Tra le più giovani prime ministre di sempre, in pochi anni Jacinda Ardern ha dato prova che una leadership risoluta ma umana è possibile.
La premier neozelandese Jacinda Ardern si dimetterà. Lo ha annunciato oggi in una conferenza stampa tenutasi durante il meeting annuale del comitato elettorale del Partito Laburista della Nuova Zelanda, riunitosi vista delle elezioni che si terranno il prossimo ottobre.
Ardern è conosciuta per essere stata una delle più giovani leader di sempre, essendo diventata prima ministra a soli 37 anni nel 2017. In un periodo di tempo piuttosto breve per una figura politica della sua qualità e carisma, Ardern ha dovuto affrontare sfide politicamente complesse come la gestione della pandemia e le conseguenze della strage suprematista di Christchurch in cui persero la vita 50 persone di fede musulmana, che resta il peggior attentato terroristico nella storia del paese. In entrambe le circostanze è riuscita a ricondurre l’azione tempestiva richiesta da simili emergenze a un modello di gestione della leadership a sua immagine e somiglianza, capace di unire pragmatismo, risolutezza ed empatia, per costruire un legame di fiducia con la popolazione in maniera molto personale. Al contempo, le scelte compiute da Jacinda Ardern in questi anni hanno dato concretezza l’idea che una donna possa avere successo, fare carriera e, ancor più importante, guidare un paese senza rinunciare a sè stessa, scegliendo liberamente di avere un figlio e andare in maternità durante il proprio mandato.
La decisione di Jacinda Ardern non sembra politica
Le dimissioni di Ardern arrivano in una fase del suo mandato non tra le più in discesa. A detta di alcuni osservatori, la premier ha inauguarto l’anno che terminerà con le elezioni con una consistente flessione di popolarità, dovuta in buona parte al mancato raggiungimento di alcuni obiettivi cardine della sua proposta, che non hanno avuto lo stesso esito degli sforzi profusi in materia di dritti civili. La decisione di annunciare le proprie dimissioni non sembra però il frutto di una crisi politica, bensì di una scelta personale: “Me ne vado perché da un ruolo così privilegiato derivano delle responsabilità”, ha detto Ardern, aggiungendo che “la responsabilità di sapere quando si è la persona giusta per stare alla guida e anche quando non lo si è. So cosa richiede questo lavoro. E so che non ho più abbastanza energia per farlo bene. È semplice”.
Anche in questo senso, tramite una scelta che mette al centro la solidità personale e soprattutto i risvolti di questa sull’esercizio di una leaderschip tanto integra, Jacinda Ardern ha ribaltato, scevra da proclami moralisti, la figura stereotipata del capo-comandante che ha fagocitato la propria dimensione umana, quella più simile alle persone che è stata chiamata a rappresentare.
Secondo quanto comunicato in conferenza stampa, Ardern dovrebbe si dimetterà entro il prossimo 7 febbraio. Sul nome del suo successore, sia come capo del Partito Laburista che probabilmente del governo fino a ottobre, poco si sa: il vice primo ministro Grant Robertson ha fatto sapere che non si candiderà a leader del partito, aprendo di fatto all’ipotesi di primarie-lampo per decidere il sostituto della premier dimissionaria.
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