Come costruire un nuovo multilateralismo climatico? Secondo Mark Watts, alla guida di C40, la risposta è nelle città e nel loro modo di far rete.
“Basta greenwashing, serve un’immediata decarbonizzazione”, Luca Fontana racconta la simbolica protesta di Davos
Quattro italiani si sono diretti al World economic forum di Davos in sci, per protestare contro la crisi climatica ed evidenziare le contraddizioni e l’immobilismo delle istituzioni. Luca Fontana era tra loro, lo abbiamo intervistato.
Dal 21 al 24 gennaio i potenti del pianeta si sono riuniti a Davos, in Svizzera, in occasione del World economic forum. Nonostante l’apparente apertura del forum alle questioni inerenti la crisi climatica, che ha un ruolo centrale nel rapporto sui cinque principali rischi globali che potrebbero avere un impatto notevole nel prossimo decennio presentato a Davos, al vertice hanno partecipato anche banche, compagnie di assicurazione e fondi pensione che continuano a finanziare carbone e petrolio. Proprio per mettere in luce questa contraddizione e chiedere azioni concrete per contrastare il collasso ambientale in corso, quattro italiani sono partiti da Sondrio, in Valtellina, e hanno attraversato le Alpi diretti a Davos.
Abbiamo chiesto a Luca Fontana, fotografo ed esploratore che ha preso parte alla spedizione insieme a Giovanni Montagnani, Michele Dondi e Marco Tosi, di raccontarci come è andata.
Cosa vi ha spinto ad intraprendere la spedizione?
L’idea della spedizione è nata da una chiacchierata fatta una sera con Giovanni (Montagnini nda). Discutevamo del fatto che l’edizione di quest’anno del World economic forum fosse dedicata alla sostenibilità, ci è sembrata una scelta assurda considerato che la maggior parte dei partecipanti giunge a Davos con il proprio jet privato, anzi la città svizzera è scelta proprio perché dispone di un aeroporto per jet privati. Ci è sembrato niente altro che greenwashing, considerato soprattutto che ogni anno vengono ancora spesi oltre 300 miliardi in sussidi ai combustibili fossili. Con la nostra spedizione volevamo esprimere un messaggio: tali fondi devono essere immediatamente trasferiti dal fossile alle energie rinnovabili.
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Durante la traversata avete visto con i vostri occhi l’innaturale condizione climatica attuale. È davvero così sconfortante la situazione sulle Alpi?
Purtroppo sì. I primi due giorni abbiamo percorso molti chilometri e ci siamo spostati anche di notte, durante l’attraversamento notturno di due passi situati a oltre tremila metri ci saranno stati tre o quattro gradi, quando in questo periodo la temperatura dovrebbe essere di -15 gradi. Inoltre non c’è neve, ad eccezione delle sporadiche nevicate dei giorni scorsi, l’ultima nevicata risale a dicembre. Abbiamo attraversato diverse valli glaciali e abbiamo osservato rocce innaturalmente chiare, non ossidate, a testimoniare il rapido ritiro dei ghiacci.
Credi che iniziative simboliche come la vostra e movimenti nati dal basso possano davvero influire sulla definizione delle politiche climatiche?
I poteri forti non cambieranno mai di loro spontanea volontà. Non possiamo aspettare che il cambiamento arrivi dall’alto. Dobbiamo assolvere ai nostri doveri di cittadini ed esseri umani, sia rendendo più sostenibili i nostri stili di vita, ma soprattutto attraverso il voto, esercitando pressione sulla classe politica e chiedendo azione concrete ai governi.
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Nonostante i cambiamenti climatici siano i nostri occhi, si ha l’impressione che ancora troppo spesso vengano percepiti come qualcosa di esotico e lontano. Credi che la fotografia possa contribuire a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla crisi climatica in corso?
Assolutamente sì. Il fotografo, o più in generale la figura dell’influencer, ha un grande potere e non sfruttarlo sarebbe un peccato. Io, tramite le mie foto, cerco di comunicare un messaggio e raccontare i temi che sento più vicini, come la tutela della natura o i cambiamenti climatici, temi che sono peraltro strettamente connessi e da cui dipende la nostra sopravvivenza.
Le nostre montagne non sono minacciate solo dall’aumento delle temperature ma anche dallo sfruttamento, da modelli economici obsoleti, che prevedono ad esempio la costruzione di nuovi impianti di risalita, e dai costanti tentativi di spettacolarizzarle e commercializzale. Cosa credi sia necessario fare per promuovere un’esplorazione rispettosa e consapevole?
È necessario riscoprire la montagna con i tempi giusti e tributandole il rispetto che merita. Con Giovanni Montagnani abbiamo realizzato un cortometraggio chiamato Allontanare le montagne, che promuove un alpinismo sostenibile, senza ricorrere a combustibili fossili, avvicinandosi alle montagne in bici o in treno. Purtroppo le amministrazioni continuano ad andare in direzioni opposta. Pensiamo ad esempio a quello che sta accadendo il Alpe Devero, nelle Alpi Lepontine, una valle bellissima simbolo del turismo lento e sostenibile. Questo luogo meraviglioso potrebbe essere rovinato per sempre dal progetto invasivo di un comprensorio sciistico denominato Avvicinare le Montagne, che prevede la costruzione di nuovi impianti di risalita e nuove infrastrutture per collegare Devero a San Domenico. Il costo del progetto ammonta a circa 173 milioni di euro, con una spesa pubblica prevista di quasi 43 milioni. Il progetto è già stato approvato ma per fortuna ha incontrato una forte resistenza popolare ed è stata lanciata una petizione per salvare l’Alpe Devero che ha già raccolto oltre 90mila firme.
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