Le inondazioni hanno causato sette vittime e due dispersi in Toscana. Anche altre regioni del nord Italia hanno subìto danni dalla tempesta Ciarán.
L’Italia è uno dei pochi paesi a non aver ancora adottato un piano di adattamento ai cambiamenti climatici, nonostante sia uno dei più fragili.
Cemento, rischio idrogeologico, riscaldamento globale: su ciascuno di questi fattori, l’Italia è indietro nella prevenzione e pianificazione.
Sembra di vivere un déjà-vu. E invece è la triste realtà: l’Italia sta di nuovo contando vittime e danni in seguito ai recenti eventi estremi che hanno flagellato il nord Italia. Questa volta la causa è la tempesta Ciarán ed è toccato in particolare alla Toscana, dove a essere colpita dalle piogge intense è l’intera area che va da Pistoia a Firenze, piogge che hanno causato la morte di sette persone. Altri danni si contano in Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Liguria.
Tutto questo succede a distanza di appena sei mesi dalle alluvioni che hanno messo in ginocchio la Romagna. Una nuova occasione per riflettere sulla fragilità del nostro territorio e sulla totale mancanza di prevenzione da parte delle istituzioni preposte. Un’analisi delle cause, infatti, dimostra ancora una volta che l’Italia è in estremo ritardo nell’applicazione delle misure di adattamento alla crisi climatica.
Toscana sotto la tempesta, ma basta chiamarlo maltempo
Prima di tutto, è necessario chiamare le cose con il proprio nome. Non si tratta di semplice “maltempo”, ma di precisi impatti della crisi climatica, di cui l’Italia è ormai soggetta da diverso tempo. Gli eventi estremi a cui abbiamo assistito, infatti, sono diventati via via più strutturali nella “nostra” storia climatica. Lo dimostrano i dati raccolti dalla rete Italy for Climate: l’Italia ha registrato, solo nel 2022, il valore record di circa duemilaprecipitazioni straordinarie, tra grandinate e piogge intense.
“Dobbiamo prendere coscienza di essere entrati in una nuova fase storica, caratterizzata da un assetto climatico diverso da quello a cui eravamo abituati”, spiega Andrea Barbabella di Italy for Climate. “E questo a causa dell’enorme quantità di energia in più intrappolata nell’atmosfera da quei gas serra che abbiamo emesso negli ultimi decenni e che ancora non abbiamo iniziato a ridurre. Se non invertiremo tagliando rapidamente e in modo drastico queste emissioni, purtroppo eventi tragici come questi, e anche peggiori, diventeranno sempre più una nuova normalità”.
Che responsabilità abbiamo noi essere umani in tutto questo? Molta. “Il riscaldamento globale causato dalle nostre emissioni accresce la quantità d’acqua che l’atmosfera può trattenere e questo si traduce in piogge più violente e concentrate in un breve lasso di tempo”, continua Barbabella. Ma dare la colpa ai soli cambiamenti climatici ci allontana dalle nostre responsabilità, come “esseri umani”, sul territorio. Infatti, aggiunge Barbabella, “l’aumento delle aree impermeabilizzate, con edifici, strade o parcheggi, comporta una minore capacità da parte del suolo di assorbire le precipitazioni”.
Proprio il consumo di suolo è uno dei maggiori responsabili della violenza di tali eventi. “Uno a sei, ma forse anche uno a otto: si tratta del rapporto tra l’acqua che si infiltra nel suolo cementificato e quella che può penetrare in un terreno non cementificato”, dice Paolo Pileri, docente di pianificazione urbana al Politecnico di Milano e autore di una rubrica su Altreconomia. Come spiega Pileri, infatti, “quando si urbanizza, si impermeabilizza”. E di conseguenza, l’acqua trova meno ostacoli, facendo più danni. Così, il terreno asfaltato e cementificato ha moltiplicato gli impatti della pioggia caduta in Toscana pochi giorni fa, così come è successo in Romagna nel maggio 2023, così come nelle Marche a settembre 2022, così come numerosi e periodici eventi precedenti.
Insomma, l’azzeramento del consumo di suolo sarebbe il primo obiettivo da perseguire in ottica di prevenzione, eppure è un’ipotesi che non viene considerata dalle Regioni e dagli enti locali, come dimostra l’ultimo rapporto di Ispra sul tema, dove vengono descritti nuovi record di velocità di cementificazione per l’Italia.
Italia senza un piano di adattamento
La grande assente, alla fine, è sempre lei: la prevenzione. “Quando parliamo di prevenzione, intendiamo prima di tutto prendere coscienza della situazione, quindi guardare alle cause e optare per scelte diverse da quelle fatte finora”, riprende Barbabella.
L’Italia, infatti, è uno dei pochi paesi europei a non aver ancora adottato un piano di adattamento alla crisi climatica, benché sia uno dei più fragili. Ma perché, nonostante tutti questi campanelli d’allarme, è stato fatto così poco in termini di prevenzione? “Purtroppo il tema della crisi climatica non rappresenta una priorità per la classe politica”, spiega Barbabella. “È un tema che per i politici non paga dal punto di vista elettorale, ma che avrebbe bisogno di un approccio diverso. Non si tratta di uno scherzo”.
Ogni giorno che passa senza mettere in sicurezza il territorio è un giorno perso, il cui bilancio è rimandato ai prossimi eventi eccezionali. “Nel concreto, bisogna partire da un censimento dei danni, cioè quanto ci costano in termini di perdite gli eventi estremi. Ancora non c’è questo monitoraggio, che andrebbe affidato al più presto a un soggetto pubblico”, conclude Barbabella. Pesano i negazionisti su queste scelte? “Secondo me il negazionismo c’entra poco. Esiste più un negazionismo per interesse, che per ignoranza. E poi ci sono troppe persone che non vogliono vedere le cose come stanno e piuttosto di mettere in discussione lo status quo costruiscono degli alibi, come quello che eventi di questo tipo ci sono sempre stati. I dati raccolti dagli scienziati dell’Ipcc dimostrano che se una volta eventi del genere accadevano due o tre volte ogni dieci anni, adesso possono succedere più volte l’anno”.
Purtroppo, dopo gli eventi della Toscana, siamo ancora qui a parlare del punto di partenza, cioè da dove iniziare. Se nemmeno questa volta le cose cambieranno, al prossimo evento eccezionale rischiamo di dire – e scrivere – le stesse cose.
L’albero potrebbe avere fino a mille anni, ma è stato scoperto solo dal 2009, dopo la segnalazione di una band della zona, che ora gli dedicherà un brano.
Il 29 ottobre 2018, le raffiche di vento della tempesta Vaia hanno raso al suolo 40 milioni di alberi in Triveneto. Una distruzione a cui si sono aggiunti gli effetti del bostrico, che però hanno trovato una comunità resiliente.