Profilazione razziale, xenofobia nel dibattito politico e omofobia nel report dell’Ecri. Tra le sue richieste c’è quella di rendere indipendente l’Unar.
Riccardo Bonacina. Dare “Vita” alla società
Giornalista, critico teatrale, redattore, autore. Nel 1994 ha fondato “Vita”, il magazine punto di riferimento per le Onlus e per tutto il mondo del terzo settore. La nostra intervista.
Dalla critica, al giornalismo. Dai corridoi televisivi, a quelli
della radio. Per approdare a “Vita”. Partendo da uno spunto poco
felice, ovvero l’aumento delle tariffe postali, ci ha raccontato
della sua carriera, del suo progetto editoriale, tra spunti e
sfide, sfiorando temi molto, molto contingenti.
Le più
grandi Onlus italiane hanno lanciato un appello che di recente il
sito di “Vita” ospita. Ce ne può parlare?
L’occasione dell’appello e
la conseguente mobilitazione è data da questo che possiamo
definire un vero colpo di mano con decreto interministeriale del 30
marzo pubblicato in Gazzetta Ufficiale all’indomani, cioè il
31 marzo, e operativo dal primo aprile, che tra i provvedimenti che
prende, toglie anche tutte le agevolazioni postali che erano in
essere da molti anni. Tra le categorie che godevano di tutte le
agevolazioni ci sono anche tutte le organizzazioni non profit, le
Onlus che da un mattino all’altro si vedono aumentare le tariffe
del 500%. Da qui l’appello di Vita Contro
l’aumento delle tariffe postali che sta arrivando
quasi a quota 10.000 firme, significa che è un tema molto
sentito e che ha sicuramente indignato.
Perché ciclicamente c’è qualcuno che cerca di frenare il
lavoro delle Onlus, cioè la ricerca fondi e la diffusione di
informazioni? Poco tempo fa era anche stata proposta l’abolizione
del 5 per mille, grande fonte di
sovvenzioni.
Questa, avrebbe detto
Sandro Paternostro, è una domanda delle cento pistole. Pensate
a città in cui non ci siano organizzazioni non profit che si
occupano di immigrati, di pronto soccorso, di assistenza a chi ha
problemi di dipendenza, che si occupano magari anche degli aspetti
educativi dell’infanzia. Che cosa sarebbero queste città?
Quelli che a turno ci governano, senza differenza di colori, non
capiscono che questa parte di società è essenziale a
qualsiasi ipotesi di sviluppo e di riforma del welfare e quindi la
guardano sempre come una cosa residuale a cui ogni tanto si fa un
favore, a cui ogni tanto si fa qualche concessione, ma non la
guardano come gamba vera del processo di innovazione del paese.
Quindi credo che alla fine sia un problema di insipienza culturale.
Qual è il
suo punto di vista sulla vicenda Emergency di questi ultimi
giorni?
Spero che come la stessa
legge afghana prevede questi tre medici volontari siano rilasciati
immediatamente. Il fermo di 24 ore è scaduto, le accuse non si
capiscono e non sono state notificate quindi se l’Afghanistan vuole
dimostrare di essere un paese sulla via della democratizzazione,
deve rilasciare subito questi tre nostri connazionali.
La sua carriera
parte dal giornalismo, passa dalla tv alla radio. La conoscenza di
questi media l’ha aiutata a concepire il progetto di Vita?
Credo sia stata una fortuna
per me. Io sono partito come critico teatrale, redattore culturale
e quindi abituato ad articoli molto lunghi, che quando io ho
iniziato si chiamavano pistolotti, gli editoriali, gli elzeviri.
Poi sono stato in tv dove i testi più lunghi stavano sulle 20
righe, poi in radio dove stavano sulle 10 e dove era importante la
capacità di dialogo e di reattività col pubblico dei
radioascoltatori. Quando sono arrivato a “Vita” questi percorsi,
che in qualche modo mi hanno aiutato anche dal punto di vista
artigianale a padroneggiare vari media, hanno aiutato me e
soprattutto i giovani che con me lavorano
ad avere da subito un DNA multimediale che credo sia essenziale
proprio nella concezione dell’impresa media
moderna.
Quali sono le
piattaforme attraverso cui “Vita” si articola?
Il prodotto madre è
sempre il magazine, settimanale che è quello che attesta la
nostra nascita, la nostra storia, il nostro sviluppo, poi con gli
anni abbiamo lavorato molto sul web. Abbiamo licenziato nel
novembre scorso questo nuovo portale che è www.vita.it, una
piattaforma compiuta su web 2.0 che permette l’interazione con gli
utenti, la mobilitazione, come nel caso delle tariffe postali, i
commenti, i blog, l’autopubblicazione da parte delle organizzazioni
e dentro questa piattaforma c’è anche una parte
podcast di video e radio che stiamo
alimentando e che presto approderà anche a un progetto
più compiuto.
“Vita” ha il
suo focus sulla società reale, che spesso viene dimenticata
dalla stampa mainstream. Come si pone rispetto ad
essa?
E’ un momento di crisi della stampa mainstream, che perde un ritmo
di 10-20% di copie all’anno o che perde 10-20% di pubblicità
all’anno. E’ un modello di informazione che non si regge più,
non solo dal punto di vista della credibilità, ma anche dal
punto di vista industriale. Credo che noi dimostriamo, essendo
anche liberi da finanziamenti pubblici, che è possibile un
modello di impresa che concepisce l’informazione come bene pubblico
e quindi come bene partecipato da tutti, dalle associazioni, dai
cittadini. Dimostriamo che tutto questo è possibile, sia dal
punto di vista della concezione giornalistica, sia dal punto di
vista imprenditoriale.
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