In Piemonte, a pochi chilometri dal confine francese, la Valle Maira offre tutto ciò che chi ama l’autenticità dei territori montani cerca.
Itinerario. 10 fontane e monumenti dove gli animali nascondono un segreto
Sin dai primi graffiti preistorici l’uomo ha trovato nel mondo naturale la trasfigurazione di un significato simbolico o allegorico. In ogni epoca e in ogni stile artistico, gli animali e la natura hanno avuto un ruolo fondamentale sottolineando la necessità dell’uomo di confrontarsi con la vita che lo circonda. Dall’araldica alle rappresentazioni sacre, dalla pittura
Sin dai primi graffiti preistorici l’uomo ha trovato nel mondo naturale la trasfigurazione di un significato simbolico o allegorico. In ogni epoca e in ogni stile artistico, gli animali e la natura hanno avuto un ruolo fondamentale sottolineando la necessità dell’uomo di confrontarsi con la vita che lo circonda. Dall’araldica alle rappresentazioni sacre, dalla pittura all’architettura tutte le forme artistiche hanno voluto trasmettere attraverso le peculiarità delle forme naturali la forza politica di una famiglia, prestigio di una dinastia, potere di una repubblica, la devozione religiosa o tradizione di una società. L’itinerario che proponiamo è un viaggio alla ricerca delle leggende, della simbologia e delle curiosità nascoste dietro dieci fontane e monumenti da scoprire nel cuore delle città italiane.
© dkonn/Flickr
I gargoyle del Duomo di Milano. Anche solo costeggiando in automobile il duomo di Milano si possono vedere le mostruose statue dei gargoyle o gargolla impegnate sin dal medioevo a cacciare i demoni dalla chiesa più importante della città. L’origine di questa usanza è molto antica, un retaggio delle creature ibride rintracciabili nella cultura pagana. La leggenda dei gargoyle nasce in Francia nel VII secolo quando la città di Rouen venne liberata dall’assedio di un drago, il cui corpo fu bruciato al meno della testa che non ardendo fu posta alla sommità delle mura cittadine per allontanare i mostri.
Queste figure allegoriche, ispirate agli animali reali o fantastici descritti nei bestiari, rappresentano la spiritualità visionaria medioevale che usava facce gioconde e figure demoniache con il triplice scopo decorativo, funzionale e religioso. I gargoyle che decorano riccamente l’esterno del duomo milanese non sono altro che dei goccioloni, delle grondaie, che servono per far defluire la pioggia dalla struttura dell’edificio. Per questo motivo, i mostri alati, i leoni e i draghi sono molto sporgenti e posti agli angoli o in corrispondenza delle pendenze non solo per allontanare gli spiriti maligni ma anche l’acqua.
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La statua dell’orso ad Andalo (Trento). Si chiama Maya ed è la statua bronzea dell’orso diventato il simbolo della città di Andalo in provincia di Trento. L’opera dello scultore viterbese Francesco Maria Capotosti venne portata nel 2006 in questo comune sull’altipiano del Brenta e da quel momento è stata a dir poco adorata dai cittadini e dai turisti. Da sempre legato alle caratteristiche sul suo territorio, tra cui alla presenza dell’orso bruno, Andalo già dalla metà del Novecento aveva scelto questo mammifero come figura principale dello stemma del proprio comune.
La fontana dell’aquila a Trento. A ridosso della casa Rella, nella piazza del duomo di Trento la fontanella dell’aquila rappresenta lo stemma della città. L’uccello intento a sprimacciarsi risale al 1850 quando Stefano Varner scolpì la copia di un’aquila, ormai perduta, proveniente dalla sommità di una fontana ben più antica. La leggenda lega la presenza di quest’aquila a un condannato a morte. Una versione vuole che l’uomo, colpevole dell’uccisione della moglie, giurò sulla colpevolezza dell’aquila e questa si pietrificò sotto il suo scongiuro. Una seconda menziona un uomo che condannato a morte urlò “che l’aquila diventi pietra se sono innocente” e quella cadde in volo pietrificata. Oltre alla leggenda, la bellezza di questa statua ha ispirato lo stemma cittadino sugellando il legame sempre profondo tra i trentini e la fauna che popola il loro territorio.
