La crisi climatica corre veloce, le nostre azioni no. L’Ipcc ha presentato i risultati del secondo gruppo di lavoro del sesto rapporto di valutazione (Ar6).
La crisi climatica causata dall’essere umano corre troppo veloce. Le azioni per fermarla sono insufficienti.
Dovremmo ridurre le emissioni del 45 per cento entro il 2030. Secondo le previsioni aumenteranno del 14 per cento.
Il terzo lavoro del sesto rapporto dell’Ipcc, quello dedicato al taglio delle emissioni di CO2, uscirà ad aprile.
La crisi climatica e i pericoli connessi al riscaldamento globale causato dalle attività umane stanno diventando inarrestabili. Si verificano a una velocità tale che rischiamo di perdere quel po’ di controllo che abbiamo sul nostro futuro, impedendo persino alla natura di adattarsi. Se non tagliamo adesso le emissioni di gas ad effetto serra, come l’anidride carbonica (CO2) e il metano, molti luoghi rischiano di diventare presto invivibili, a cominciare dalle città, gli habitat dove si è “rifugiato” oltre il 70 per cento della popolazione mondiale.
Ipcc, cosa dice il secondo gruppo di lavoro dell’Ar6
È la conclusione a cui sono giunti i 270 autori – per il 41 per cento donne e il 59 per cento uomini – provenienti da 67 paesi che hanno lavorato alla seconda parte (working group II) dedicata agli impatti, all’adattamento e alla vulnerabilitàdel sesto rapporto di valutazione dell’Ipcc (Ar6). Il lavoro del primo gruppo, dedicato alle basi e alle evidenze scientifiche era stato pubblicato il 9 agosto e lo trovate qui. Il terzo e ultimo lavoro sui modi per tagliare le emissioni verrà pubblicato ad aprile.
L’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) è il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite fondato nel 1988 grazie alla collaborazione tra l’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) e il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) e premio Nobel per la Pace nel 2007 “per gli sforzi per costruire e diffondere una conoscenza migliore sui cambiamenti climatici causati dall’essere umano e per aver posto le base per la creazione delle misure necessarie per contrastarli”.
“Le evidenze scientifiche sono inequivocabili: i cambiamenti climatici sono una minaccia per l’umanità e per la salute del Pianeta – ha affermato Hans-Otto Pörtner, uno dei coordinatori del secondo gruppo di lavoro dell’Ipcc –, qualsiasi ulteriore ritardo nell’azione globale farà chiudere l’unica finestra di possibilità che abbiamo per garantirci un futuro vivibile” e quindi abitabile dalla specie umana. Detta in modo semplice: nessuno è al sicuro, non c’è più tempo, non esistono più mezze misure contro la crisi più grave del secolo, quella climatica, nonostante gli esseri umani pensino di essere immortali facendosi guerra tra loro.
Le conseguenze su habitat e persone del riscaldamento globale
A confermarcelo sono i periodi di siccità, le inondazioni causate da nubifragi e uragani, le ondate di calore che causano stress psicofisico e altri eventi meteorologici estremi sempre più frequenti e potenti. Fatti che renderebbero futile quello che è stato definito come “l’avvertimento più cupo” da parte degli scienziati se solo l’essere umano dimostrasse di essere intelligente, come crede, da capire le conseguenze delle proprie azioni. O inazioni, in questo caso.
Nel 2019 gli eventi sopraccitati hanno causato 13 milioni di sfollati tra Asia e Africa, ma non basta. Perché il caldo e l’assenza di precipitazioni porterà sempre più piante e alberi, frutto del nostro benessere e sostentamento, a non produrli, i frutti, o a finire arrostiti da incendi su larga scala. Come sta succedendo negli ultimi mesi in California, negli Stati Uniti.
Una diretta conseguenza di questo mancato “raccolto” è la malnutrizione o, peggio, la fame. Senza considerare che già oggi circa 3 miliardi di persone si stanno confrontando con situazioni in cui l’acqua – la fonte di vita sulla Terra – scarseggia.
L’essere umano ha passato secoli a trattare la natura come il suo peggior nemico. La verità è che la natura può essere la nostra salvatrice, ma solo se prima la salviamo.
Inger Andersen, Unep
Humanity has spent centuries treating #nature like its worst enemy. The truth is that nature can be our saviour – but only if we save it first.
