
Ursula von der Leyen annuncia un pacchetto di investimenti di 12 miliardi di euro per rafforzare la cooperazione. E intanto le cinque repubbliche ex-sovietiche si smarcano dalla Turchia sulla spinosa questione cipriota.
Migliaia di persone manifestano a causa della scarsità di acqua in Iran e Pakistan. Le cause? Crisi climatica e cattiva gestione.
Migliaia di cittadini stanno facendo sentire la loro voce in Pakistan e in Iran per il diritto all’acqua. Nel primo caso le manifestazioni vanno avanti da ormai tre settimane nella città di Gwadar, con la richiesta da parte della popolazione di diritti di base tra cui l’acqua potabile. In Iran invece le proteste sono esplose nella città di Isfahan, dove il prosciugamento di un fiume a causa della profonda siccità e della malagestione delle risorse idriche del governo ha lasciato senza irrigazione i terreni degli agricoltori. Già in estate una collera popolare simile era esplosa nell’area del Khuzestan e oggi come allora le autorità hanno risposto con la forza. Il timore è che si ripeta uno schema già verificatosi altrove, come in Siria, quando la siccità e l’assenza di acqua divennero uno degli innesti della guerra civile.
Isfahan, città di due milioni di abitanti nell’Iran centrale, è in subbuglio dal 9 novembre scorso. Quel giorno le strade della città si sono riempite dei primi manifestanti, contadini muniti di megafono che gridavano alle autorità di dare loro forse il bene primario per eccellenza, l’acqua. Il fiume Zayandeh Rud, che taglia in due il centro urbano ed è indispensabile per l’economia locale dal momento che alimenta l’irrigazione dei terreni, in queste condizioni è diventato impossibile.
Con il passare dei giorni la protesta si è allargata. Decine di migliaia di manifestanti hanno occupato il letto prosciugato del fiume, costruendo accampamenti e offrendo cibo a chi si univa alla protesta, che è così diventata statica. Le autorità inizialmente hanno tollerato le rimostranze e addirittura alcuni agricoltori sono stati intervistati sulla televisione di stato. Poi, quando il presidio è diventato qualcosa di più grosso e dall’acqua si è passati a criticare in modo più generico il regime degli ayatollah, la risposta dura da Teheran non si è fatta attendere.
Nelle fasi più concitate delle proteste ci sono stati blocchi di internet, per ostacolare l’organizzazione dei manifestanti. Le forze di sicurezza iraniane hanno lanciato lacrimogeni e incendiato gli accampamenti dei manifestanti, poi hanno fatto ricorso a pistole e fucili. Decine di manifestanti sono rimasti feriti, 120 persone sono state arrestate e si contano almeno tre morti. Il gruppo Iran human rights ha espresso “grave preoccupazione” per la situazione di Isfahan, invocando una presa di posizione della comunità internazionale.
Qualcosa di simile è successo a luglio nell’area occidentale del Khuzestan, quando migliaia di agricoltori sono scesi in piazza per lamentare i problemi idrici che rendevano difficile il loro lavoro. Anche in quel caso le proteste si sono sporcate di sangue, con diversi morti e decine tra feriti e arrestati.
Le autorità dell’Iran danno la responsabilità della crisi idrica di Ishafan al riscaldamento globale. In effetti il paese non viveva una siccità come quella del 2021 da decenni e secondo le stime dell’Iran meteorological organization il 97 per cento del territorio iraniano sta accusando una scarsità di acqua. Quest’anno la temperatura in certe aree è arrivata in più occasioni a 50 gradi, le piogge non si sono fatte vedere per lunghi periodi e le conseguenze sull’agricoltura si stanno facendo sentire un po’ ovunque. L’acqua delle dighe è diminuita del 20 per cento e per quanto il governo abbia ordinato di aprirne alcune per favorire una maggiore circolazione di acqua a seguito delle proteste del Khuzestan, la situazione resta critica. L’Iran è una nazione a forte rischio desertificazione e gli studi parlano di una riduzione delle precipitazioni del 20-25 per cento di qui al 2050, segno che il paese vivrà sempre più frequentemente momenti difficili come quelli di quest’anno.
Le questioni climatiche, per quanto presenti, sono però strumentalizzate dal governo. Che in questi anni ha fatto poco o nulla per provare a gestire la situazione e anzi in certi casi ha contribuito a peggiorarla. Nel caso di Isfahan, da otto anni c’è in ballo un programma già approvato per ridare acqua al territorio, ma finora non c’è stata alcuna implementazione. Inoltre, i manifestanti sottolineano che di acqua potrebbe arrivarne ancora nella città, se solo Teheran non avesse deciso di deviarla con un sistema di tubature verso altri centri ritenuti strategicamente più importanti, come l’area industriale di Yazd. Durante le proteste gli agricoltori hanno usato dei bulldozer per rompere proprio alcuni di questi condotti.
