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Chi era John Lewis. La storia del leader che ha lottato con Martin Luther King
John Lewis ha marciato al fianco di Martin Luther King per i diritti degli afroamericani. L’infanzia, la carriera, l’affetto della gente dopo la sua morte.
“Because of you, John”. Grazie a te, John: questo è quello che Barack Obama ha detto a John Lewis quando, nel 2008, è diventato il primo afroamericano ad essere eletto presidente degli Stati Uniti.
L’infanzia e l’adolescenza
Lewis è nato in Alabama, precisamente nella città di Troy, nel 1940. I suoi genitori erano mezzadri. Per i primi anni della sua vita non ha conosciuto molti bianchi: trascorreva le giornate in aperta campagna, in mezzo agli animali. All’età di sedici anni, tuttavia, qualcosa è cambiato. Forse la sua stessa esistenza. Insieme a fratelli e sorelle si è recato in centro per andare in biblioteca. Giunti là, però, non sono potuti entrare: l’ingresso ai neri non era consentito.
Solo un anno dopo, il giovane Lewis ha conosciuto Rosa Parks, divenuta celebre qualche tempo prima per essersi rifiutata di cedere il posto sull’autobus a un bianco, dando così origine al boicottaggio dei bus a Montgomery, quando gli afroamericani hanno deciso di non viaggiare più a bordo di quei mezzi, sui quali vigeva la segregazione razziale. Una protesta cui ha preso parte anche Martin Luther King, incontrato per la prima volta nel 1958.
All’università, frequentata nel Tennessee, Lewis ha organizzato dei sit-in e altre manifestazioni studentesche riuscendo ad ottenere la convivenza fra bianchi e neri nelle mense scolastiche.
La marcia su Washington
Insieme a Martin Luther King, nel 1961 è diventato uno dei tredici, storici freedom riders: insieme a gruppi di attivisti di varie etnie, hanno viaggiato sulle linee interstatali del sud per abbattere le barriere e le convinzioni sociali tipiche dei bianchi meridionali, per i quali i posti dovevano essere separati a seconda della razza.
Se vedi qualcosa che non è giusto, equo, imparziale, hai l’obbligo morale di fare qualcosa.
– John Lewis
Due anni dopo, non solo è divenuto presidente dello Student nonviolent coordinating committee (che aveva contribuito a fondare), ma è anche stato fra gli organizzatori della marcia su Washington, i famosi big six dei quali faceva parte anche King. Quel giorno è stato memorabile. Lewis ha parlato per primo, poi King ha pronunciato il suo famosissimo discorso I have a dream. Un sogno che, purtroppo, ancora non si è realizzato.
Il bloody Sunday
Nel 1965, precisamente il 7 marzo, John Lewis è sopravvissuto ad un tragico episodio passato alla storia come bloody Sunday. Ha condotto, insieme all’amico Hosea Williams, oltre seicento attivisti lungo il ponte Edmund Pettus a Selma, in Alabama. La polizia, però, ha reagito in maniera violenta contro i manifestanti, picchiandoli con i manganelli. Lewis ha subìto una frattura del cranio e da quel giorno ha “indossato” le cicatrici quasi come fossero il simbolo di “una battaglia che dura una vita”, come lui stesso ha definito la lotta per il riconoscimento dei diritti degli afroamericani.
Non si può avere paura di parlare e far sentire la propria voce riguardo a qualcosa in cui si crede. Bisogna avere coraggio. Puro coraggio.
– John Lewis
Dopo un periodo a New York, Lewis è volato ad Atlanta, in Georgia, che poi è rimasta la sua casa fino alla morte. Si è sposato nel 1968 con Lillian Miles, conosciuta ad una festa di Capodanno, dalla quale ha avuto un figlio: John-Miles. Lei è morta proprio il 31 dicembre, del 2012.
La carriera politica in Georgia
Il novembre del 1986 è stato un mese fondamentale nella vita del leader, eletto membro della Camera dei rappresentanti per lo stato della Georgia. Ha quindi assunto ufficialmente l’incarico il 3 gennaio del 1987. È stato rieletto ben sedici volte.
Durante la carriera politica, da membro del Partito democratico, non ha visto di buon occhio l’elezione di George W. Bush nel 2000, mentre ha sostenuto la campagna di Obama nel 2008 e paragonato l’attuale presidente Donald Trump a George Wallace, quarantacinquesimo governatore dell’Alabama noto per le sue posizioni segregazioniste e populiste. In vista delle presidenziali di quest’anno, Lewis ha dato il suo appoggio a Joe Biden.
Una battaglia lunga una vita
Ogni anno ha fatto ritorno in Alabama per commemorare la marcia da Selma a Montgomery. Nel 1998 ha rimesso piede, dopo 42 anni, nella libreria dalla quale era stato cacciato da ragazzino. È stato accolto con affetto sia dai neri sia dai bianchi e ha firmato per loro alcune copie del suo libro Walking with the wind: a memoir of the movement. Ha insistito per istituire, nella capitale statunitense Washington, il Museo nazionale della storia e della cultura afroamericana, che ha aperto i battenti il 25 settembre del 2016. Ad Atlanta, nella walk of fame degli attivisti per i diritti civili, ci sono anche le sue impronte.
La malattia
A dicembre del 2019 ha dichiarato di avere un cancro al pancreas al quarto stadio. Una battaglia nuova per lui. Tuttavia, non ha mai smesso di lottare per ciò in cui credeva, tanto da scendere di nuovo in piazza con i dimostranti del movimento Black lives matter, le cui proteste hanno infiammato gli Stati Uniti – e non solo – dopo il brutale assassinio da parte di un poliziotto di George Floyd, afroamericano. Per Lewis è stato come un ritorno al passato, e vedere l’impegno di questi ragazzi lo ha fatto commuovere.
La morte
Il grande leader se n’è andato la notte del 17 luglio, lasciando un enorme vuoto sia nella sua famiglia che nella società statunitense. L’annuncio è arrivato dalla speaker della Camera, Nancy Pelosi, che l’ha ricordato come “uno dei più grandi eroi della storia americana. Un titano del movimento per i diritti civili, la cui bontà, fede e coraggio hanno trasformato un’intera nazione. John Lewis ha dedicato ogni singolo giorno della sua vita al raggiungimento della libertà e della giustizia per tutti”.
Era onorato e rispettato per essere la coscienza del Congresso e un’icona della storia americana, ma per noi era un amato padre e fratello. Ha dedicato tutta la sua vita all’attivismo non violento ed era un protagonista della lotta per la giustizia negli Stati Uniti. Ne sentiremo la mancanza.
– La famiglia di John Lewis
Le reazioni degli americani
Anche Donald Trump ha espresso il proprio cordoglio per la morte di Lewis, ordinando che le bandiere sventolassero a mezz’asta. Gli abitanti di Atlanta con orgoglio hanno dimostrato il proprio affetto nei confronti del rappresentante radunandosi nei pressi di uno dei principali murales della città dove hanno depositato fiori, palloncini, striscioni e candele.
Molti chiedono che l’Edmund Pettus bridge venga rinominato in onore di un uomo che ha sacrificato se stesso per gli altri, un uomo che non ha mai smesso di perseguire i suoi obiettivi, le cui gesta non verranno mai dimenticate, il cui sorriso rivivrà in quello dei giovani afroamericani che da lui hanno ricevuto il testimone.
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