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Da gennaio Israele sta conducendo una violenta campagna militare in Cisgiordania. Sono state uccise decine di persone e in 40mila sono in fuga.
Da oltre un mese l’esercito israeliano sta conducendo una violenta campagna militare in Cisgiordania, che ricorda quanto fatto nei mesi scorsi nella Striscia di Gaza. Il 21 gennaio, due giorni dopo l’inizio del cessate il fuoco su Gaza e un giorno dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, Israele ha dato il via a bombardamenti e operazioni di terra nell’area di Jenin, focalizzandosi sul campo profughi dove vivono circa 23mila persone. Poi gli attacchi si sono allargati ai campi profughi di Tulkarem e Nur Shams. L’operazione è stata definita di “anti-terrorismo”, un alibi che Israele usa frequentemente per giustificare le sue aggressioni militari in chiave coloniale, e ha già causato la morte di decine di persone e lo sfollamento di altre 40mila, un numero che non veniva raggiunto dalla Guerra dei sei giorni del 1967.
Nei giorni scorsi le autorità israeliane hanno mandato carri armati nel territorio, una cosa che non succedeva dal 2002, affermando che resteranno lì almeno un anno e che alla popolazione palestinese sfollata non sarà consentito il ritorno. L’obiettivo di Israele è occupare il territorio, svuotarlo della popolazione locale e favorire l’insediamento di nuove colonie.
Il 21 gennaio le forze militari israeliane hanno dato il via a una profonda e violenta operazione militare, chiamata “Iron Wall”, nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania. Militari, agenti di polizia e dei servizi segreti hanno compiuto una serie di irruzioni, che sono state accompagnate da bombardamenti aerei. Numerose case e infrastrutture civili, tra cui un ospedale, sono state danneggiate o date alle fiamme, mentre migliaia di persone sono state costrette alla fuga.
Il campo profughi di Jenin, che ospitava circa 23mila persone, era già stato oggetto in passato di operazioni militari israeliane per fini “anti-terroristici”, una formula con cui Israele giustifica più o meno la totalità delle sue campagne contro i territori palestinesi, compreso il genocidio a Gaza. Dal 7 ottobre 2023, inizio dell’offensiva su Gaza, Israele ha compiuto diversi attacchi in Cisgiordania che hanno ucciso oltre 800 persone, spesso minorenni.
Nei mesi scorsi anche l’Autorità nazionale palestinese (Anp), che governa la parte non occupata della Cisgiordania, aveva lanciato alcune operazioni nel campo profughi di Jenin, arrestando alcuni miliziani legati alla jihad islamica e uccidendone altri, con scontri tra fazioni palestinesi che non si vedevano da parecchio tempo. Il 21 gennaio, con il via all’operazione “Iron Wall”, Israele ha alzato notevolmente il livello dello scontro.
La data scelta non è casuale. Gli occhi del mondo erano concentrati altrove, perché due giorni prima era iniziato il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, raggiunto dopo oltre 15 mesi di attacchi israeliani, almeno 50mila morti e un territorio di fatto raso al solo. Inoltre, il giorno prima del via agli attacchi su Jenin, negli Stati Uniti si era insediato Donald Trump, già definito il presidente più filoisraeliano della storia statunitense, che tra i suoi primi ordini esecutivi ha rimosso le sanzioni imposte dal suo predecessore Joe Biden ad alcuni coloni israeliani.
La campagna militare israeliana sulla Cisgiordania avviata il 21 gennaio non si è fermata nelle settimane successive e anzi, si è estesa ad altri campi profughi.
Gli attacchi sul campo di Jenin sono andati avanti e a fine febbraio, per la prima volta in 20 anni, sono stati inviati tre carri armati nell’area. Nel frattempo sono stati colpiti anche i campi di Tulkarem e Nur Shams. Gli attacchi israeliani hanno distrutto abitazioni e infrastrutture civili, comprese le reti fognarie e le condutture dell’acqua, con l’obiettivo di rendere inabitabili i campi profughi e impedire il ritorno della popolazione sfollata. Sono 40mila le persone che in poco più di un mese hanno dovuto lasciare le loro case all’interno dei campi rifugiati, un numero che non si raggiungeva dalla Guerra dei sei giorni del 1967, quando Israele occupò la Cisgiordania e costrinse alla fuga migliaia di persone.
Da fine gennaio le forze israeliane hanno ucciso oltre 60 persone nei tre campi profughi e secondo l’Onu si trattava di persone non armate e che non costituivano alcuna minaccia. Altre decine di persone sono state arrestate e poste in detenzione amministrativa, un regime carcercario contrario al diritto internazionale che Israele usa contro la popolazione palestinese e che non prevede accuse formali né un processo. Le forze israeliane hanno anche bloccato le attività nei campi dell’Unrwa, l’Agenzia dell’Onu per i profughi palestinesi. Come denuncia l’organizzazione non governativa Human Rights Watch, l’offensiva in corso in Cisgiordania fa parte dei crimini contro l’umanità da decenni compiuti da Israele nei territori palestinesi, tra cui apartheid e persecuzioni.
Israel Katz, ministro della Difesa israeliano, ha detto che la presenza israeliana nel campo profughi di Jenin durerà almeno un anno. E che le 40mila persone sfollate dai tre campi rifugiati non potranno farvi ritorno.
La campagna israeliana di distruzione dei campi rifugiati di Jenin, Tulkarem e Nur Shams e di svuotamento della loro popolazione, senza diritto al ritorno, ricorda sotto molti aspetti, seppur in una versione più localizzata, i capitoli più drammatici della storia delle violenze israeliane sulla popolazione palestinese. La Nakba del 1948, quando l’esercito israeliano svuotò con la forza decine di villaggi arabi, uccidendo o deportando chi si rifiutava di andarsene, arrivando a creare 700mila profughi che ancora oggi non sono mai potuto tornare nelle loro terre. La Guerra dei sei giorni del 1967, con cui Israele occupò, tra gli altri, la Striscia di Gaza e la Cisgiordania costringendo alla fuga centinaia 300mila persone palestinesi. Ma anche, venendo a oggi, l’offensiva militare israeliana di oltre 15 mesi sulla Striscia di Gaza, che ha raso al suolo intere città, ucciso almeno 50mila persone e lasciato senza una casa in cui tornare centinaia di migliaia di persone.
Con la giustificazione delle operazioni anti-terrorismo, secondo diversi analisti Israele sta agendo per annettere e controllare nuove porzioni del territorio cisgiordano, così da espandere le sue colonie. Già a gennaio il governo israeliano ha annunciato la costruzione di oltre 2mila unità abitative illegali mentre è ora in discussione il piano di costruzione di ulteriori 1.170 unità abitative. Secondo l’associazione Peacenow, il 2025 sarà un anno record per quando riguarda gli insediamenti israeliani in Cisgiordania, con una media di 1.800 unità abitative erette al mese.
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