Abyss Clean Up, diretto da Igor D’India, segue quattro anni di lavoro di un gruppo di esperti alla ricerca di rifiuti nel mar Mediterraneo.
Le mille vite di Jane Fonda tra cinema, fama e impegno politico e sociale
La vita di Jane Fonda è stata un successo planetario e durato decenni. Contraddistinto dall’impegno per i diritti, l’ambiente e il clima.
“Essere attore è vivere molte vite diverse”. Un’affermazione tipica dei professionisti dello spettacolo. Ma che per Jane Fonda vale ancora di più. Lei, di vite, ne ha vissute davvero tante. E pensare che fare l’attrice, sulle orme del padre Henry, non era nemmeno nei suoi piani. Voleva fare la modella, Jane Fonda, alla fine dei suoi studi al Vassar College. Ma dall’esordio sul grande schermo, a 23 anni, nel ruolo di June Ryder nella pellicola di Joshua Logan “In punta di piedi” – era il 1960! – sono decine i film che l’hanno vista protagonista. Due gli Oscar vinti, diversi i Golden Globe e troppi da elencare gli altri premi e le nomination.
Nata a New York il 21 dicembre 1937, figlia del maestoso Henry Fonda e sorella maggiore di Peter, Jane Fonda respira fin da piccola l’arte, il cinema e lo spettacolo in una famiglia dalle origini variegate (ci sono un po’ di Olanda, Scozia, Canada, Francia e Italia nel suo sangue). Prima di decidere di dedicarsi alla carriera di attrice e dopo gli studi e i viaggi in Europa, Jane Fonda voleva lavorare appunto nella moda. Sono due le copertine di Vogue che la vedono protagonista. Ma la sua vita cambia nel 1958 quando, rientrando negli Stati Uniti, incontra Lee Strasberg che la convince a frequentare i suoi corsi all’Actors Studio. Poi nel 1960 l’esordio al cinema. E da lì in poi una lunga, lunghissima lista di successi.
Tante vite, tante vesti, tanto successo. E anche tanto impegno
Le immagini di lei, ottantenne in cappotto rosso, che mostra con orgoglio e divertimento i polsi ammanettati, ogni venerdì, alle proteste per il clima, hanno fatto il giro del mondo. Ma andiamo con ordine. Nel 2018 l’emittente televisiva statunitense Hbo ha prodotto un documentario dal titolo “Jane Fonda in Five Acts” che ne racconta il percorso dagli esordi come attrice, nel mezzo di un mondo magmatico dal punto di vista intellettuale e sociale, fino al suo attivismo politico che l’ha vista in prima linea in molti dei più grandi movimenti della storia americana del Ventesimo secolo.
Quando negli anni Sessanta iniziava la sua carriera di attrice, Jane Fonda sosteneva le Pantere Nere. Un’organizzazione nata per proteggere gli afroamericani dalle violenze della polizia, poi evoluta in un movimento rivoluzionario che puntava a un radicale cambiamento finalizzato a superare le diseguaglianze sociali ed economiche che colpivano la comunità nera. Negli anni Settanta era accanto ai nativi americani che protestavano contro il degrado delle riserve. E sempre negli anni Settanta, ovviamente, ha dato il suo contributo al movimento di opposizione alla guerra del Vietnam.
Era comune per gli attivisti per i diritti civili statunitensi recarsi nella nazione asiatica per vedere con i propri occhi e testimoniare poi in prima persona la situazione della guerra. Così anche Jane Fonda, nel 1972, visitò il Nord del Vietnam. «Se vi dicessero la verità, se vi dicessero chi sono davvero i vostri obiettivi – scongiurava i piloti americani – non combattereste, non uccidereste. Non siete stati messi al mondo e cresciuti dalle vostre madri per essere degli assassini. Dobbiamo impegnarci tutti moltissimo per restare umani».
Femminista, pacifista, filantropa, filo-palestinese. Inevitabilmente ambientalista
Al Sundance Film Festival del 2015 si è espressa contro il permesso concesso dall’allora presidente Obama alle trivellazioni nell’Artico. E nel luglio di quell’anno manifestava a Toronto nella “March for Jobs, Justice and Climate” (Marcia per il lavoro, la giustizia e il clima): iniziativa volta a mostrare le strette interconnessioni tra temi apparentemente lontani tra loro. La cena del Ringraziamento del 2016 Jane Fonda l’ha consumata insieme a migliaia di attivisti radunati a Standing Rock, per protestare contro la costruzione della Dakota Access Pipeline. Un oleodotto interrato che si sarebbe dovuto estendere (il progetto è stato poi bloccato da un tribunale) per 1.886 chilometri. Attraversando quattro Stati, dal Nord Dakota all’Illinois, minacciando le terre dei Sioux e il loro accesso all’acqua.
E così arriviamo al cappotto rosso. Ispirata da Greta Thunberg, Jane Fonda ha deciso di concentrare i propri sforzi sull’attivismo per il clima. Si è trasferita a Washington e da ottobre 2019, ogni venerdì, ha manifestato insieme a Greenpeace con il suo movimento Fire Drill Friday sui gradini del Campidoglio. Finendo per essere arrestata cinque volte per manifestazione non autorizzata, anche se poi le accuse non sono mai state formalizzate.
“Stiamo cercando di salvare la Terra e l’umanità – ha spiegato la star di Hollywood in un’intervista concessa a Entertainment Tonight -. Gli scienziati ci hanno detto che abbiamo ancora a disposizione soltanto undici anni per fare qualcosa di incredibilmente complicato, ovvero rallentare i cambiamenti climatici. È qualcosa che tocca ogni aspetto delle nostre esistenze e del nostro Pianeta”
“È troppo tardi per essere moderati”
Non perde una manifestazione, Jane Fonda. E spesso al suo fianco manifestano (e vengono anche loro arrestate dalla polizia) altre stelle dello spettacolo: da Sam Waterston, suo collega nella serie “Grace e Frankie”, a Ted Danson, attore, comico e ambientalista, fino a Catherine Keener e Rosanna Arquette. Poi Ben Cohen e Jerry Greenfield, fondatori della celebre marca di gelati Ben & Jerry. E la lista è lunga. Mancava solo Leonardo DiCaprio, il cui impegno per l’ambiente e il clima è però noto. Almeno quanto il suo essere eternamente candidato all’Oscar e (quasi) mai premiato.
Compatibilmente con i propri impegni professionali, che l’hanno portata a Los Angeles e all’emergenza sanitaria che ha trasformato in virtuali le proteste, l’impegno di Jane Fonda non si è mai fermato. E c’è da credere che non si fermerà. Perché se la sua carriera ha preso strade molto diverse nel corso della sua esistenza, una cosa è rimasta costante: il suo desiderio di produrre un cambiamento. Del resto, è suo figlio stesso, Troy Garity, in chiusura del documentario “Jane Fonda in Five Acts” a dire di lei: “Non si fermerà. È una missione. Il desiderio di fare del bene tiene a bada i suoi demoni”.
Una vita, tante vite. Normale per un’attrice. Ancor di più per una donna coraggiosa, appassionata ed energica che non hai mai smesso di schierarsi dalla parte di ciò che ritiene giusto, con determinazione. E la sua battaglia di oggi è la battaglia delle battaglie. La causa che unisce milioni di giovani (e meno giovani) nel mondo: la battaglia per salvare il clima. Per salvare il nostro futuro. Per l’ambiente, l’equità e la salute, che sono strettamente collegate tra loro. Senza paura e senza compromessi. Perché, come dice Jane Fonda, “è troppo tardi per essere moderati”.
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