La corrispondente Farah Omar e il fotografo Rabih al-Maamari del media Al Mayadeen uccisi da un raid israeliano sul Libano.
Per il presidente dell’emittente si è trattato di un attacco deliberato e non casuale.
Il bilancio dei giornalisti morti dal 7 ottobre sale a 52, con 45 palestinesi, tre libanesi e quattro israeliani.
Nella mattinata del 21 novembre un raid di Israele sul sud del Libano ha causato la morte di due giornalisti. Nell’attacco hanno perso la vita la corrispondente Farah Omar e il fotografo Rabih al-Maamari, dipendenti del media libanese Al Mayadeen, oltre a un civile. Fonti locali fanno sapere che si è trattato di un attacco deliberato e non casuale.
Questo episodio aggrava ulteriormente il bilancio dei giornalisti mortidal 7 ottobre, data dell’attacco dell’organizzazione estremista palestinese Hamas in territorio israeliano e dell’avvio dell’offensiva militare di Israele su Gaza e, in modo più sporadico, sul Libano. Finora i morti nel settore dei media sono stati 52, di cui 45 palestinesi, tre libanesi e quattro israeliani.
Raid israeliani sul Libano
Questa mattina raid israeliani hanno colpito il sud del Libano, come avvenuto già in diverse occasioni dal 7 ottobre. Se l’offensiva militare di Israele dopo l’attentato dell’organizzazione estremista palestinese Hamas è concentrata sul confine meridionale, a Gaza, con bombardamenti che hanno causatooltre 13mila morti in un mese e mezzo, anche il confine settentrionale è stato interessato da tensioni e scambi di fuoco.
Il confronto è con i miliziani di Hezbollah, organizzazione politico-militare sciita vicina ad Hamas. Da una parte ci sono stati i lanci di razzi del gruppo libanese in suolo israeliano, perlopiù intercettati dal sistema di difesa missilistico, dall’altra i raid di Israele contro obiettivi strategici in Libano. Finora sono stati72 i miliziani di Hezbollah uccisi dai bombardamenti israeliani, ma tra i morti ci sono anche civili. In particolare, giornalisti.
Il 13 ottobre Issam Abdallah, videomaker libanese della Reuters, ha perso la vita sotto i colpi israeliani mentre stava lavorando al confine, coprendo proprio gli scambi di artiglieria in corso. Con lui sono rimasti feriti altri giornalisti e l’associazione Reporters Sans Frontières ha confermato che sono stati deliberatamente presi di mira. Nelle settimane successive altri giornalisti che si trovavano nella stessa zona hanno denunciato di essere stati bersagliati dai raid israeliani, senza che questo però si traducesse in vittime. Ma ora tocca di nuovo aggiornare il bilancio degli operatori media morti.
Sale la conta dei giornalisti morti
La mattina del 21 novembre un raid israeliano sul Libano ha colpito l’area del villaggio di Tir Harfa, a circa un chilometro dal confine. Sono morte tre persone: un civile e due giornalisti dell’emittente televisiva Al Mayadeen. Questi ultimi erano la corrispondente Farah Omar e il fotografo Rabih al-Maamari, entrambi molto giovani.
Come ha denunciatoGhassan Bin Jeddou, presidente del Consiglio di amministrazione della testata, le prove raccolte dimostrano che l’attacco israeliano che ha ucciso i due giornalisti fosse deliberato e non casuale. E il bilancio complessivo delle vittime nei media dal 7 ottobre a oggi si è così aggravato ulteriormente.
The journalist Farah Omar and the photographer Rabee Al-Maamari from Al-Mayadeen channel were killed by an Israeli airstrikes targeted them in southern Lebanon. pic.twitter.com/rUFpYZZgZJ
I giornalisti morti sono52, di cui 45 palestinesi, tre libanesi e quattro israeliani, questi ultimi uccisi dai miliziani di Hamas nell’incursione del 7 ottobre mattina. A Gaza i bombardamenti israeliani hanno colpito le case di diversi giornalisti, sterminando le rispettive famiglie. È successo per esempio a Wael Dahdouh, capo ufficio di Al Jazeera, e a Mohammad Abu Hasira, dipendente dell’agenzia di stampa Wafa. Nell’ultimo mese sono poi circa cinquanta le sedi di media distrutte o danneggiate dai raid israeliani su Gaza, con le forze israeliane che hanno esplicitamente avvertito le redazioni giornalistiche di non poter garantire la sicurezza dei loro dipendenti dagli attacchi aerei.
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