contribuendo a stabilizzare e rafforzare il disturbo”. Un esempio? Il sonnellino pomeridiano oltre i venti minuti o aumentare il tempo trascorso a letto svegli, aspettando invano l’abbraccio di Morfeo.

Donne e anziani i più colpiti

Pur nella loro natura “democratica”, visti i numeri sopracitati, i disturbi del sonno infieriscono con particolare frequenza e intensità su due categorie di individue: donne e anziani. “Si va da una proporzione di 1,4 fino in alcuni casi al doppio delle femmine che sviluppano insonnia rispetto ai maschi”, precisa De Gennaro. “Un dato fortissimo ma non isolato, se si considera che i due mali del secolo godono esattamente dello stesso status: ansia e depressione hanno spesso una prevalenza quasi doppia nel genere femminile rispetto a quello maschile”. Ad oggi le ragioni restano incerte. “Nel genere femminile ci sono almeno due passaggi di vita unici, perché non condivisi dai maschi: uno è la gravidanza e l’altro è la menopausa, entrambe fasi che hanno un’associazione con l’insonnia. Ma non spiegano i numeri sopra citati”.

Quanto agli anziani, è dimostrato che col progredire dell’età, anche in assenza di patologie, il nostro sonno si modifichi in peggio, sia in quantità ma soprattutto in qualità: aumentano i risvegli, la frammentazione del sonno, e fisiologicamente si perde la componente più profonda del sonno.

Insonnia in gravidanza

“Da quando sono incinta, non dormo più”. Un’affermazione piuttosto comune tra le donne in dolce attesa, che inquadra un ventaglio di sintomi riconducibili allo stesso disturbo del sonno. 

Senza generalizzare, e tenendo conto di intensità e tempistiche diverse, si stima che l’insonnia in gravidanza si manifesti nel primo trimestre con un’incidenza del 13 per centro, nel secondo trimestre con un’incidenza del 19 per cento e nel terzo trimestre del 66 per cento. Un crescendo che va di pari passo con l’amplificarsi del cambiamento fisico, ormonale e psicologico nella gestante.  

Nausea, gonfiore alle gambe, mal di schiena, minzione frequente, difficoltà a trovare la posizione giusta sono alcune delle cause più comuni di un riposo di scarsa qualità in questa fase delicata della vita femminile. Anche l’aumento di estrogeni e progesterone hanno effetti sul sonno e sulla respirazione.

Infine ansia e preoccupazioni talvolta possono giocare un ruolo rilevante nell’inasprire i sintomi dell’insonnia della futura mamma. 

I rimedi includono l’utilizzo di cuscini o altri accorgimenti per trovare la posizione più comoda per coricarsi, evitare pasti serali troppo pesanti o abbondanti, praticare tecniche di rilassamento e respirazione mutuate da discipline come lo yoga. In ogni caso, specialmente quando l’insonnia si fa persistente, è sempre opportuno rivolgersi al proprio ginecologo.

insonnia donna incinta
Durante la gravidanza non è raro soffrire di insonnia © Getty Images

Le conseguenze per la salute

Se per Jack Kerouac, che scriveva vicino al letto, “da mezzanotte all’alba, con qualcosa da bere per sostenere la stanchezza” e alcuni suoi illustri colleghi, le conseguenze delle veglie notturne si esprimono in capolavori letterari sempiterni, i comuni mortali devono fare i conti con esiti ben meno poetici.

“Quelle a breve termine sono deficit attenzionali, prestazionali, nella qualità della vita diurna dell’insonne. Sono difficilmente quantificabili ma li riscontriamo tipicamente negli studi, in tutte le fasce d’età”. Quanto alle conseguenze a medio-lungo termine, dormire male cronicamente può indebolire il sistema immunitario, ridurre la memoria e la capacità di attenzione e aumenta la probabilità di patologie croniche come la depressione, il diabete di tipo 2 e le malattie cardiache.

Tuttavia, avverte De Gennaro, meglio essere cauti e non diffondere messaggi allarmistici: “Una cosa sono gli studi, tanti, che dimostrano come l’insonnia agisca come fattore di rischio per patologie cardiovascolari, Alzheimer e altri i quadri patologici. Bisogna sempre considerare che si tratta di studi di rischio, vuol dire che lo studio ha dimostrato che c’è una probabilità che dopo alcuni anni il paziente sviluppi queste patologie ma ovviamente non mi azzarderei mai a immaginare un diretto rapporto di causa effetto diretto tra queste e l’insonnia. Però è opportuno che le persone considerino questa eventualità nei loro comportamenti preventivi di salute”. La buona notizia è che le soluzioni non mancano.

Quali sono i Rimedi per l’insonnia?

Sogni d’oro con la terapia cognitivo-comportamentale

Tra contare le pecore e guardare l’attore Matthew McConaughey che contempla la pioggia (il video dura un’ora, sulla piattaforma di streaming soporifero Napflix), la scelta è soggettiva e l’efficacia discutibile.

