Il concerto milanese per Gaza, un successo di pubblico e raccolta fondi, è stata la presa di posizione più forte contro il genocidio della scena musicale italiana.
Israele, una canzone araba in cima alle classifiche
Dall’estate scorsa, per le strade e i bar alla moda di Tel Aviv si sentono sempre più spesso le note ipnotiche di un brano insolito: tre voci femminili intonano “Habib Galbi” (“Amore del mio cuore”) in dialetto arabo yemenita su un corposo tappeto ritmico fatto di darbuka e bassi digidub. Sono le A-WA (pronunciato “Ay
Dall’estate scorsa, per le strade e i bar alla moda di Tel Aviv si sentono sempre più spesso le note ipnotiche di un brano insolito: tre voci femminili intonano “Habib Galbi” (“Amore del mio cuore”) in dialetto arabo yemenita su un corposo tappeto ritmico fatto di darbuka e bassi digidub. Sono le A-WA (pronunciato “Ay Wah”, “sì” in arabo), tre sorelle israeliane originarie dello Yemen, che cantano melodie folk tradizionali tramandate loro dalla nonna, ma in chiave più moderna.
La hit sembrerebbe un tentativo, seppur velato di leggerezza pop, di colmare il divario tra la cultura ebraica e quella araba. Il successo di “Habib Galbi”, accolta e diffusa anche oltre frontiera nei paesi con cui Israele è in guerra da quasi 70 anni, sta spingendo gli esperti a chiedersi se la canzone sia effettivamente un segno di disgelo culturale e di speranza nel mare politico sempre più fosco della regione mediorientale.
In alcune interviste a Middle East Eye e Times of Israel, le sorelle Haim raccontano che la musica yemenita è una rarità tra le ragazze israeliane, presente per lo più nelle feste private dove a cantare sono le donne anziane. “Si tratta di canzoni popolari secolari, create e cantate da donne, tramandate da donna a donna attraverso una tradizione orale”, spiegano. “A ogni donna è permesso aggiungere il proprio tocco personale. In questo modo, la tradizione è mantenuta viva e continua a trovare il suo posto in ogni nuova era”.
Fu solo dal 1960, quando moltissime popolazioni giunsero in Israele, che cantautori come Shlomo Moga iniziarono a registrare le canzoni in dialetto arabo degli ebrei yemeniti. “Questa migrazione ha portato meravigliose tradizioni in Israele: danza, musica e cerimonie coloratissime. Le canzoni delle nostre radici sono popolari, senza tempo, semplici e oneste. Noi le rinnoviamo con la musica della nostra generazione: hip hop, reggae ed elettronica”.
Non è la prima volta che una canzone in lingua araba spopola in Israele, se si pensa per esempio a quelle di Ofra Haza negli anni Ottanta. Ma dopo decenni di divieti alla radio e negli altri media israeliani, parte di una più ampia repressione linguistica e culturale, la storia delle A-WA potrebbe generare nuovi spunti di ottimismo, o quantomeno di riflessione.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
I Massive Attack hanno chiuso l’edizione 2024 del Todays festival con uno show unico, dove la musica si è mescolata alla mobilitazione politico-sociale.
Dopo quasi quindici anni, il sogno dei fan si realizza: i fratelli Gallagher hanno fatto pace, gli Oasis tornano a suonare insieme.
Long Story Short è il nuovo Ep dell’artista italopalestinese Laila Al Habash. L’abbiamo incontrata per parlare di musica, attivismo e del genocidio nella Striscia di Gaza.
Hard art è il collettivo interdisciplinare fondato da Brian Eno per combattere i cambiamenti climatici e le crisi globali del nostro tempo.
Il progetto Sounds right consente agli artisti di accreditare la natura come co-autrice quando utilizzano i suoi suoni nelle loro composizioni.
La techno diventa voce di protesta contro i cambiamenti climatici nelle strade di Parigi grazie al collettivo Alternatiba Paris.
“Sulle ali del cavallo bianco” è il nuovo album di Cosmo, a tre anni dall’ultimo. Un periodo in cui il musicista di Ivrea è cambiato molto, tranne su un punto. La voglia di lottare per i diritti civili.
La commissione nazionale tedesca per l’Unesco ha dichiarato la scena techno di Berlino patrimonio culturale della Germania, riconoscendo il ruolo di musica, club e rave nei processi di trasformazione sociale.