L’occupazione della Palestina al vaglio della Corte internazionale di giustizia

La Corte Internazionale di Giustizia ascolterà 52 Paesi sulle conseguenze legali dell’occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gerusalemme Est.

Sono iniziate lunedì 19 febbraio le audizioni alla Corte internazionale di giustizia nell’ambito del procedimento consultivo contro l’occupazione israeliana dei territori palestinesi. Si tratta di un caso è separato rispetto alla denuncia per genocidio che il Sudafrica ha presentato presso la stessa Corte contro Israele per le sue presunte violazioni nella guerra in corso nella Striscia di Gaza. Il procedimento iniziato ieri a L’Aja è unico nel suo genere.

Sono 52 gli stati e tre le organizzazioni multilaterali che presenteranno argomentazioni sulle politiche israeliane nei territori occupati di Gerusalemme Est, della Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Per la prima volta nella storia della Corte partecipa un numero così alto di paesi.

L’udienza si è aperta con le audizioni dello stato palestinese che ha accusato Israele di perpetrare delle politiche di apartheid e che ha chiesto alle Nazioni Unite di dichiarare (nuovamente) l’illegalità dell’occupazione.

Da dove nasce il procedimento alla Corte

Il caso nasce dall’approvazione della risoluzione A/77/247 dell’Assemblea generale dell’Onu del 30 dicembre 2022, quando la maggioranza dei membri ha votato per chiedere il parere consultivo della Corte sulle conseguenze legali della continua occupazione israeliana dei territori palestinesi. La risoluzione era stata approvata da 87 stati, tra cui Russia e Cina. Tra i 26 che avevano votato contro, oltre a Israele e Stati Uniti, figura anche l’Italia.

In un lungo report inviato alla Corte, l’Assemblea generale ha chiesto ai giudici di rispondere ad alcune domande specifiche su come i diritti dei palestinesi siano stati colpiti dall’occupazione e dai continui tentativi di sfollamento, nonché su quali siano le responsabilità dell’Onu e dei suoi stati membri di fronte a tali violazioni. Oltre ad evidenziare le condizioni di vita nella Striscia di Gaza, ben prima dell’inizio dell’attuale conflitto, l’Assemblea generale fa apertamente riferimento alle conseguenze dell’occupazione israeliana a Gerusalemme Est e in Cisgiordania, in seguito alla guerra dei sei giorni del 1967.

Questo non è il primo caso in cui il tribunale si pronuncia sull’occupazione illegale di Israele. Già nel 2004, la Corte aveva stabilito che il muro costruito in Cisgiordania è illegale e deve essere smantellato. Israele ha sempre respinto la sentenza e il muro, invece di essere abbattuto, è stato esteso.

Quali sono le differenze con il caso sudafricano

Il procedimento appena iniziato a L’Aja rappresenta, come detto, un caso separato da quello intentato dal Sudafrica il 29 dicembre 2023, in cui si sostiene che Israele stia commettendo il crimine di genocidio a Gaza nella sua campagna contro la Striscia. La base giuridica del caso sudafricano è la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948, per la sentenza definitiva si potranno aspettare anni, ma le misure provvisorie e urgenti ordinate dalla Corte a Israele lo scorso 26 gennaio sono vincolanti e non possono essere impugnate.

Questo caso, invece, non è strettamente collegato all’attuale azione militare sulla Striscia Gaza, anche se riguarda molte delle preoccupazioni di violazione del diritto internazionale che vincolano l’approccio di Tel Aviv in tutti i territori palestinesi. Inoltre, il procedimento riguarda un parere consultivo della Corte, quindi non vincolante, la cui base giuridica è costituita dalla Carta dell’Onu, dalle risoluzioni dell’Onu e dal diritto internazionale umanitario.

Quali Stati interverranno

Le audizioni sono iniziate il 19 febbraio con l’intervento dei rappresentanti dello stato palestinese. Circa dieci nazioni al giorno presenteranno le loro argomentazioni ai giudici della Corte nel corso della settimana. Per la maggior parte, si tratta di paesi che hanno votato a favore della risoluzione nel dicembre del 2022. Altri, invece, come il Canada, si sono espressi contro, mentre la Svizzera si è astenuta. Altri ancora hanno deciso di appoggiare questo procedimento solo in seguito all’offensiva israeliana nella Striscia, come Indonesia e Slovenia.

Anche tre organizzazioni multilaterali faranno sentire la loro voce: la Lega Araba, l’Organizzazione della Cooperazione Islamica e l’Unione Africana.

I quindici giudici della Corte, al momento presieduta dal libanese Nawaf Salam, ascolteranno le ampie presentazioni e pubblicheranno poi un parere scritto. Non è chiaro quando sarà pubblicato, ma i procedimenti della Corte sono minuziosi e di solito richiedono tempo. È difficile anche prevedere cosa la Corte potrebbe decidere. Anche se la decisione sarà non vincolante, e quindi Israele potrebbe rifiutarla come già fatto nel 2004, un parere della Corte internazionale di giustizia ha comunque un peso e potrebbe aumentare la pressione su Tel Aviv e sull’alleato statunitense affinché si conformino al diritto internazionale.

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