Scelte politiche errate sono alla base della situazione difficile che sta vivendo tutto il paese. L’Iran, anche in risposta alle sanzioni internazionali, ha puntato sempre più sull’autosufficienza alimentare e questo ha aumentato di molto il fabbisogno di acqua per la produzione agricola e industriale. Sono state costruite molte dighe, che hanno avuto un impatto violento sulla portata dei fiumi, mentre gli agricoltori sono stati stimolati a fare coltivazioni che richiedono molta acqua, come grano, riso e zucchero di canna. Il governo però non è riuscito a gestire questa situazione. “Non esiste un piano nazionale completo di gestione dell’acqua o un coordinamento tra agenzie, anche se si parla molto della necessità di averli”, ha sottolineato Banafsheh Keynoush, la presidente di MidEast Analysts, un’agenzia di consulenza geopolitica.
Al confine orientale dell’Iran c’è un altro paese che sta vivendo una situazione difficile legata all’acqua, il Pakistan. Da ormai tre settimane nella città di Gwadar migliaia di persone protestano per l’accesso ai diritti di base, tra cui quello all’acqua potabile. La città portuale di 90mila abitanti da anni vive una carenza idrica, dopo che la siccità ha ridotto il flusso di acqua delle tre dighe che rifornivano la popolazione. Da tempo per bere in città si attende in strada la distribuzione di taniche da parte delle istituzioni, un sistema che si sta rivelando sempre meno sostenibile. Al punto che è esplosa la protesta.
L’ufficio centrale di polizia del Belucistan, la regione dove sorge Gwadar, in questi giorni ha inviato 5.500 agenti in città per mantenere l’ordine e cercare di controllare le sommosse. L’autostrada è bloccata da giorni dai manifestanti, mentre scioperi di negozi e uffici si ripetono cronicamente in quella che è una protesta sempre più collettiva. Quello che sta vivendo il centro portuale non è un’eccezione, quanto piuttosto un’anticipazione del futuro che attende il Pakistan. Nel 2021, per esempio, il sistema di irrigazione della provincia di Sindh ha ricevuto il 35 per cento di acqua in meno rispetto all’anno scorso, mentre le proiezioni dicono che entro il 2025 la crisi idrica riguarderà tutto il paese. Come nel caso iraniano, il problema ha a che fare solo in parte con i cambiamenti climatici, dal momento che in molti casi l’acqua è presente ma viene sprecata a causa della malagestione.
Il rischio è che il peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita della popolazione a causa della scarsità di acqua si traduca in moti sociali sempre più frequenti e diffusi. Paesi come la Siria o, più recentemente, l’Afghanistan, si sono ritrovati impantanati in guerre e conflitti interni derivanti anche dai problemi legati all’acqua. L’Iran e il Pakistan stanno vivendo le prime avvisaglie di un processo simile e solo raddrizzando le proprie politiche di gestione idrica si eviterà che le cose possano degenerare.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Ursula von der Leyen annuncia un pacchetto di investimenti di 12 miliardi di euro per rafforzare la cooperazione. E intanto le cinque repubbliche ex-sovietiche si smarcano dalla Turchia sulla spinosa questione cipriota.
Una compagnia canadese ha ottenuto i permessi per estrarre uranio nei pressi di un piccolo villaggio dell’Alaska. La comunità indigena locale degli Iñupiat non ci sta.
La Lettonia è il primo paese europei ad abbandonare la Convenzione di Ottawa contro le mine antiuomo. Altri quattro stati vogliono fare altrettanto.
Il segretario Onu Guterres ha denunciato la disastrosa situazione umanitaria a Gaza e intimato a Israele di rispettare il diritto internazionale.
L’attacco israeliano è avvenuto il 23 marzo ma è venuto allo scoperto solo nei giorni scorsi. Secondo fonti locali è stata un’esecuzione.
Il violento terremoto che ha colpito il Myanmar, uccidendo migliaia di persone, indebolisce ancor di più una popolazione già stremata.
Mai si erano verificati incendi così gravi in Corea del Sud. Bruciati oltre 35.800 ettari, mobilitato l’esercito. Migliaia di persone evacuate.
Centinaia di persone sono scese in strada per chiedere la fine della guerra israeliana su Gaza e fare pressione su Hamas.
Dopo decenni di dispute, Tagikistan e Kirghizistan hanno trovato una soluzione per porre fine alle discordie territoriali che hanno causato morti, feriti e centinaia di sfollati.