Arriva anche in Italia una proposta di legge per il reato di ecocidio. Jojo Mehta, fondatrice di Stop ecocide International, spiega perché è essenziale.
- L’ecocidio è il danneggiamento diffuso, grave o sistematico degli ecosistemi.
- Stop ecocide international è al lavoro per introdurre questo reato sia nello Statuto di Roma, sia nelle legislazioni dei singoli stati.
- Abbiamo intervistato Jojo Mehta e Dani Spizzichino, responsabili rispettivamente di Stop ecocide international e Stop ecocidio Italia.
L’obiettivo finale è quello di emendare lo Statuto di Roma che regola il lavoro della Corte penale internazionale, per introdurre il concetto di ecocidio. In questo modo, il reato di deliberata distruzione degli ecosistemi sarebbe soggetto a tutti i limiti che riguardano gli altri crimini internazionali. Oltre al fatto che potrebbe essere un svolta nel mondo di intendere il rapporto tra esseri umani e natura, l’idea che i danni ambientali possano essere arginati ricorrendo alle leggi internazionali non è nuova: la stessa Convezione sul genocidio delle Nazioni Unite proibisce “di sottoporre deliberatamente” un gruppo aggredito “a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica” e questo potrebbe includere – perché no? – anche la devastazioni degli ecosistemi. L’organizzazione non profit Stop ecocide international, guidata da Jojo Mehta, sta provando però anche a introdurre il reato di ecocidio nelle legislazioni di singoli stati. Ora, in collaborazione con la costola italiana Stop ecocidio e con l’Alleanza verdi sinistra, anche al Parlamento italiano è stata presentata una proposta di legge firmata da Filiberto Zaratti.
Cosa significa ecocidio: la definizione
Un panel di esperti messo insieme nel 2021 da Stop ecocide international ha elaborato una definizione di ecocidio: “atti illeciti o arbitrari commessi con la consapevolezza che esiste una sostanziale probabilità che tali atti causino un danno grave e diffuso o a lungo termine all’ambiente o a un ecosistema”. La proposta utilizza proprio tale definizione e prevede pene carcerarie da 12 a 20 anni, anche per reati commessi all’estero, con la possibilità di sospensione della pena in caso di risarcimento integrale del danno. Un intervento che cerca di porre un freno a crimini odiosi e sempre più frequenti come avvelenamento di falde acquifere ed ecosistemi, traffico illegale di specie protette, bracconaggio, land grabbing e molto altro.
Secondo Jojo Mehta, fondatrice di Stop ecocide international presente alla Camera nel giorno della presentazione della proposta, “una legge sull’ecocidio avrebbe il potere di rafforzare le normative ambientali esistenti e di spostare la nostra mentalità collettiva verso un rispetto più profondo per il mondo vivente. Il dialogo globale su questo tema sta crescendo, diverse nazioni stanno già esplorando legislazioni simili. L’urgenza è palpabile. Questa non è solo una questione politica, è una questione di sopravvivenza per la nostra specie e per milioni di altre. Confidiamo che l’Italia possa essere dalla parte giusta della storia”.
L’intervista di LifeGate a Jojo Mehta e Dani Spizzichino
Abbiamo incontrato Jojo Mehta e Dani Spizzichino, responsabile di Stop ecocidio Italia, per farci raccontare le ragioni della loro campagna.
Perché è utile intervenire a livello nazionale, quando i reati ambientali sono per definizione i reati più transnazionali che ci siano?
J.M.: Effettivamente avevamo impostato la discussione sull’ecocidio a livello internazionale. All’inizio pensavamo che sarebbe stato una distrazione parlarne a livello domestico e invece è successo che, mentre il dibattito cresceva a livello internazionale, questo influenzava alcuni governi e alcuni parlamenti nazionali, li spingeva a parlarne a livello locale. E più paesi ne parlano, più questo rafforza il dibattito globale…
Praticamente stiamo vedendo un fenomeno di rafforzamento reciproco.
J.M.: Sì, diciamo che serve l’esempio di alcuni paesi per arrivare poi a una concertazione a livello globale. D’altronde è sempre così: nessuno vuole essere la prima persona ad alzarsi da tavola…
C’è da qualche tempo ormai, grazie a voi, una definizione precisa di quello che è ecocidio: in che modo questo aiuta il discorso che state portando avanti?
D.S: Sicuramente aiuta. È una definizione molto semplice e, rispetto ad altre che sono state utilizzate precedentemente, ha uno scopo “eco-centrico”: definisce i reati ambientali rispetto ai danni all’ambiente in sé, senza quindi occuparsi (se non trasversalmente) dei danni agli esseri umani. È una definizione che aiuta a fare chiarezza e può consentire un raccordo tra vari livelli di governo, su scala nazionale, di Unione europea o internazionale.
Si dice spesso che su alcune tematiche i cittadini arrivano prima, o sono più preparati, della politica. Anche in questo caso è così?
J.M.: È una questione interessante, perché abbiamo commissionato un sondaggio in Inghilterra l’anno scorso: certo, si tratta di un solo paese, però parliamo di una nazione dal senso civico abbastanza sviluppato, giusto? Bene, quello che abbiamo riscontrato è che quasi il 53 per cento del pubblico, la prima volta che ha sentito di questa iniziativa, si è dichiarato d’accordo con l’introduzione del reato di ecocidio. A noi sembrava una percentuale bassa, ma chi ha realizzato il sondaggio ci ha detto: “Siete pazzi!”. Sembra che normalmente avere una maggioranza al primo tentativo sia una cosa molto molto difficile!
Detto questo, c’è ancora tante gente comune non ha mai sentito la parola ecocidio e dobbiamo dire, dall’altro lato, che il discorso è molto avanzato a livello diplomatico e politico. Quindi, forse, questo è un raro caso in cui le istituzioni spingono il pubblico.
Uno dei problemi più grandi per normare i reati ambientali è che siamo in un contesto mutevole: ogni nuova scoperta scientifica porta con sé anche il rischio di nuovi abusi, nuove sostanze chimiche, nuove attività inquinanti e così via. Non c’è la possibilità che una legge che normi l’ecocidio nasca già vecchia?
J.M.: Una delle cose più importanti è che la proposta italiana, così come tutte le altre, si basa sulle conseguenze di un’azione, a prescindere da quale azione sia. La proposta di legge non dice: “Non devi fare questa cosa particolare”. Non c’è un impianto accusatorio verso settori o aziende o tecniche in particolare: si dice solamente che un certo livello di danni quantificati non può essere tollerato. A prescindere dal modo in cui viene perpetrato. Questo è importante perché noi non sappiamo da quest’anno all’anno prossimo se ci sarà un’altra attività che potrà essere molto più distruttiva.
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