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La statua del Leone di San Marco a Venezia. Il mistero e la storia avvolgono la statua del leone alato che sovrasta piazza San Marco a Venezia. Dalla datazione incerta il Leone di San Marco ha avuto una vita lunga e tumultuosa. Le origine di quest’opera sono tutt’ora sconosciute, nata probabilmente come una chimera, fu posta sulla colonna di San Marco a cavallo tra il XII è il XVIII secolo. Nel corso degli anni l’opera ha avuto diverse attribuzioni, fu creduta di fattura romanica, assira e persino cinese, fatto certo è che in epoca medievale vennero aggiunte le ali, simbolo dell’elevazione spirituale della parola di San Marco evangelista. Dall’alto della sua posizione la statua del Leone marciano venne spostata da Napoleone a Place des Invalides a Parigi, tornando a Venezia, completamente frantumata, solo dopo il 1815 quando venne restaurata da Bartolomeo Ferrari. Dopo la Seconda guerra mondiale, il Leone di San Marco fu collocato nuovamente alla sommità della sua colonna in granito egiziano. Da lì, il simbolo di Venezia guarda mansueto i turisti e i veneziani che passano per piazza San Marco.
La gatta di Sant’Andrea a Padova. Sul piccolo sagrato della chiesa di Sant’Andrea a Padova, una colonna romana in pietra locale è sormontata dalla statua di un leone, comunemente considerata “la gatta di Sant’Andrea”. Nel 2013, un autista maldestro fece cadere la statua che, dopo un lungo restauro fu ricollocata alla sommità della colonna lo scorso 19 marzo. La storia della gatta è legata all’abilità bellica della contrada Sant’Andrea che, distinguendosi gloriosamente nel 1209 nella battaglia alla rocca di Este, contro il signore di Ferrara e Ancona Aldobrandino d’Este, portò in città questa statua come bottino di guerra. L’originale andò distrutto quando Padova passò sotto il dominio francese, ma una copia della gatta ancora oggi è visibile nel luogo considerato il più alto della città dove, nonostante l’aspetto rozzo, viene considerata il simbolo della città veneta.
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Mater amabilis ad Ancona. Nel 1992 venne commissionata all’artista maceratese Valeriano Trubbiani una statua di grandi dimensioni da collocare all’esterno della sede Sip di Ancona, oggi spostata in piazza Pertini, nel centro della città. Ispirato dal film, E la nave va, girato da Federico Fellini nel 1983 proprio ad Ancona, Trubbiani scelse di rappresentare un rinoceronte con il suo piccolo. Nel film di Fellini, infatti, veniva raccontata la storia di un rinoceronte che, sopravvissuto al naufragio del piroscafo dove viaggiava, approda ad Ancona dove si rivela essere una femmina partorendo il suo piccolo sulla banchisa. Questo giustifica il supporto dell’opera raffigurante un pontile. Nell’opera Mater amabilis di Valeriano Trubbiani viene rappresentato il senso di protezione materno, con l’atteggiamento sicuro del rinoceronte più grande che guarda docile e calmo il percorso che il cucciolo sta intraprendendo timoroso. Una lucertola che fa capolino tra i pali del basamento e un airone guardabuoi, sulla groppa del rinoceronte più grande, guardando la scena famigliare venendo a loro volta rassicurati dal profondo e affettuoso gesto materno.
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Il Teodelapio a Spoleto. In piazzale Giovanni Polvani a Spoleto un cavallo d’acciaio, il Teodelapio, porta la firma di Alexander Calder. Per la forma e il nome di quest’opera, l’artista trasse ispirazione dalla corona a punte aguzze raffigurata sul capo del duca longobardo che governò su Spoleto nella prima metà del VII secolo. Il Teodelapio fu realizzato dall’officina Italsider di Savona con delle lastre d’acciaio, comunemente usate per gli scafi delle navi, poi saldate e dipinte di nero. La monumentale scultura, unica opera dell’artista statunitense conservata in Italia, fu donata alla città nel 1962 durante la mostra open air, Sculture in città, organizzata in occasione del V Festival dei due mondi. Il curatore dell’evento Giovanni Carandente avrebbe voluto uno dei famosi “mobile” inventati da Calder, una scultura movimento (arte cinetica), ma l’artista propose uno “stabile”, una scultura ferma, che però potesse essere attraversata e ammirata girandovi tutt’intorno a piedi o in automobile.
