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Ancora una vittima a Ciudad Juarez: è Isabel Cabanillas, 26 anni, madre, artista e attivista. Le donne continuano a scendere in piazza urlando: “Non siamo carne da macello”. Dal 1993 ad oggi, in quest’area di confine tra Messico e Stati Uniti, sono state uccise più di 1.500 ragazze.
Isabel Cabanillas, attivista messicana per i diritti delle donne, era scomparsa la sera del 17 gennaio a Ciudad Juarez, nello Stato del Chihuahua. L’hanno ritrovata la mattina seguente in strada, assassinata a colpi di arma da fuoco nel petto. Dopo il riconoscimento, famigliari, amici, artisti, associazioni e gente comune – soprattutto donne – hanno marciato per chiedere giustizia e proteggere la sua memoria anche attraverso l’arte, il linguaggio che lei usava ogni giorno.
Le sue amiche artiste l’hanno ritratta con un sorriso aperto e uno sguardo senza paura la chica del las macetas, “la ragazza dei vasi” che lei dipingeva e vendeva, insieme ai vestiti. Ora il suo volto, come quello di molte altre giovani assassinate e abbandonate per strada o nel vicino deserto, è sui murales della “città che uccide le donne” – viene chiamata così Ciudad Juarez – e un’altra croce di legno dipinta di rosa, posta sul marciapiede su cui è stata ritrovata, va ad aggiungersi alle altre centinaia disseminate nel raggio di pochi chilometri.
Secondo i dati riportati dalla commissione messicana di Difesa dei diritti umani in un documento presentato al governo lo scorso giugno, solo nello stato del Chihuahua sono stati 258 i casi di femminicidio nel 2017, 49 tra gennaio e marzo 2019, ma le cifre ufficiali sono molto distanti dalla conta, ancora più vertiginosa e terrificante, delle associazioni locali delle madri che vedono sparire nell’impunità totale le proprie figlie poco più che bambine.
La percentuale più alta di omicidi si registra infatti tra i 15 e i 19 anni; si tratta spesso di giovanissime operaie delle maquiladoras, le fabbriche di assemblaggio delle multinazionali che occupano il confine regolato dai narcos del cartello di Juarez, uno dei più potenti del Paese. Ma per le attiviste dell’associazione Hijas de su maquilera madre, con cui Cabanillas lavorava, il narcotraffico non c’entra e stanno chiedendo alla polizia di seguire una nuova pista investigativa, come ci spiega Lidia Graco, un’amica della vittima, che abbiamo raggiunto al telefono lunedì a Juarez proprio mentre si stavano svolgendo i funerali.
“La pistola è il marchio dei trafficanti di droga, ma siamo convinte che sia un depistaggio; Isabel è stata uccisa perché era un’attivista, una donna coraggiosa che credeva nella libertà e una femminista capace di denunciare la violenza e le ingiustizie. Era molto popolare e conosciuta, il suo omicidio è un chiaro avvertimento per noi. Il venerdì della sua scomparsa stava lavorando ad un murale in una zona che conosceva benissimo, ma mentre tornava a casa è stata fatta sparire.
Abbiamo sporto subito denuncia e la mattina dopo abbiamo letto della notizia del ritrovamento di un corpo; dalla descrizione poteva essere lei, così abbiamo avvisato i familiari che poi si sono occupati del riconoscimento. Al funerale stanno partecipando tantissime persone ed è prevista anche una manifestazione a Città del Messico, dove aveva molti amici. Qui essere una donna è pericoloso, uscire per strada è pericoloso, cercare la libertà è pericoloso, essere povera è pericoloso. Ora siamo sotto shock, ma Isabel deve avere giustizia, avrà giustizia e noi continueremo a lottare per lei”.
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