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Iran, la diplomazia festeggia la ritrovata normalità
Grazie alla diplomazia, la vita continua a scorrere tranquilla a Teheran. E ora l’Iran è pronto a unirsi nella lotta contro lo Stato Islamico.
Il 4 novembre 1979 un gruppo di studenti iraniani occupa l’ambasciata degli Stati Uniti nella capitale Teheran. Una reazione in risposta alla decisione di Washington di concedere l’asilo politico allo scià Reza Pahlavi fuggito dal paese dopo la rivoluzione islamica sfociata da un referendum tenuto nel marzo del 1979. La rivoluzione, guidata dall’ayatollah Ruhollah Khomeini, trasformò l’Iran (fino ad allora una monarchia) in una repubblica islamica.
Un cambiamento storico che costrinse l’America a rivedere la propria strategia in Medio Oriente dopo essersi ritrovata senza l’alleato storico nella regione araba – soprattutto per quanto riguarda le importazioni di petrolio. Washington cominciò a trovare, di volta in volta, un alleato ad hoc per contrastare l’islamizzazione –e quindi la perdita di controllo – della regione. Un po’ come successo per Cuba nei Caraibi, ogni campagna elettorale americana, negli ultimi 30 anni, ha avuto l’Iran tra i bersagli preferiti.
La democrazia che non piaceva agli Stati Uniti
Così durante la guerra con l’Iraq durata otto anni (1980-1988), gli Stati Uniti sostennero e finanziarono il regime di Saddam Hussein; sostennero, insieme all’Unione europea, la decisione da parte delle Nazioni Unite di imporre – a partire dal 2006 – sanzioni economiche e commerciali per fermare il presunto piano nucleare portato avanti dal presidente Mahmud Ahmadinejad (al potere dal 2005 al 2013). Un episodio passato alla storia è rappresentato dalla lettera che quest’ultimo inviò nel 2006 al suo omologo americano George W. Bush per cercare di evitare le sanzioni più dure che hanno messo l’economia iraniana in ginocchio. Una lettera in cui il “tiranno” Ahmadinejad chiedeva al “despota” Bush: “Perché qualsiasi progresso tecnologico e scientifico in Medio Oriente viene interpretato e descritto come una minaccia nei confronti del regime sionista?”. Cioè, di Israele.
La vita quotidiana in Iran
La cronistoria descritta finora, però, fa a pugni con un altro Iran, con la realtà di un paese che, nei fatti e nelle foto sopra pubblicate, è ed è stato molto più democratico di quanto si possa immaginare. Più democratico di altri grandi attori della regione, come l’Arabia Saudita. Se in Iran oggi non governa più Ahmadinejad è perché si sono tenute elezioni libere che hanno portato al governo un presidente più moderato. Quello attuale, Rouhani, ha contribuito a portare il paese oltre le sanzioni – la cui fine è stata annunciata il 17 gennaio dal capo della diplomazia europea, Federica Mogherini – e a rimetterlo in carreggiata. Il redivivo Iran può tornare ad essere un attore fondamentale della regione e contribuire a sconfiggere il terrorismo dello Stato Islamico. L’Iran è un esempio di successo straordinario per la diplomazia internazionale, spesso criticata per i tempi biblici, ma i cui risultati sono incommensurabili in termini di vite e di soldi risparmiati, rispetto a cosa sarebbe accaduto se si fossero usate le armi per raggiungere lo stesso obiettivo.
Per cui, viva la diplomazia e viva la democrazia. Due istituzioni che in questi mesi stanno subendo attacchi diretti e indiretti micidiali, ma che con un solo colpo hanno messo al tappeto anni di ingiustizie, violenze (fisiche e verbali) e arroganza. Bentornato, anzi ben ritrovato Iran.
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