Israele ha compiuto due bombardamenti nel campo profughi di Jabalia, causando decine di vittime civili. L’Onu ha parlato di possibili crimini di guerra e alcuni paesi hanno interrotto le relazioni diplomatiche con Tel Aviv.
Israele ha ammesso i bombardamenti sul campo profughi di Jabalia, giustificandoli con la presenza di dirigenti e miliziani di Hamas.
Secondo il ministero della Salute palestinese, il doppio attacco ha causato 195 morti e 150 dispersi.
L’Onu ha parlato di possibili crimini di guerra, paesi come la Colombia, il Cile e la Giordania hanno richiamato gli ambasciatori.
Dopo il primo bombardamento del 31 ottobre, Israele l’1 novembre ha colpito nuovamente il campo profughi di Jabalia. Il primo raid ha raso al suolo numerose strutture, causando un profondo cratere e decine di vittime in un’area abitata da circa 116mila persone. Nonostante lo sdegno internazionale, Israele è tornata a colpire il campo dopo poche ore, aggravando il bilancio. E portando alla ferma condanna delle Nazioni unite, che hanno parlato di “crimine di guerra”.
Strage al campo profughi
Quello di Jabalia è uno degli otto campi profughi della Striscia di Gaza. È situato nella parte settentrionale del territorio, ospita circa 116mila persone ed è composto da abitazioni di fortuna, spesso cadenti o a rischio crollo, e scarsità di infrastrutture. All’interno del campo, che di fatto è un quartiere, ci sono 32 strutture dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (Unrwa), oltre che decine di scuole, sette pozzi e due strutture mediche.
Il 31 ottobre Israele ha bombardato il campo profughi, in quello che è stato definito l’attacco più pesante dall’inizio dell’offensiva su Gaza. Per le autorità israeliane, che ha amesso il bombardamento, nel campo si nascondevano alcuni dirigenti del gruppo estremista palestinese Hamas responsabili dell’attentato terroristico del 7 ottobre, come Ibrahim Biari, che sarebbe stato ucciso. Oltre a loro, ci sarebbero stati diversi miliziani, una versione smentita da Hamas. Secondo il ministero della Salute palestinese, controllato da Hamas, il raid avrebbe causatooltre 50 morti e centinaia di feriti. Le immagini girate in loco dai pochi giornalisti con cellulare satellitare hanno mostrato una scena apocalittica, con un cratere profondo diversi metri e corpi di bambini tra le macerie.
“My three children are all gone!”
A Palestinian man in Gaza breaks down as he cries out that his three children were killed in an Israeli air strike in the Jabalia refugee camp in #Gaza on Tuesday pic.twitter.com/VEJeh1Z59o
L’1 novembre Israele è tornata a colpire il campo di Jabalia con un nuovo raid, una sorta di fac simile del precedente. Sono state rase al suolo altre abitazioni e da Tel Aviv hanno fatto sapere di aver distrutto alcuni tunnel sotterranei usati dai miliziani di Hamas e depositi di armi. Anche questa volta sono morti decine di civili secondo le informazioni dal terreno, il bilancio complessivo finale dei due giorni di attacchi sfiorerebbe i 200 morti, oltre a circa 150 dispersi. Già nelle scorse settimane Israele aveva bombardato l’area, in particolare il 9 ottobre quando i raid su un mercato avevano causatocirca 50 morti.
La condanna internazionale
Israele ha giustificato l’uccisione di civili palestinesi, tra cui bambini, con la motivazione che gli affiliati di Hamas si fanno scudo dietro di loro. Ma di fronte a un bilancio dei morti che in 25 giorni di offensiva israeliana ha raggiunto quota 8.800, la comunità internazionale ha alzato la voce come non aveva mai fatto fino a ora. Anche perché l’assedio totale imposto da Israele ha messo in ginocchio il sistema sanitario, che non riesce a curare tutti i feriti – 16 dei 32 ospedali della Striscia hanno dovuto cessare le attività.
La Giordania ha richiamato il proprio ambasciatore presso lo Stato di Israele, e ha condizionato il ritorno dell’ambasciatore israeliano ad Amman alla fine dei bombardamenti su Gaza. La decisione arriva dopo le stragi a Jabalia, nel nord della Striscia. https://t.co/795uW7hF8k
L’Alto commissario delle Nazioni unite per i rifugiati, Filippo Grandi, parlando al Consiglio di sicurezza dell’Onu ha chiesto un immediato cessate il fuoco umanitario, denunciando come ormai il rispetto delle regole di guerra sia l’eccezione più che la regola e definendo quello che stanno vivendo i civili di Gaza “l’inferno in terra”. A poche ore di distanza gli ha fatto eco l’ufficio Onu per i diritti umani, che in un comunicato ha definito l’attacco israeliano sul campo profughi di Jabalia un possibile crimine di guerra. E sul tema si è espresso anche il Segretario generale dell’Onu, António Guterres, esprimendosconcerto per l’attacco di matrice israeliana.
#Gaza – Given the high number of civilian casualties & the scale of destruction following Israeli airstrikes on Jabalia refugee camp, we have serious concerns that these are disproportionate attacks that could amount to war crimes. pic.twitter.com/ky2jYVrhJq
Ma la condanna all’attacco su Jabalia è andata oltre l’Onu. La Franciaha espresso profonda preoccupazione per le notizie che arrivano dall’area e per il drammatico bilancio. Paesi del Medio-Oriente come la Giordania e il Bahrein hanno interrotto le relazioni diplomatiche con Israele. In America latina, dopo le prese di posizione dei giorni scorsi di paesi come il Brasile e la Bolivia, ora anche Cile e Colombiahanno annunciato di voler richiamare i propri ambasciatori in Israele.
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