Soccorritori ancora al lavoro a Ischia: 8 le vittime causate dalle frane. Consumo di suolo, condono e mancanza di un piano di adattamento tra le cause.
- Ischia sconvolta dalle frane per un nubifragio: 8 le vittime accertate.
- Vigili del Fuoco al lavoro da 48 ore per i dispersi, coinvolte 15 abitazioni.
- Polemica per il condono inserito nel decreto Genova del 2018.
È stata un’altra nottata di lavoro per i Vigili del Fuoco, nei comuni ischitani di Casamicciola Terme e Lacco Ameno, dopo la drammatica frana che all’alba di sabato ha stravolto l’isola campana di Ischia: il nubifragio ha provocato allagamenti e smottamenti. 15 abitazioni sono state travolte dalle frane che hanno portato via anche automobili, strade e, purtroppo, persone. Sono 8 le vittime accertate, ma ci sono ancora quattro dispersi. Circa 230 persone sono state evacuate.
Per il soccorso alla popolazione e la ricerca dei dispersi da sabato mattina sull’isola operano 160 vigili del fuoco con 70 mezzi giunti da Campania, Lazio, Toscana, Abruzzo, Puglia, Molise. Le squadre del Corpo nazionale sono dislocate nel territorio Casamicciola: esperti in topografia applicata al soccorso, Usar (Urban search and rescue), Saf (Speleo alpino fluviali), cinofili e operatori Sapr (Sistemi aeromobili a pilotaggio remoto) si sono messi al lavoro nella parte alta di via Celario per le operazioni di ricerca. Sommozzatori giunti dalla Toscana operano con un sonar per scandagliare i fondali nello specchio di mare in prossimità del porto.
Basta parlare di eventi eccezionali
In seguito a quelli che la Protezione civile definisce eccezionali eventi meteorologici che hanno colpito l’isola di Ischia, il Consiglio dei Ministri ha deliberato la dichiarazione dello stato d’emergenza per la durata di 12 mesi. Per l’attuazione dei primi interventi urgenti diretti al soccorso e all’assistenza alla popolazione e al ripristino della funzionalità dei servizi pubblici e delle infrastrutture di reti strategiche, sono stati stanziati 2 milioni di euro per Fondo per le emergenze nazionali.
In questo ultimo passaggio si annidano però almeno due enormi criticità concettuali: il primo è quella definizione, “eccezionali eventi meteorologici”. Che in realtà non sono ormai più così eccezionali. Sull’Italia, ricorda Coldiretti, si sono abbattuti solamente a novembre ben 242 eventi estremi per il maltempo tra bombe d’acqua, nubifragi, tempeste di vento, trombe d’aria e grandinate, che si sono abbattuti su un territorio reso più fragile dall’abbandono e dalla cementificazione che hanno ridotto la capacità di assorbimento della pioggia e messo a rischio l’ambiente e la sicurezza dei cittadini con frane e alluvioni.
Il secondo è, per l’ennesima volta, l’intervenire esclusivamente in via emergenziale, in risposta a una sciagura, come fatto (giustamente) dal Consiglio dei ministri, ma mai in maniera preventiva.
A quando stop consumo di suolo e piano di adattamento?
La proposta di legge sullo stop al consumo del suolo è bloccata nel Parlamento italiano dal 2016: approvata dalla Camera dei deputati, prevedeva di arrivare a quota zero, cioè neanche un metro quadrato cementificato in più, entro il 2050.
Nel frattempo, nel 2021 il consumo di suolo in Italia ha raggiunto il valore più alto dell’ultimo decennio, con 69,1 kmq sacrificati per costruire edifici e infrastrutture. “Nell’immediato è necessario intervenire con aiuti concreti per aiutare le popolazioni colpite” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare però che “occorre per accelerare sull’approvazione della legge sul consumo di suolo che giace da anni in Parlamento e che potrebbe dotare l’Italia di uno strumento all’avanguardia per la protezione del suo territorio”.