Gli impatti risultano amplificati all’ennesima potenza nelle città, vere e proprie isole di calore, dove vive più della metà della popolazione globale e dove gli effetti del global warming si combinano all’inquinamento da polveri sottili causato dal riscaldamento o dal raffrescamento degli edifici e dal traffico della automobili. Senza dimenticare l’uso insostenibile delle risorse naturali che ogni anno ci fa andare in debito con la Terra sempre prima: è il cosiddetto Overshoot day.
Il resto lo fa l’urbanizzazione senza senno che toglie spazio alle aree verdi, agli habitat naturali, creando terreno fertile per disoccupazione, povertà, disuguaglianze sociali e concretizzando il concetto di ingiustizia climatica. Per questo è fondamentale portare le città nel futuro attraverso una pianificazione urbanistica che includa la costruzione o la ristrutturazione di edifici in chiave sostenibile, lo sviluppo di reti efficienti, e senza sprechi, per il trasporto dell’acqua potabile e la distribuzione dell’energia rinnovabile. Politiche e strategie che garantirebbero lo sviluppo di una società più giusta, che non lasci indietro nessuno.
Tra le aree più colpite c’è l’area mediterranea che sta vivendo un riscaldamento pari a 1,5 gradi rispetto alla media globale di 1,1 gradi. Va ricordato che, secondo i climatologi, l’aumento della temperatura media globale va tenuto entro gli 1,5 gradi.
Nessuna regione abitata è risparmiata da un aumento della temperatura e da un aumento degli eventi estremi. Tutti siamo colpiti;
circa la metà della popolazione globale (tra 3,3 e 3,6 miliardi di persone) vive in aree particolarmente vulnerabili;
centinaia di milioni di persone vivono situazioni di carenza di cibo e di acqua;
un’estinzione di massa è in corso, dagli alberi ai coralli;
l’aumento di 1,5 gradi della temperatura media globale è il limite massimo oltre il quale gli impatti diventano sempre più rapidi, gravi e pressoché irreversibili.
Le parole di António Guterres sul clima sono cristalline
Senza una rapida riduzione delle emissioni di gas serra pari al 45 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 2010, per poi raggiungere le emissioni nette zero nel 2050, dunque, sarà inevitabile restare ingabbiati in un circolo vizioso impossibile da spezzare. Impossibile è la parola giusta visto che ogni piccolo aumento della temperatura superiore al grado e mezzo trasformerebbe i cambiamenti climatici in qualcosa, dicevamo, di “inarrestabile”.
E ora ci troviamo in rotta verso un aumento, e non una riduzione, delle emissioni del 14 per cento da qui al 2030, come ricordato anche dal segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres che, dopo aver dovuto concentrare il suo tempo sulla guerra in Ucraina, oggi ci ricorda che la vera emergenza è quella climatica.
“Questo rapporto dell’Ipcc ci dice due cose: la prima è che il carbone e gli altri combustibili fossili stanno soffocando l’umanità” e ha ammonito i paesi del G20 esortandoli a fermare i finanziamenti alle fonti fossili anche in casa loro e non solo all’estero. E altrettanto devono fare le compagnie private, come l’italiana Eni. Le parole non bastano.
La seconda cosa evidenziata da Guterres è che “investire nell’adattamento funziona perché salva vite umane. Mitigazione e adattamento devono dunque essere perseguiti con la stessa determinazione e urgenza”. Ogni “ritardo” è “mortale”.
Oltre a porre fine oggi all’era dei combustibili fossili, gas incluso (con buona pace nostra e dei nostri fornitori russi), l’altra soluzione consiste nel ripristino degli ecosistemi degradati e nella protezione della metà di quelli esistenti. Così che anche gli insediamenti umani ne possano trarre beneficio. “Solo così si accelera il progresso verso lo sviluppo sostenibile”, ha affermato Debra Roberts, co-coordinatrice dell’Ipcc, “ma sono indispensabili finanziamenti adeguati e sostegno politico”. Tradotto in tre parole: tanta buona volontà.
Gli studi più recenti sul riscaldamento globale fotografano una realtà preoccupante. Ancor più di quanto previsto dal Quinto rapporto dell’Ipcc del 2014.
Finanza climatica, carbon credit, gender, mitigazione. La Cop29 si è chiusa risultati difficilmente catalogabili in maniera netta come positivi o negativi.