Sebbene non esistano delle linee guida per il trattamento dell’insonnia, “Nella forma cronica, invece, il trattamento di prima scelta raccomandato dalle società scientifiche internazionali è la terapia cognitivo-comportamentale”, dichiara De Gennaro. Paradossale? Tutt’altro, visto che la stragrande maggioranza di questi farmaci non vanno utilizzati per più di quattro settimane, contro la durata dell’insonnia cronica di almeno tre mesi. “Inoltre viene percepita una apparente immediatezza nell’efficacia farmacologica, rispetto ai trattamenti psicoterapici prevedono almeno sette-otto settimane, senza tener conto che questo approccio sia risolutivo dei fattori eziologici cioè delle cause alla base del problema, mentre quelli farmacologici non lo sono affatto e spesso innescano un meccanismo di dipendenza e tolleranza”. Nei casi di disturbi cronici del sonno, è fondamentale rivolgersi a uno specialista e intraprendere un percorso di cambiamento di comportamenti-credenze, convinzioni e abitudini.

La terapia cognitivo-comportamentale punta a correggere credenze e comportamenti sbagliati legati al sonno © Getty Images

Il protocollo è generalmente organizzato in otto moduli, ognuno dei quali prevede tecniche e obiettivi specifici. Le principali sono finalizzata a rinforzare l’associazione camera-letto-sonno e a rimuovere i fattori che condizionano la mente al non dormire; ad aumentare l’efficienza del sonno riducendo temporaneamente il tempo che si sta a letto, basandosi sul principio di omeostasi del sonno, secondo cui la riduzione delle ore di sonno aumenta la probabilità di addormentarsi; a guidare il paziente nella gestione dei momenti di riflessione sui propri problemi e preoccupazioni, al di fuori della camera da letto.

Quando assumere farmaci e per quanto tempo al massimo

“L’insonnia acuta è l’unica per la quale le società medico-scientifiche raccomandano come primo approccio terapeutico i farmaci”, rileva De Gennaro. Si tratta prevalentemente di prodotti a base di benzodiazepine che, tuttavia, offrono un sollievo immediato senza estirpare il problema alla radice, aumentano il rischio di assuefazione e quindi la necessità di dosaggi crescenti, nella maggior parte dei casi non vanno utilizzati oltre le quattro settimane e possono lasciare una sensazione di ottundimento al mattino. 

Se il problema dell’insonnia è insorto da poco, e sempre sotto controllo medico, è possibile considerare l’ampio spettro dei rimedi naturali.

I rimedi naturali

La dottoressa Stefania Piloni, docente di fitoterapia alla Statale di Milano consiglia: “L’idea è quella di partire in gran forma fin dal mattino e favorire il rilassamento mano a mano che si avvicina la sera. Al risveglio è possibile assumere la rodiola, una pianta che usavano anche i vichinghi per essere pieni di energia; oppure la maca, una pianta peruviana che favorisce il tono mattutino. La sera, invece, per chi fatica ad addormentarsi abbiamo il biancospino, che regolarizza il ritmo cardiaco quando c’è un po’ troppa ansia ed ha un blando effetto ansiolitico; valeriana e passiflora per chi si addormenta e si sveglia a singhiozzo: è importante assumerle insieme, perché lavorano sinergicamente; per chi si sveglia di notte ma sempre alla stessa ora, va bene la melatonina: qui non siamo nel mondo vegetale ma è un valido supporto per mantenere il sonno più profondo; infine, per chi apre gli occhi puntualmente in anticipo sulla sveglia, si consiglia la Withania somnifera, una pianta indiana che aiuta anche a partire con una marcia in più al mattino”.

In tutti questi casi, serve un po’ di pazienza: a differenza dei farmaci, infatti, i primi risultati degli integratori vegetali si manifestano dopo almeno sette-dieci giorni.

Buonanotte allo smartphone

Fuori dalla camera da letto, sostengono molti specialisti, è bene confinare i dispositivi digitali, specie se si hanno difficoltà a prendere sonno. Allo stesso tempo, si assiste ad una crescita rilevante del mercato delle app per contrastare l’insonnia che, secondo un’analisi di Global Market Insights Inc. raggiungerà i 67 miliardi di dollari entro il 2030.

Alcuni guardano con fiducia alle possibilità prospettate dalla tecnologia: in Scozia, ad esempio, nel 2021 il Governo ha reso disponibile gratuitamente a tutti gli assistiti del Sistema sanitario nazionale un trattamento non farmacologico, erogato come terapia digitale mediante un’applicazione (Sleepio) resa disponibile gratuitamente. I risultati dell’iniziativa non sono ancora noti.

L’appello dei medici alla politica

L’insonnia cronica non può più essere derubricata a disturbo con cui convivere. È una patologia invalidante a tutti gli effetti e, come tale, richiede cure e assistenza adeguate. Per questo il 27 giugno scorso, A Roma presso la Sala caduti di Nassirya del Senato della Repubblica, è stato presentato il Policy brief sull’insonnia cronica, un documento approfondito messo a punto da una serie di società scientifiche e cliniche in grado di fornire una prima base informativa ai decisori politici per agire nella giusta direzione. C’è da augurarsi che non ci dormano sopra.

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