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Daniele Rossi, Tomato+. Quale ruolo ha l’innovazione nel sistema alimentare
Quali sono le sfide più grandi per il futuro di un sistema alimentare sostenibile? Lo abbiamo chiesto a Daniele Rossi, founder e Ceo di Tomato+.
Tomato+ è una startup innovativa che produce serre smart da interni pronte all’uso, per la coltivazione idroponica di verdure e germogli. Sfruttando il concetto di vertical farm, la pratica agricola che consente la coltivazione di piante su più livelli sovrapposti con un notevole risparmio di acqua, Tomato+ porta la coltivazione di germogli, erbe e verdure direttamente sul punto di consumo. Uno dei suoi punti di forza è proprio quello di offrire un prodotto fresco a portata di mano in ogni stagione, in casa o al ristorante e, soprattutto, quello di rendere la coltivazione a chilometro zero facile come farsi un caffè.
Entrata lo scorso anno a far parte dell’ecosistema di startup naturalmente sostenibili LifeGate Way, Tomato+ è stata fondata nel 2016 a Borgosatollo (in provincia di Brescia) da Daniele Rossi, che abbiamo incontrato per parlare di come si sta evolvendo Tomato+, dell’importanza di innovazione e nuove tecnologie nella trasformazione del sistema alimentare e delle sfide per rendere sostenibile la filiera agroalimentare.
In che modo Tomato+ va oltre al concetto di vertical farm?
Tomato+ ha sviluppato delle vertical farm per la produzione di verdure e piante basate su un concetto un po’ diverso rispetto a quello tradizionale. Secondo noi, la coltivazione in vertical farm ha dei limiti: certamente rende molto efficiente il processo della produzione ma non quello della filiera, dal momento che le piante prodotte vengono ugualmente tagliate, impacchettate e trasportate. Tutti i vantaggi che abbiamo avuto nella produzione vengono persi nel momento di raccolta e distribuzione, che avviene tramite canali di rete abituali.
Con Tomato+ abbiamo automatizzato l’intero processo, avvalendoci di un sistema a cialde compostabili ultra leggere e dell’intelligenza artificiale che regola ed efficienta al massimo i cicli di produzione senza la necessità di personale specializzato. Per noi la vera innovazione è proprio questa: grazie al concetto di coltivazione a centimetro zero, Tomato+ riduce quasi a zero i costi e l’inquinamento dovuto alla logistica, ma anche gli sprechi perché la pianta viva viene raccolta solo nel momento del suo consumo.
Quando e soprattutto come è nata l’idea di Tomato+?
In passato, mi sono occupato per molto tempo di progettazione e realizzazione di giardini di lusso nel mondo: prima progettista, poi direttore di cantiere in un’azienda. Seguivamo tutto il progetto di esterni, dai giochi d’acqua ai percorsi fino alla piantumazione di piante. Avevo, dunque, un’infarinatura che spaziava in tutti i campi perché avevo necessità di confrontarmi con specialisti dei vari settori.
Alla fine del 2014, durante un viaggio di lavoro in Russia, durante una cena un cliente mi disse che il futuro non sarebbe stato quello di fare giardini di lusso, ma quello di farsi i pomodori in casa. Inizialmente l’ho presa in considerazione esclusivamente come una battuta, ma la sera dopo mi sono recato al supermercato e ho notato che un singolo pomodoro aveva un costo spropositato: sei dollari. Da lì ho capito che c’era un grosso problema di filiera e sono rientrato in Italia con “la pulce nell’orecchio”.
Già prima di questo episodio, avevo notato che nel nostro paese tantissime famiglie e diversi ristoratori cominciavano a parlare di volersi coltivare la propria verdura, anche se non sempre risultava così semplice. Così, ho cominciato a ragionare su come la coltivazione di verdura potesse diventare alla portata di tutti. Ho cominciato a lavorare all’idea e a implementarla e nell’agosto 2015 avevo già realizzato il primo prototipo di legno funzionante nella falegnameria di mio papà. Mi sono licenziato per lavorare a tempo pieno alla startup, ho sviluppato i primi brevetti e l’azienda è poi stata fondata nel febbraio del 2016.
Qual è la visione che sta dietro alla realizzazione di questo progetto e l’obiettivo che si pone Tomato+?
L’obiettivo è quello di offrire la possibilità di produrre verdure in modo sano e non inquinante direttamente sul punto di consumo, a casa o al ristorante, nelle scuole fino a intere comunità – già alcuni governi esteri stanno lavorando in questa direzione. Dunque, offrire un sistema sostenibile di produzione di verdura che non solo è naturalmente ricca di vitamine e sali minerali di qualità, ma addirittura può essere controllata.
Per fare un esempio, i nostri software, utilizzando l’intelligenza artificiale, sono in grado di ricostruire le condizioni ottimali per la crescita sana della pianta in pochi secondi. Sfruttando la possibilità di avere un controllo così completo e andando a lavorare su alcuni parametri, come la frequenza della luce o le concentrazioni di anidride carbonica, nelle nostre serre la pianta può assume caratteristiche diverse, può essere più saporita o più delicata, più o meno croccante fino all’estremizzazione: da qualche anno stiamo lavorando con il Cnr di Catania per a far sì che la pianta possa assorbire più vitamina B12. Per sintetizzare, a tendere, l’idea è quella di semplificare completamente la filiera di produzione, dando la possibilità attraverso macchine molto intelligenti di prodursi verdura buonissima, ma che possa diventare anche un integratore.
