
Da gennaio Israele sta conducendo una violenta campagna militare in Cisgiordania. Sono state uccise decine di persone e in 40mila sono in fuga.
Dopo due mesi di tregua, l’aviazione israeliana ha lanciato pesanti raid sulla Striscia di Gaza. Tra gli oltre 400 morti ci sono anche bambini.
Nella notte tra il 17 e il 18 marzo l’aviazione israeliana ha condotto pesanti bombardamenti sulla Striscia di Gaza. Secondo il ministero della Salute del territorio palestinese, gli attacchi hanno ucciso oltre 400 persone, di cui molti bambini. L’offensiva israeliana decreta la fine di due mesi di cessate il fuoco e il fallimento dei negoziati per un suo prolungamento. Nelle ultime settimane Israele, sostenuto dagli Stati Uniti, aveva aumentato la sua pressione su Hamas per prolungare la fase uno del cessate il fuoco, quella relativa allo scambio di ostaggi israeliani e palestinesi, opponendosi al passaggio alla fase due, che avrebbe dovuto prevedere il ritiro dalla Striscia di Gaza. L’assenza di garanzie per il territorio palestinese ha ostacolato il raggiungimento dell’accordo e ora Israele ha annunciato la ripresa della sua offensiva su larga scala, dopo che i primi 16 mesi di bombardamenti, iniziati il 7 ottobre 2023, avevano causato almeno 48mila morti palestinesi.
A metà dello scorso gennaio Israele e l’organizzazione palestinese Hamas avevano raggiunto un accordo di cessate il fuoco, che prevedeva una suddivisione in tre fasi. Una prima fase, dal 19 gennaio al 2 marzo, consisteva nella fine degli attacchi israeliani sulla Striscia di Gaza, nel rilascio di decine degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas, nella liberazione di circa mille palestinesi imprigionati spesso senza processo e accuse nelle carceri israeliane e nell’ingresso dei camion umanitari a Gaza. Durante la seconda fase, da negoziare nel corso della prima fase del cessate il fuoco, le due parti avrebbero dovuto annunciare la fine permanente delle ostilità e le truppe israeliane avrebbero dovuto ritirarsi in modo definitivo dalla Striscia di Gaza, mentre Hamas avrebbe dovuto rilasciare gli ultimi ostaggi ancora vivi in cambio della liberazione di nuovi prigionieri palestinesi. Poi sarebbe dovuta arrivare la terza fase, con piani per la ricostruzione del territorio palestinese e su chi avrebbe amministrato il territorio.
I termini previsti per la prima fase dell’accordo sono stati perlopiù rispettati nelle prime settimane, ma poi non si è riusciti a trovare un accordo per la seconda fase del cessate il fuoco. Israele ha fatto suo il “piano Witkoff” proposto dagli Stati Uniti, basato su un prolungamento di 42 giorni della prima fase dell’accordo, con la liberazione di nuovi ostaggi. Questo ha fatto venire meno le prospettive di una fase due e dunque di un ritiro definitivo israeliano dalla Striscia di Gaza e della fine, una volta per tutte, dei bombardamenti. Per aumentare la pressione su Hamas, Israele nelle ultime settimane ha anche imposto un nuovo blocco all’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia, proprio mentre iniziava il mese del Ramadan. Una violazione degli accordi per il cessate il fuoco, che hanno acuito la crisi sociale e alimentare della popolazione palestinese. Come ha dichiarato l’Unicef il 17 marzo, un milione di bambini nella Striscia di Gaza lotta per sopravvivere a causa dell’assenza di cibo e acqua.
Il governo Netanyahu, sostenuto dall’amministrazione Trump degli Stati Uniti, ha fatto dietrofront rispetto agli accordi originari con Hamas. E l’assenza di garanzie per il futuro della Striscia, dopo che già il presidente statunitense l’aveva definitiva “inabitabile” e aveva promesso di spianarla per costruire la “Costa azzurra del Medio Oriente”, ha fatto naufragare i negoziati.
Nella notte tra il 17 e il 18 ottobre Israele ha annunciato la ripresa dell’offensiva militare sulla Striscia di Gaza, dando la responsabilità della fine del cessate il fuoco ad Hamas e al suo rifiuto di liberare gli ostaggi. Come ha fatto sapere una portavoce della Casa Bianca, il governo israeliano ha consultato gli Stati Uniti prima di dare il via agli attacchi.
L’aviazione ha compiuto pesanti raid aerei su diverse località palestinesi, concentrandosi soprattutto sulle città di Gaza, Khan Younis e Rafah, dove è stato anche chiuso il valico che conduce all’Egitto. Secondo il primo bilancio diffuso dal ministero della Salute della Striscia di Gaza, i bombardamenti hanno causato oltre 400 morti, tra cui decine di bambini. Questo smentisce, come in passato, le dichiarazioni israeliane secondo cui gli attacchi fossero diretti contro membri di Hamas. Migliaia di famiglie che durante il cessate il fuoco erano potute tornare nelle loro case si trovano oggi di nuovo sfollate e l’esercito israeliano ha diffuso nuovi ordini di evacuazione di alcune zone, proprio come succedeva nei mesi scorsi nelle fasi più pesanti della sua guerra su Gaza. La Croce rossa internazionale ha fatto sapere che gli ospedali di Gaza, che da mesi operano in condizioni difficilissime, sono ora al collasso a causa dell’arrivo di centinaia di feriti.
Le prime dichiarazioni israeliane fanno presupporre che la rottura della tregua sia definitiva. Il ministro della Difesa, Israel Katz, ha affermato che Hamas sarà colpito con una forza “mai vista prima” se non rilascerà tutti gli ostaggi che ancora detiene, mentre i vertici dell’esercito israeliano hanno fatto sapere che gli attacchi andranno avanti finché necessario e che potrebbero non limitarsi ai raid aerei, facendo presupporre l’imminenza di una nuova invasione via terra. Hamas per il momento ha risposto solo a parole agli attacchi israeliani, sottolineando che in questo modo Israele “ha deciso di sacrificare gli ostaggi”. A livello internazionale ha preso la parola Volker Turk, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, dicendosi inorridito per la ripresa dei bombardamenti israeliani su Gaza.
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