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La Fontana del Porcellino a Firenze. Nel 1612 Cosimo II de’ Medici commissionò a Pietro Tacca la copia di una statua donatagli da papa Pio IV raffigurante un cinghiale. Tacca riportó fino al minimo dettaglio il corpo dell’animale, compiacendo con la sua bravura Ferdinando II de’ Medici che volle trasformare l’opera in una fontana. Dal 1640, lungo la loggia del Mercato nuovo di Firenze, nelle vicinanze di Ponte Vecchio, la Fontana del porcellino, che in realtà raffigura un cinghiale, è una delle mete preferite dai turisti e dagli scaramantici. Benché la fontana avesse la funzione di approvvigionare d’acqua i mercanti, la tradizione popolare ha voluto che questo docile cinghiale potesse rivelare la fortuna di chi ne avesse strofinato il naso. Colui che avesse toccato il naso dell’animale dopo aver messo una moneta nella bocca, sarebbe stato fortunato solo se il denaro fosse caduto oltre la grata di scolo. In realtà, le fauci del cinghiale hanno un’inclinazione tale da permettere solo alle monete più pesanti (con una valuta più alta) di cadere dentro la grata. Durante un viaggio a Firenze, lo scrittore danese Hans Christian Andersen rimase tanto impressionato dalla statua del porcellino da dedicarle una delle sue fiabe, il porcellino di bronzo.
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La Fontana delle Tartarughe a Roma. A Roma, nella piccola piazza Mattei, nel rione Sant’Angelo, si trova la Fontana delle Tartarughe. Su progetto di Giacomo della Porta, la fontana venne istallata tra il 1581 e il 1588 di fronte al palazzo del committente Muzio Mattei, nei pressi del Ghetto ebraico. La leggenda vuole che il duca, pur di riconquistare la fiducia del futuro suocero dopo una clamorosa perdita al gioco, fece costruire in una sola notte una fontana che stupisse per la sua bellezza. Questa vicenda non può far altro che rimanere leggenda, mentre è indubbia la raffinatezza di quest’opera. I marmi policromi e l’articolata struttura architettonica passano in secondo piano rispetto alle piccole tartarughe, attribuite a Gian Lorenzo Bernini, aggiunte nel 1658 a sostituzione di quattro delfini. Le quattro testuggini, aiutate a entrare nella vasca superiore da altrettanti efebi in bronzo, sono le vere e proprie protagoniste della scena.
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Il lupo della Sila a Cosenza. A Cosenza la collezione privata di Vincenzo e Carlo Bilotti ha scelto una collocazione insolita per esporre le sue opere, lungo corso Mazzini è collocato il Museo all’aperto Bilotti (MAB). Tra le opere dei più noti artisti del Novencento, da Manzù a De Chirico, da Dalì a Consagrà, un’opera spicca per il suo valore simbolico e artistico: la scultura raffigurante il lupo della Sila dell’artista catanzarese Mimmo Rotella. Il lupo scolpito in marmo verde è l’ultima opera che l’artista eseguì su commissione di Vincenzo Bilotti prima della sua morte, avvenuta a Milano nel 2006. Con quest’opera Rotella ha voluto dare una testimonianza dell’importanza dell’identità locale e della riscoperta della cultura calabrese, il lupo che ulula nel cuore di Cosenza è lo stesso che popola la catena montuosa della Sila il cui altipiano sovrasta la città. Il lupo della Sila è il simbolo della cultura popolare e del patrimonio della Calabria, un emblema che viene riscoperto in questo museo all’aperto senza imposizioni ma solo cercando un legame tra le tracce della nostra civiltà e tutti i passanti.
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