Dopo l’era del carbone e l’era del petrolio, ora ci stiamo muovendo a velocità sostenuta verso l’era dell’elettricità. Grazie all’energia rinnovabile.
Italia e transizione energetica, oltre al gas c’è di più
Secondo Carbon Tracker investire sul gas porterebbe il nostro paese a non raggiungere gli obiettivi climatici e perdere 11 miliardi di euro nei prossimi anni.
L’Italia a tutto gas? Non conviene. Non solo si tratta di un combustibile fossile, quindi ad alto impatto sul clima, ma si tratterebbe di una fonte energetica fuori mercato, che comporterebbe perdite economiche alla collettività. A dirlo è un recente rapporto di Carbon Tracker, un gruppo di specialisti finanziari che illustra la realtà del rischio climatico sugli attuali mercati di capitali, che ha realizzato lo studio Il rischio di andare a tutto gas – Perché l’Italia dovrebbe investire nel settore dell’energia pulita, in collaborazione con il Rocky mountain institute (Rmi), organizzazione non profit indipendente che da oltre trent’anni lavora per un futuro a basso impiego di carbone e a zero emissioni.
Puntare sul gas significa perdere miliardi di euro
I punti salienti del rapporto sono piuttosto chiari: i piani di costruzione di nuove centrali a gas in Italia per una capacità complessiva di 14 GW potrebbero mettere a rischio gli obiettivi climatici del paese, comportare perdite fino a 11 miliardi di euro in investimenti. “Abbiamo comparato i progetti proposti ad un portafoglio di rinnovabili mostrando che esistono già soluzioni più vantaggiose che permettono di non considerare il gas come una fonte energetica di transizione”, spiega a LifeGate Catharina Hillenbrand Von Der Neyen, responsabile power and utilities presso Carbon Tracker. “Se si considera il gas come tale, si rischia di perdere miliardi di euro in stranded assets. Perché questi combustibili non sono più competitivi”.
Nei prossimi dieci anni infatti le utility prevedono di costruire nuove centrali a gas per rispondere al cosiddetto phase out dal carbone (lo spegnimento delle centrali termiche a carbone), con 5,8 GW di potenza che sarebbero già garantiti da contratti di approvvigionamento aggiudicati nel mercato della capacità (capacity market) e che dovrebbero entrare in servizio entro il 2023. Lo studio però indica che nei bilanci degli operatori elettrici potrebbero rimanere miliardi di euro in attivi non recuperabili (appunto gli “stranded asset”), con conseguente svalutazione del capitale sociale.
Le rinnovabili sono già più economiche rispetto al gas
“Noi non abbiamo fatto altro che valutare la stessa produzione di elettricità, nelle stesse ore e con la stessa domanda e di paragonarla con le soluzioni oggi disponibili, dimostrando che le rinnovabili sono semplicemente più economiche”, continua Hillenbrand Von Der Neyen.
Il fatto che il gas sia considerato un combustibile di transizione per ridurre l’impronta di carbonio del settore energetico è comunque confermato anche dall’Agenzia internazionale dell’energia (Aie). “Ha senso investire in impianti che sappiamo già saranno fuori mercato tra venti o trent’anni? Io non lo farei”, commenta l’esponente di Carbon Tracker.
Il rapporto fornisce anche soluzioni. Il mix ottimale – il portafoglio di rinnovabili – infatti si comporrebbe per un 31 per cento da centrali fotovoltaiche – per generare energia sufficiente per la maggior parte della giornata. Di un 17 per cento di parchi eolici su terraferma, in grado di garantire energia elettrica durante le ore notturne. Di un 16 per cento di batterie di accumulo elettrico – essenziali per rispondere alla domanda delle ore di punta. Di un 27 per cento di riduzione della domanda e di un 9 per cento di efficienza energetica, ovvero ristrutturando i vecchi edifici.
Il ruolo dell’idrogeno
Nelle ultime settimane si sta parlando molto del ruolo che avrà l’idrogeno come vettore fondamentale per alimentare la transizione energetica. Lo stesso ministro della Transizione ecologica Cingolani l’ha confermato pochi giorni fa: “Nel settore energia dovremo seguire la road map europea e installare decine di gigawatt di potenza di natura rinnovabile, investiremo molto su tecnologie connesse all’idrogeno. Dobbiamo gettare le basi per una società che evolva verso la decarbonizzazione dell’energia secondaria e primaria […]”.
“L’idrogeno torna ciclicamente nel dibattito”, sottolinea Hillenbrand Von Der Neyen. “Ma si tratta ancora di una tecnologia troppo costosa. La nostra idea è che non serva per produrre elettricità, piuttosto sia utile per settori industriali – come quello dell’acciaio – che difficilmente possono ridurre le proprie emissioni. Soprattutto nel momento in cui abbiamo soluzioni più economiche già a portata di mano”.
Mentre secondo lo studio il mercato della capacità ha falsato il mercato dell’energia a favore di centrali a gas preesistenti e nuove, a svantaggio di rinnovabili, ora il recovery plan italiano, si appresta a dedicare circa 70 miliardi di euro alla transizione energetica. E pare piuttosto chiaro che il gas potrebbe non essere il cavallo giusto su cui puntare.
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