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I curdi iracheni hanno votato in massa al referendum per l’indipendenza del loro territorio, il Kurdistan. Dura reazione di Bagdad. Incerte le conseguenze.
Aggiornamento 27 settembre – Il presidente della regione autonoma curda, Massoud Barzani, ha annunciato la vittoria dei sì all’indipendenza. Dura reazione di Bagdad.
I curdi potrebbero aver gettato le basi per la costituzione di un proprio stato autonomo. Quasi l’80 per cento della popolazione presente nelle province autonome di Erbil, Sulaimaniyah e Dohuk, così come in quella (contesa) di Kirkuk, si è recato alle urne, lunedì 25 settembre, in occasione del referendum sull’indipendenza.
Le operazioni di voto si sono svolte senza incidenti, nonostante in alcune aree, per garantire la sicurezza, fosse stato decretato il coprifuoco. E anche le prime reazioni sono apparse caute: ad Erbil città più importante della regione curda, non si sono registrate né esplosioni di gioia né atti di violenza. I risultati dello scrutinio, d’altra parte, non sono ancora ufficialmente noti: la commissione elettorale è al lavoro per spogliare le schede e dovrebbe esprimersi nella giornata di oggi, martedì 26 settembre. Tutti si attendono, in ogni caso, una larga vittoria dei “sì” all’indipendenza.
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Sono già da registrare, però, alcuni dubbi in merito all’organizzazione della consultazione. Secondo quanto riferito da Oriane Verdier, corrispondente ad Erbil per la radio francese Rfi, “un curdo siriano ha potuto votare nonostante non fosse neppure in possesso di una carta d’identità irachena”. Inoltre, “alcuni abitanti di Kirkuk hanno fatto sapere di essere schierati, ma di non aver votato per paura di rappresaglie da parte delle forze filo-governative”.
Mentre la direttrice di una scuola ha spiegato all’emittente di aver ricevuto minacce, in quanto funzionaria pubblica, da parte di Bagdad: “Mi hanno detto che sei avessi votato mi avrebbero licenziata. Ma facessero quello che vogliono: il referendum è la cosa più importante”. In un quartiere nel quale coabitano curdi, arabi e turkmeni, i media internazionali riferiscono di comandanti peshmerga già con le armi in pugno, pronti a rispondere ad un eventuale attacco dell’esercito dell’Iraq: “Siamo pronti al sacrificio. Noi non consideriamo alcuna comunità irachena come nemica, ma se saremo minacciati, ci difenderemo”, ha dichiarato uno di loro.
I dirigenti curdi appaiono in ogni caso prudenti. Il presidente del Kurdistan iracheno, Massoud Barzani, ha fatto sapere che il voto non sarà in ogni caso seguito immediatamente da una dichiarazione d’indipendenza. Esso sarà invece il preludio a delle “serie discussioni” con Badgad sulla questione. Occorrerà verificare, però, quale sarà la disponibilità in questo senso del governo iracheno: il primo ministro al-Abadi ha ribadito la propria contrarierà al referendum, considerato “una decisione unilaterale che minaccia l’unità del paese e la sua sicurezza”.
Inoltre, il parlamento della capitale – in una seduta alla quale erano presenti i deputati arabi ma non quelli curdi – ha votato una risoluzione che chiede all’esecutivo di schierare l’esercito in tutta l’area. Lo scetticismo di fronte al referendum è stato d’altra parte ribadito da più parti anche all’estero: il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha manifestato “inquietudine per i rischi di destabilizzazione dell’area”, mentre gli Stati Uniti si sono detti “rattristati” dalla decisione di organizzare la consultazione, spiegando di sostenere “un Iraq unito, federale e democratico”.
Una posizione simile a quella della Turchia, della Siria e dell’Iran. Le tre nazioni limitrofe chiedono il rispetto della carta stabilita dopo la fine della Prima guerra mondiale. Si tratta del trattato di Losanna del 1923, che di fatto smembrò in quattro parti l’ipotetico stato curdo. Ma uno dei principali nodi della questione, in realtà, è quello legato al petrolio, in particolare quello della provincia di Kirkuk, non a caso oggetto di battaglie negli ultimi anni tra Bagdad, peshmerga curdi e combattenti dello Stato Islamico.
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