L’Iran ha eseguito la prima condanna a morte per le proteste contro il regime: la vittima è Mohsen Shekari, 23 anni. Altre 10 persone rischiano la vita.
Si chiamava Mohsen Shekari, aveva 23 anni, lavorava in un bar ed era appassionato di videogame. All’alba dell’8 dicembre è stato giustiziato in Iran in seguito alla condanna a morte ricevuta per la partecipazione alle proteste contro il regime, in corso ormai dal 16 settembre. Mohsen Shekari era stato dichiarato colpevole, lo scorso 20 novembre, di “guerra contro Dio” dal tribunale che lo aveva giudicato senza un regolare dibattimento pubblico: Mohsen Shekari, secondo l’accusa, il 25 settembre scorso durante una delle prime rivolte popolari contro l’uccisione della giovane Mahsa Amini avrebbe bloccato una strada di Teheran con l’intento di creare disordini e uccidere, e avrebbe ferito con un’arma da taglio un agente del Basij, un corpo paramilitare legato ai pasdaran, i guardiani della rivoluzione.
Mohsen Shekari, secondo le versioni degli organi di stampa ufficiali iraniani, ben poco credibili, avrebbe “confessato” le proprie responsabilità spiegando di essere stato convinto a scendere in piazza da un amico dietro ricompensa. Da qui la decisione della Corte Suprema di confermare la condanna a morte.
Altre 10 persone a rischio esecuzione
Alla faccia dell’annuncio di abolizione della polizia morale, che poteva lasciar prefigurare un ammorbidimento delle posizioni del regime messo alle strette dalle potenti manifestazioni popolari al grido di women, life, freedom, la repressione continua dunque nel solco della linea più dura. Quella di Moshen Shekari è la prima condanna a morte delle undici fin qui emesse dai tribunali iraniani a essere eseguita, e a questo punto si teme che anche per gli altri condannati i tempi per l’esecuzione possano accelerarsi.
A rischiare la vita ci sono anche due minori e una donna, Fahimeh Karimi, madre di tre bambini, la cui storia è stata raccontata dalla giovane italiana Alessia Piperno, che ha condiviso con lei la cella del carcere di Evin per 34 giorni. “Un giorno è uscita dalla cella per andare in infermeria, e non è più tornata. Tra di noi non ci sono state grandi conversazioni, dal momento che io non parlavo farsi e lei non parlava inglese. Ma eravamo unite dallo stesso dolore e dalle stesse paure. Ho cercato il suo nome ogni giorno da quando sono tornata, per controllare se avessero liberato anche lei. Invece mi sono trovata davanti a un articolo con il suo volto con scritto condannata a morte”. Anche per lei l’accusa è di aver colpito, ferendolo, un paramilitare del Basij.
La risposta di Teheran all’Occidente
Il regime iraniano, lungi dal voler indietreggiare, sembra ora voler addirittura alzare il tiro.Tra le tantissime reazioni di sdegno e preoccupazione giunte ieri dall’Occidente, c’è stata anche quella della vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno, che su Twitter aveva parlato di “prima folle sentenza di morte eseguita per un manifestante in Iran. Ci troverete dalla parte della libertà, dalla parte dei manifestanti. Sempre”.
Il ministero degli Esteri di Teheran ha risposto a tutte le accuse assicurando che “nel contrastare le rivolte, l’Iran ha mostrato la massima moderazione e, a differenza di molti regimi occidentali che diffamano e reprimono violentemente anche i manifestanti pacifici, l’Iran ha impiegato metodi antisommossa proporzionati e standard. Lo stesso vale per il processo giudiziario: moderazione e proporzionalità”. Per poi, in un tweet successivo, taggando proprio Pina Picierno in persona, insieme ai ministeri degli esteri francese e austriaco e alla ministra tedesca Annalena Baerbock aggiungere: “Invece di smascherare la sua falsità con dichiarazioni politicizzate, l’Occidente deve smetterla di ospitare, sostenere e incoraggiare i terroristi”.
Il giudice sanzionato e le misure dell’Europa
Abolghassem Salavati, il giudice che ha condannato a morte Shekari, rientra tra i soggetti colpiti da sanzioni da parte degli Stati Uniti, con l’accusa di aver tenuto processi di natura politica contro giornalisti, avvocati, attivisti e minoranze etniche. L’Europa da parte sua, in questi quasi tre mesi di rivolte, ha emesso due pacchetti di sanzioni contro il regime iraniano: il primo a ottobre, con il congelamento dei beni e lo stop ai visti per i capi della polizia morale, delle Guardie rivoluzionarie e del ministro iraniano della Tecnologia dell’informazione Eisa Zarepour. Il secondo a metà novembre, che ha colpito altri 29 dirigenti ed enti nazionali, tra cui il ministro dell’Interno Ahmad Vahidi per gravi violazioni dei diritti umani.
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