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Investimenti sostenibili, tutti i numeri del loro successo
Gli investimenti sostenibili e responsabili sono stati ritenuti troppo a lungo una nicchia o un’utopia. Ora, però, le cose sono cambiate. Lo dimostra l’ultimo report di Eurosif, il Forum europeo per gli investimenti sostenibili e responsabili, presentato martedì 15 novembre a Montecitorio, all’evento di apertura della Settimana SRI 2016. Per realizzare lo studio, Eurosif ha
Gli investimenti sostenibili e responsabili sono stati ritenuti troppo a lungo una nicchia o un’utopia. Ora, però, le cose sono cambiate. Lo dimostra l’ultimo report di Eurosif, il Forum europeo per gli investimenti sostenibili e responsabili, presentato martedì 15 novembre a Montecitorio, all’evento di apertura della Settimana SRI 2016.
Per realizzare lo studio, Eurosif ha interpellato 278 operatori del settore da tutt’Europa, che gestiscono complessivamente oltre 15.000 miliardi di euro. I risultati parlano da soli: il mercato degli investimenti sostenibili e responsabili in Europa è cresciuto addirittura del 25 per cento tra il 2013 e il 2015. “A livello europeo siamo in un momento particolarmente propizio. Ce lo dimostrano le politiche adottate da Junker, le leggi e le consultazioni sull’investimento sostenibile, sulla rendicontazione non finanziaria e così via. Nel nostro studio, non a caso abbiamo sottolineato la relazione forte tra le policy e la crescita degli investimenti sostenibili, per far capire al mondo della politica quanto è grande la sua influenza”, ha commentato Flavia Micilotta, direttore generale di Eurosif.
Cosa ancora più interessante, gli investimenti sostenibili non sono più materia soltanto per investitori istituzionali (vale a dire banche, assicurazioni, intermediari finanziari). Il peso del retail (vale a dire le persone fisiche) infatti è passato dal 3,40 per cento del 2013 al 22 per cento, “un sintomo della ricettività di alcuni investitori che più di altri hanno voluto capire l’importanza dei criteri ESG per i loro investimenti”, ha spiegato a LifeGate Flavia Micilotta.
Investimenti sostenibili, si comincia dalle esclusioni
Gli investimenti sostenibili non sono tutti uguali, ma possono seguire ben sette strategie differenti. Tutte hanno visto una costante crescita negli ultimi due anni, ma con notevoli differenze di caso in caso. A fare la parte del leone in Europa è l’approccio delle esclusioni, il più “anziano”. Chi sceglie questa strada taglia fuori dall’universo dei suoi possibili investimenti le imprese che operano in settori non coerenti con i suoi ideali (tabacco, armi, pornografia, gioco d’azzardo ecc.). A livello di capitali investiti in Europa, nel 2015 le esclusioni hanno sfondato il muro dei 10 mila miliardi di euro, con un aumento del 48 per cento rispetto al 2013. “Non è una sorpresa – commenta Flavia Micilotta -, considerato il moltiplicarsi di soggetti (soprattutto fondi pensione) che negli ultimi anni hanno scelto di disinvestire i loro capitali da carbone e petrolio“. Questo mercato vale più di 2.500 miliardi nella sola Svizzera, seguita dal Regno Unito che è a poco meno di 2.000 miliardi (con un incoraggiante +99 per cento in soli due anni).
Quanto valgono gli investimenti in rinnovabili ed energie pulite
Nell’arco degli ultimi due anni, si è assistito a una crescita molto promettente dei cosiddetti investimenti tematici. La categoria comprende tutti i capitali che vengono investiti direttamente in aree legate alla sostenibilità: efficienza energetica, energie rinnovabili, trasporti a basso impatto, gestione dei rifiuti e così via. Si tratta di un approccio molto più selettivo e complesso rispetto a quello delle esclusioni e questo spiega perché i volumi siano ancora molto più piccoli. La crescita, però, è costante e sostenuta: nel 2009 in Europa gli investimenti tematici erano a quota 25 miliardi di euro, nel 2013 sono arrivati a poco meno di 59 miliardi e nel 2015 hanno vissuto un vero e proprio boom, arrivando a 145 miliardi (+ 146 per cento). I paesi più all’avanguardia sono Francia (più di 43 miliardi di euro) e Paesi Bassi (più di 37 miliardi).
L’impact investing fa passi da gigante
Ma a vivere la crescita più rapida è l’impact investing, o finanza a impatto. Con questa politica di investimenti sostenibili, aziende, organizzazioni e fondi si pongono due obiettivi: il ritorno finanziario, come in qualsiasi investimento convenzionale, e un impatto positivo, concreto e misurabile, sulla società e sull’ambiente. Si tratta di una realtà relativamente nuova, che sta vivendo una vera e propria esplosione. Nel 2011 l’Europa era a quota 8,75 miliardi di euro, nel 2013 a 20 miliardi e nel 2015 a più di 98 miliardi, con un impressionante +385 per cento in soli due anni. Questi investimenti sono pressoché monopolizzati da Paesi Bassi (più di 40 miliardi di euro) e Danimarca (più di 30 miliardi), ma nei prossimi anni bisognerà attendersi cifre interessanti anche da altri paesi europei.
L’avanzata dei green bond
Il rapporto Eurosif sugli investimenti sostenibili non poteva non tenere d’occhio i green bond, cioè quelle obbligazioni che vengono emesse per finanziare progetti legati al contrasto al cambiamento climatico. Nel 2015, nel mondo, sono stati emessi green bond per 40 miliardi di dollari, un valore che probabilmente verrà “doppiato” nel corso di quest’anno, visto che il 9 agosto le nuove emissioni avevano già raggiunto i 44 miliardi di dollari.
Proprio perché in rapidissima ascesa, sottolinea Eurosif, questo comparto sente il forte bisogno di chiarezza. Gli investitori infatti sono sempre più avidi di informazioni precise sui progetti in cui vengono investiti i proventi delle obbligazioni, per capire di chi si possono davvero fidare. “È importante seguire delle caratteristiche e delle regole se si vuole che i green bond rappresentino una vera svolta e per assicurare un buon livello di fair play. In un’industria in cui le definizioni talvolta rimangono in sospeso, questo non è facile. La Commissione, super partes, può decidere di intervenire per fare maggior chiarezza, ma allo stesso tempo, forse preferisce lasciare fare al mercato. Ci sono sicuramente pro e contro a ciascuna di queste opzioni”, commenta Flavia Micilotta.
Ad oggi le principali iniziative di auto-regolamentazione sono due, Green Bond Principles e Climate Bond Initiative, e a entrambe si aderisce su base volontaria. Parallelamente, sono sempre di più le società che si affidano a una società di revisione esterna per garantire che i progetti finanziati con i green bond siano davvero “verdi”.
Foto © James Leynse/Corbis via Getty Images
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