Ma soprattutto in Italia manca ancora un Piano di adattamento ai cambiamenti climatici, lo strumento di cui ogni Paese dovrebbe dotarsi per mitigare l’impatti sui territori dovuto al climate change: anche quello infatti è in stallo dal 2018, dopo che nel 2015 l’Italia aveva approvato la Strategia di adattamento ai cambiamenti climatici: quello che manca, in pratica, è la sua messa in atto. A dire il vero proprio domenica lo stesso Consiglio dei ministri ha assicurato che “entro l’anno sarà approvato il Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico”: non resta che sperare.
Il caso del condono a Ischia nel 2018
Nel frattempo, a parte i soccorsi immediati e la dichiarazione dello stato di emergenza, sul caso Ischia è partita subito la ricerca delle responsabilità. Mentre la Procura di Napoli ha aperto un fascicolo di inchiesta con l’ipotesi di reato di disastro colposo, senza nessun nome iscritto nel registro degli indagati, la polemica politica si concentra sul decreto Genova del 2018, varato dal governo Lega-M5S all’indomani del crollo del ponte Morandi, che conteneva anche un articolo che prevedeva un condono edilizio proprio per i comuni di Ischia colpiti dal sisma dell’anno precedente.
Il decreto interveniva sulle oltre 27mila richieste di condono presentate dagli abitanti di Ischia (secondo dati del dossier Mare Monstrum 2016 di Legambiente), nei tre comuni di Casamicciola Terme, Forio e Lacco Ameno, in occasione delle tre leggi nazionali di condono che si sono succedute negli ultimi 30 anni: nello specifico, quella risalente al 1985, quella del 1994 e quella del 2003.
L’allora premier Giuseppe Conte e il suo movimento, nelle scorse ore, hanno assicurato che “l’articolo 25 del decreto sul Ponte non era affatto un condono, abbiamo solo cercato di sbloccare una situazione che c’era senza derogare ai vincoli idrogeologici. Il governo Conte nel 2018 si trovò di fronte all’emergenza dei terremotati e delle loro richieste di aiuto per la ricostruzione delle abitazioni. Di fronte a questa situazione emergenziale si stabilì una cosa molto semplice, ossia che sulle procedure di condono risalenti ad anni e decenni precedenti lo Stato doveva velocizzare le risposte: un sì o un no ai cittadini in 6 mesi, nel rispetto dei vincoli (paesaggistici, idrogeologici eccetera) esistenti”.
L’articolo contenuto nel decreto poi convertito in legge recita testualmente così:
“I Comuni di Casamicciola Terme, Forio, Lacco Ameno dell’Isola di Ischia “definiscono le istanze di condono pendenti relative agli immobili distrutti o danneggiati dal sisma del 21 agosto 2017, presentate ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269. Per la definizione delle istanze di cui al presente articolo, trovano esclusiva applicazione le disposizioni di cui ai Capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47. 1-bis. Per le istanze presentate ai sensi del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, le procedure di cui al comma 1 sono definite previo rilascio del parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico”.
La ricostruzione dell’allora premier non convince Legambiente, secondo la quale “il condono c’è ed è nell’ultima frase del primo comma dell’articolo 25 del Decreto Genova. Quella frase stabilisce che le pratiche di sanatoria inevase fino ad allora vengono giudicate in base al condono Craxi del 1985, rendendo possibile il condono di edifici costruiti in aree a rischio sismico e idrogeologico. Sanatoria che invece era vietata coi condoni successivi di Berlusconi varati nel 1994 e nel 2003”.
Quattro anni fa Legambiente, insieme a diverse realtà e rappresentanti dei costruttori, dei lavoratori edili, dei comuni colpiti dal sisma, degli architetti e dei geologi, degli studenti e di varie associazioni della società civile, chiese all’esecutivo Conte 1 e ai parlamentari di maggioranza di M5S e Lega “un’assunzione di responsabilità, perché questa sanatoria avrebbe messo in pericolo le persone che sarebbero tornate a vivere in case ricostruite con i soldi pubblici in aree pericolose. Il nostro appello è rimasto inascoltato e la legge di conversione del decreto fu approvata”.
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