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Iran, vince la politica di apertura. Hassan Rohani rieletto presidente
Hassan Rohani è stato rieletto per un secondo mandato in Iran. Il presidente uscente ha ottenuto, secondo i risultati non ancora ufficiali, il 58% dei voti.
Hassan Rohani guiderà ancora l’Iran. Il candidato moderato ha infatti raggiunto, secondo quanto riferito dal ministero dell’Interno di Teheran, rcirca il 58 per cento dei voti, staccando nettamente il conservatore Ebrahim Raisi, dirigente religioso sostenuto dai Guardiani della Rivoluzione.
I seggi hanno chiuso alle 18 ora locale di venerdì 19 maggio, ma lo spoglio è cominciato solamente alla mezzanotte. Sono 56 milioni i cittadini che erano iscritti alle liste elettorali, su un totale di circa 80 milioni di abitanti, e più del 70 per cento si è recato alle urne, segnando un’affluenza particolarmente elevata. Inizialmente, i candidati erano addirittura 1.600, ma il Consiglio dei Guardiani – organismo che conta sei grandi mullah nominati da una Guida suprema) ha ufficializzato solamente sei nomi, quattro dei quali hanno successivamente o abbandonato la competizione elettorale, oppure hanno mantenuto formalmente la candidatura ma invitando a convergere su uno dei due principali partecipanti. Tra i grandi esclusi figurava anche l’ex presidente ultra-conservatore Mahmud Ahmadinejad, che aveva presentato la propria candidatura a sorpresa.
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L’accordo sul nucleare tra critiche e incertezze americane
La campagna elettorale si è svolta sullo sfondo di quattro grandi temi. Il primo è senz’altro quello legato all’accordo di Vienna, concluso tra Teheran e alcune grandi potenze internazionali in materia di nucleare civile. La questione è stata al centro di tutti i dibattiti televisivi organizzati tra i candidati: il presidente uscente Rohani è stato attaccato a più riprese dai conservatori su questo punto, secondo i quali l’accordo sarebbe stato negoziato non a vantaggio degli interessi iraniani.
Ciò nonostante, tutti i candidati si erano dichiarati favorevoli al mantenimento dell’intesa, che a questo punto è però messa in dubbio dalla nuova presidenza americana di Donald Trump. Il miliardario statunitense, durante la campagna elettorale (e anche dopo l’elezione) aveva infatti sollevato dubbi sui contenuti dell’accordo, benché dopo l’ingresso alla Casa Bianca sembra aver ammorbidito i toni. Il 17 maggio, tuttavia, il dipartimento di Stato ha dichiarato che “la strategia globale nei confronti dell’Iran non è stata ancora formalizzata”.
Scontro sull’apertura economica del paese
Il secondo grande tema al centro delle votazioni in Iran è stato quello dell’apertura economica del paese. Un reportage della radio francese France Info ha intervistato numerosi elettori mentre si recavano alle urne, riscontrando opinioni estremamente diverse tra chi è favorevole ad incrementare i legami commerciali e finanziari con l’estero e chi invece ritiene che la soluzione ai problemi sia “all’interno della nazione”.
Durante gli anni di Rohani, dopo decenni di sanzioni economiche internazionali, le esportazioni sono riprese, pur senza creare l’ondata di occupazione che ci si attendeva. Anche l’industria automobilistica ha registrato segnali di ripresa: mancano però sufficienti investimenti, dal momento che le banche non concedono ancora denaro e il governo manca di liquidità.
Le accuse di corruzione e la successione di Khamenei
In terzo luogo, il confronto elettorale ha toccato più volte la questione delle accuse di corruzione lanciate a Rohani dai suoi avversari. Un attacco di tale violenza da spingere il presidente ad evocare il “movimento verde”, ovvero le manifestazioni – represse con violenza – che erano state lanciate nell’estate del 2009 per chiedere la destituzione dell’allora presidente Mahmoud Ahmadinejad.
Infine, in gioco nelle urne in Iran c’era anche la successione della Guida suprema, Sayyed Ali Khamenei, che ha ormai 77 anni e riveste il ruolo dal 1989. Riasi, che ha diretto il Santuario dell’imam Reza nella città di Mashhad, l’ottavo imam degli sciiti, era considerato un potenziale candidato alla successione. Qualora venisse fosse stato, le sue chances di accedere alla magistratura suprema sarebbe aumentate esponenzialmente.
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