Israele ha ucciso il leader di Hamas, Yahya Sinwar. Potrebbe essere un preludio al cessate il fuoco a Gaza, ma Netanyahu non vuole fermarsi.
- Yahya Sinwar aveva preso le redini di Hamas dopo l’uccisione dello scorso luglio di Ismail Haniyeh.
- Il successo di Sinwar potrebbe essere il fratello Mohammed, ma anche figure che vivono in Qatar.
- II piano di Israele è quello di andare avanti per creare un nuovo ordine in Medio Oriente, che però porterà a nuovi radicalismi.
Il 17 ottobre Israele ha annunciato di aver ucciso Yahya Sinwar, il leader dell’organizzazione palestinese Hamas. Sinwar era considerato la mente degli attacchi del 7 ottobre 2023 in suolo israeliano e dopo l’uccisione di di Ismail Haniyeh a luglio, che era leader politico di Hamas, aveva assunto questa carica, al fianco di quella di capo militare dell’organizzazione nella Striscia di Gaza.
Israele ha sempre messo l’uccisione di Sinwar in cima ai suoi obiettivi, quanto meno dichiarati, dell’offensiva su Gaza. La sua morte segue quella della gran parte della leadership di Hamas, ma non dovrebbe essere il preludio a un cessate il fuoco. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che le operazioni andranno avanti.
Chi succederà a Sinwar?
Yahya Sinwar è stato ucciso in modo abbastanza casuale. Se il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, era stato ucciso addirittura mentre si trovava in Iran, se il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, è caduto sotto una pioggia di bombe israeliane che ha raso al solo un isolato intero a Beirut, Sinwar, che era l’obiettivo numero uno di Israele, è stato ucciso da alcuni soldati che avevano individuato tre figure sospette in un palazzo a Rafah. Una volta aperto il fuoco, si sono trovati davanti proprio il corpo di Sinwar, considerata la mente degli attacchi del 7 ottobre in suolo israeliano, che hanno causato 1.200 morti circa e la presa in ostaggio di 251 persone. Israele da mesi diceva che il leader di Hamas si trovava nascosto nei tunnel con diversi ostaggi a fargli da scudo, una versione che è stata smentita dalle modalità della sua uccisione.
La morte di Sinwar, annunciata il 17 ottobre, quella di Haniyeh nello scorso luglio e l’uccisione di numerosi altri dirigenti di Hamas nel corso dell’ultimo anno, come Marwan Issa e Mohammed Deif, hanno di fatto azzoppato la leadership dell’organizzazione palestinese. Quando Israele ha dato il via all’offensiva militare nella Striscia di Gaza, trasformatosi in un genocidio da oltre 42mila morti, lo ha fatto dicendo di voler cancellare Hamas. Oggi l’organizzazione esiste ancora, perchè migliaia sono i suoi membri, ma le sue figure di riferimento, chi le guidava, non c’è più.
Oggi l’organizzazione potrebbe passare nelle mani del fratello, Mohammed Sinwar. I nomi che ha avanzato il New York Times sono altri, come quelli di Khaled Meshal, che già fino al 2017 era stato alla guida politica di Hamas; Khalil al-Hayya, che è stato il vice proprio del defunto Sinwar; e Mousa Abu Marzouk, tra i fondatori di Hamas. Sono tutte persone che vivono all’estero, in particolare in Qatar, dove si trova l’ufficio politico di Hamas dei palestinesi della diaspora. La nuova guida di Hamas potrebbe in effetti essere una figura che vive all’esterno della Striscia di Gaza, dunque meno radicale e più “istituzionale”. Come era Haniyeh, che viveva proprio in Qatar e che era tra i più moderati. Ma che è stato comunque ucciso da Israele.
Cosa succede ora a Gaza?
Mentre si attende di capire che ne sarà della dirigenza di Hamas ora che la sua leadership è stata di fatto del tutto eliminata, nuovi scenari si aprono anche per Israele.
L’uccisione di Sinwar, Haniyeh e della gran parte della leadership di Hamas è un durissimo colpo politico per l’organizzazione e, come vorrebbero gli Stati Uniti, potrebbe essere il preludio a un cessate il fuoco a Gaza. È quello che chiede anche il Forum dei familiari degli ostaggi israeliani, che da tempo fanno pressione su Netanyahu perché raggiunga un accordo con Hamas e che ora più che mai non vedono più le ragioni per andare avanti con un’offensiva che sembra aver raggiunto i suoi obiettivi. Eppure il premier israeliano non sembra intenzionato a fermarsi
“Questa non è la fine della guerra a Gaza”, ha annunciato Netanyahu. Oltre 42mila morti, un territorio di fatto raso al suolo sembravano la giustificazione israeliana per azzoppare il movimento Hamas. Ma i piani, evidentemente, sono più ampi. I bombardamenti paralleli sul Libano e l’uccisione di Hassan Nasrallah ne sono in effetti la dimostrazione: Israele non vuole più limitarsi a ridimensionare Hamas in Palestina, vuole cancellare la sua presenza e quella dei suoi alleati, stabilendo un nuovo ordine in Medio Oriente. Non è un caso che il prossimo obiettivo potrebbe essere l’Iran, con la volontà di ridimensionare la sua potenza e la sua influenza nella regione. Più però Israele alzerà il tiro, più pianterà i semi della resistenza e del radicalismo.
Come ha sottolineato l’analista israeliano Daniel Levy ad Al Jazeera, “c’è un’ossessione israelo-occidentale per cui se si rimuove il leader, si taglia la testa del serpente, come se la resistenza palestinese si basasse sull’attrattiva ipnotizzante del signor Sinwar o di qualsiasi altro leader assassinato in passato. La resistenza però è una funzione delle condizioni oppressive e della negazione dei diritti in cui le persone sono tenute”. In una spirale infinita, Israele con la sua violenza sta creando le condizioni per nuove forme di radicalizzazione che metteranno a repentaglio la sua stessa esistenza.
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