Quali sono state e sono, se ce ne sono, le maggiori difficoltà che avete dovuto affrontare e che tutt’ora affrontate?
A livello tecnico, tutta la parte di sperimentazione perché è un mondo nuovo dove non ci sono grandissime competenze, in cui bisogna fare continui tentativi di sviluppo di prodotto. Mi riferisco anche a tutta la parte di sviluppo di nuove referenze, cioè nuove piante, con l’obiettivo di mantenere standard di qualità elevati ed essere in grado di consumare sempre meno energia e acqua. Questo è e sarà un processo molto lungo, in cui vengono investite molte risorse. Dall’altra parte, la difficoltà è un po’ una caratteristica del nostro paese e riguarda l’accesso al capitale. Noi, come startup, abbiamo già effettuato diversi aumenti di capitale e ne stiamo facendo altri, ma spesso ci si trova a competere con aziende d’oltreoceano – ma anche europee – che raccolgono fondi molto più consistenti.
Quanto hanno voglia di sperimentare le realtà a cui vi rivolgete?
Molta voglia e, secondo me, da qui a dieci anni assisteremo a un vero e proprio processo per entrare nelle case delle persone. In questo momento, sperimentano soprattutto università e centri di ricerca, ma anche aziende agricole e governi con l’obiettivo di autoprodurre verdure in loco piuttosto che importarle da migliaia di chilometri.
Oggi in Italia possiamo ritenerci molto fortunati, perché è sempre possibile reperire una piantina di basilico al supermercato o sul balcone di casa. Se ci spostiamo di latitudine non ci sono tutte queste fortune e quella di potersi produrre verdura in casa è una necessità e un processo che, pian piano, si sta espandendo su larga scala. Diciamo anche che il Covid 19 ha accelerato questo processo: ci sono paesi come Arabia Saudita o Singapore che hanno avuto grossi problemi di approvvigionamento durante e dopo la pandemia e ora stanno correndo ai ripari con finanziamenti molto sostanziosi per l’autoproduzione di prodotti agricoli.
Quali sono le sfide più grandi per il futuro di un sistema alimentare sostenibile e dove si colloca Tomato+?
La sfida vera sarà quella di ridurre il più possibile il consumo energetico perché questo oggi è l’unico limite degli impianti di vertical farm. Ormai, l’acqua l’abbiamo ridotta del 98 per cento: grazie a macchine che condensano l’aria riusciamo a eliminarne la necessità. La vera sfida che resta per noi, ma anche per tutti gli altri player del settore, è quello di riuscire ad abbattere l’energia così tanto che si possa riuscire a produrre esclusivamente da fonti energetiche green. Una volta che sarà fatto anche questo, secondo me la produzione in vertical farm prenderà piede completamente.
Parliamo di innovazione e nuove tecnologie: quanto sono importanti per la trasformazione del sistema alimentare globale e quanto lo sono per Tomato+?
Innovazione e tecnologia sono fondamentali, anche per alleggerire una logistica che sta diventando sempre di più insostenibile. Pensiamo, per esempio, al cargo Ever Given che nel marzo 2021 si è incagliato nel canale di Suez, bloccandolo per sei giorni e interrompendo catene di approvvigionamento globali, con ripercussioni durate mesi. Io credo che questo tipo di cose potrebbero succedere sempre più spesso in futuro a causa di una logistica sempre più sollecitata. Potersi svincolare, almeno in parte, da queste dinamiche di smistamento delle merci farà la differenza.
Negli ultimi mesi, grandi chef stellati hanno deciso di chiudere i propri ristoranti a causa di un modello di business non più sostenibile sotto diversi punti di vista. Tomato+ lavora fianco a fianco dei ristoratori: quali sono le maggiori difficoltà che devono affrontare e quali le possibili soluzioni?
Oggi il mercato si basa su piccoli germogli che, per lo più, arrivano dall’Olanda e vengono distribuiti con un prezzo molto alto e, quando si è fortunati, ne viene sprecato almeno il 30 per cento perché la catena è troppo lunga per far sì che il ristoratore riesca a ricevere il prodotto fresco. Immagino che la stessa cosa sia da riportare un po’ a tutto quello che arriva in cucina.
Chiaro, la filosofia del chilometro zero sta prendendo sempre più piede, ma quella rimane comunque ancora una nicchia troppo piccola. Normalmente vengono utilizzati grossi distributori che importano il pesce dall’altra parte del mondo: una catena talmente lunga che inevitabilmente fa lievitare i costi. Aggiungiamoci uno standard di ristorazione veloce che ha bisogno del prodotto finito subito. Probabilmente rivedere la filiera di approvvigionamento potrebbe essere parte di una soluzione che, però, è sicuramente molto più complessa e sistematica.
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