Si punta arrivare al net zero del 2050 con almeno l’11 per cento di energia prodotta dai nuovi reattori, tutto fermo però sulla gestione delle scorie.
- Entro fino ottobre arriveranno le valutazioni della piattaforma per il nucleare sostenibile, poi arriveranno un programma nazionale e una legge delega per l’attuazione.
- Secondo il ministro Pichetto i reattori di quarta generazione potranno “bruciare le scorie per farne nuovo carburante” per le mini-centrali.
- Intanto il deposito per le scorie radioattive vecchie slitta almeno al 2039 e si valutano soluzioni alternative: lasciare quasi tutto com’è.
L’Italia preme l’acceleratore sul nucleare cosiddetto “pulito” di nuova generazione, anche se non si vedrà la luce prima di 15-20 anni e con tutti i dubbi del caso delle associazioni ambientaliste. Mentre frena ancora, di molti anni, sul deposito delle scorie radioattive, ben 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e media intensità prodotte dal nucleare di vecchia generazione: anche quello non si vedrà prima di 15-20 anni, sempre che si faccia davvero.
È la situazione delineata abbastanza chiaramente dallo stesso ministro dell’Ambiente e, soprattutto, della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, nel corso di una audizione alle commissioni Ambiente della Camera e del Senato, che stanno portando avanti una indagine conoscitiva sul ruolo dell’energia nucleare nella transizione energetica e nel processo di decarbonizzazione, che vede il 2050 come proprio orizzonte. Un ruolo, quello del nucleare, considerato fondamentale, perché l’ipotesi è quella di arrivare al Net zero del 2050 con una quota tra l’11 e il 22 per cento del totale dell’energia prodotta tramite nucleare, e la rimanente quota prodotta da fonti rinnovabili. Una ipotesi i cui tempi e risultati sono però incerti, vuoi per i tempi di cui necessità la ricerca, vuoi per la sua sostenibilità, economica, oltre che ambientale.
Secondo le parole del ministro, a oggi il rischio è che per quando entreranno in funzione le nuove centrali (“a cavallo del 2040”, secondo Pichetto), ancora non ci sarà il deposito per le scorie vecchie, visto che l’ipotesi di una sua entrata in funzione è già slittata, inizialmente prevista al 2029, è già slittata di dieci anni al 2039, e potrebbe tranquillamente slittare ancora o addirittura essere cassata “perché le procedure sono lunghe e complesse”. E soprattutto perché nessun territorio si è ancora fatto avanti per ospitarlo.
La “nuova visione” del nucleare
Pichetto Fratin ha chiarito che l’Italia non tornerà ai grandi impianti nucleari del passato, come quelli di prima e seconda generazione, ma punterà su tecnologie innovative: reattori modulari di piccole dimensioni (i cosiddetti Srm), più sicuri e capaci di generare energia con un impatto ambientale ridotto. Sulla carta, per ora, dal momento che parliamo pur sempre solamente di prototipi. Piccole dimensioni poi, ma non piccolissime, perché Pichetto ha azzardato un paragone, durante la sua audizione: “tutto l’impianto di un Srm, quindi non soltanto il piccolo reattore, ma includendo tutte le strutture necessarie per generare elettricità e connetterla alla rete, può avere le dimensioni di un centro commerciale e contemporaneamente dare energia elettrica costante a più di 500mila mila persone”.
La Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile, istituita dal Mase e insieme a Enea e a Rse, società controllata dal Gestore dei servizi energetici per lo sviluppo di attività di ricerca nel settore elettro-energetico, entro fine ottobre darà le proprie valutazioni finali che “saranno la base solida per la elaborazione e la possibile adozione da parte del governo di un Programma nazionale per il nucleare sostenibile, sia per il medio termine nel campo dei piccoli reattori modulari, sia nel lungo termine sulla fusione”. Ed entro il 2024 verrà presentata la legge delega per la produzione di energia nucleare, da discutere in Parlamento nel 2025.
Il ministro ha illustrato la visione di un percorso che guarda appunto al 2040 e oltre, con un focus particolare sui reattori di quarta generazione, definiti Amr, ovvero “reattori modulari avanzati”, in alcuni casi talmente ridotti da essere chiamati microreattori. I quali sarebbero grado non solo di produrre energia ma – e questo è un altro passaggio molto delicato e controverso – “anche di bruciare le scorie a lunga vita, trasformandole in combustibile utile, in un’ottica di vera economia circolare, riducendo fortemente il tempo di decadimento di queste scorie e conseguentemente riducendo o annullando la necessità di costruzione di un deposito”.
L’ostacolo delle scorie del passato
Il deposito, appunto. Perché intanto l’Italia deve ancora affrontare una realtà molto più ingombrante e difficile da risolvere: la gestione delle scorie radioattive prodotte dalle vecchie centrali nucleari, chiuse ormai da decenni. Le scorie sono stoccate in ben 100 depositi su 22 siti sparsi per il Paese, una situazione provvisoria che non solo pone rischi per la sicurezza, ma espone l’Italia a procedure di infrazione da parte della Commissione Europea.
Per risolvere questo problema, il ministro ha ribadito l’importanza di costruire un deposito nazionale per i rifiuti radioattivi, una struttura centrale che dovrebbe ospitare le scorie a bassa e media attività in sicurezza, mentre si lavora per trovare soluzioni geologiche definitive per le scorie ad alta attività. Tuttavia, Pichetto stess ammette che il percorso verso la realizzazione del deposito è segnato da ritardi e ostacoli e sposta ancora più in là i termini per l’effettiva entrata in funzione del deposito.
Solo lo scorso dicembre la Carta nazionale delle aree idonee ha individuato 51 siti potenzialmente adatti, ma la scelta definitiva è ancora lontana: prima di poter approvare la Carta, è necessaria una lunga procedura di Valutazione ambientale strategica (Vas), che potrebbe richiedere anni di confronto con le amministrazioni locali e ulteriori analisi. E soprattutto, nessuna delle 51 amministrazioni locali individuate finora ha dato il proprio assenso a ospitare il deposito di scorie radioattive, sebbene questo secondo Pichetto possa essere “una grande opportunità di sviluppo”.
Insomma, ammette il ministro, “in base alle stime attuali, ipotizzando che tutte le fasi procedurali vadano a buon fine, si potrà ottenere l’autorizzazione unica per il deposito nazionale nel 2029, con la messa in esercizio prevista entro il 2039”. Sempre che si faccia davvero, a questo punto, perché visti i tempi lunghi “stiamo anche valutando soluzioni alternative”.
Quali? Per esempio continuare a usare le strutture che già ci sono: “Spesso si tratta di strutture, presenti al sud, al centro e al nord, isole comprese, con le quali il territorio convive da molti anni e che in alcuni casi necessitano semplicemente di un ammodernamento in termini strutturali e tecnologici. L’idea quindi che si sta valutando è quella di ammodernare le strutture esistenti, eventualmente ampliandole, sfruttando la possibilità di farlo in località potenzialmente già idonee alla gestione in sicurezza di rifiuti radioattivi”. In pratica, lasciare tutto com’è adesso, o quasi.
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