Il kakapo è un uccello unico, endemico della Nuova Zelanda.
L’arrivo degli uomini ha spinto la specie sull’orlo dell’estinzione.
Un duro e lungo lavoro di conservazione ha fatto tornare in auge la sua popolazione.
Tra la fitta boscaglia della Nuova Zelanda, un buffo uccello è tornato a popolare le sue terre dopo aver rischiato l’estinzione. Questa verde e paffuta creatura è il kakapo, un pappagallo notturno non volatore e, probabilmente, il più strano del mondo.
Le caratteristiche del kakapo
Prima di addentrarci nelle sua storia, conosciamolo meglio. Il kakapo (Strigops habroptila) è un uccelloendemico della Nuova Zelanda. Le uniche caratteristiche che lo collegano ai “normali” pappagalli sono il becco ricurvo, la zigodattila (ovvero due dita in avanti e due indietro) e la longevità – ha un’aspettativa di oltre 60 anni. Le altre sue caratteriste fanno sì che sia veramente il più strano sulla Terra.
I primi coloni lo chiamarono “pappagallo gufo” per la conformazione del viso tipica dei gufi: becco largo e disco facciale (la faccia rotonda per capirci). I maori invece lo chiamarono kākā pō, ovvero pappagallo notturno. Ebbene sì, è l’unico pappagallo notturno esistente: durante il giorno si nasconde a terra o sulle cime degli alberi ed esce di notte, forte della sua straordinaria abilità nella visione notturna. Questa palla di piume verdi si muove goffamente saltellando a terra, perché il kakapo è sia il pappagallo più pesante, sia l’unico a non volare. Migliaia di anni senza un reale predatore hanno fatto sì che il volo diventasse inutile, così come per il suo connazionale kiwi (Apteryx); anche i forti venti hanno contribuito a far perdere completamente la capacità di volare. Per questo i loro corpi sono diventati sempre più pesanti, tanto da raggiungere circa i cinque chili.
Perché il kakapo era sull’orlo dell’estinzione
Cosa avrà spinto questo straordinario e unico uccello sull’orlo dell’estinzione? Un suo comportamento, anche in questo caso molto particolare, è il freezing: ciò significa che, in una situazione di pericolo e quando si sente minacciato, si immobilizza spiaccicato al terreno, con le ali aperte per confondersi con la vegetazione. Questo poteva essere utile finché i predatori erano esclusivamente volanti, perché lo rendeva invisibile dall’alto. Tuttavia, l’evoluzione dimentica sempre un passaggio chiave: l’uomo. L’uomo in pochi anni può distruggere milioni di anni di adattamento.
I primi polinesiani che quasi mille anni fa colonizzarono la Nuova Zelanda portarono con sé cani, gatti e topi. A quel punto, tutte le caratteristiche uniche del kakapo gli si rivoltarono contro. In più, il suo forte odore e i suoi canti d’amore udibili fino a 5 chilometri di distanza lo resero una preda troppo facile. Se cani, gatti e topi depredavano nidi e piccoli, i maori realizzavano ornamenti con le sue ossa e mantelli con le sue penne (per alcuni mantelli ne sono state usate più di diecimila).
Ma non finisce qui, anzi, intorno al 1830 iniziarono ad arrivare i coloni europei, insieme ad altri predatori come furetti, donnole e opossum. Come se non bastasse, gli europei convertirono molti habitat del kakapo in pascoli e terreni agricoli. Catturarono questi uccelli per esporli come “curiosità scientifica” all’interno di zoo e musei (anche in collezioni private), oppure considerandoli come animali domestici. George Grey, governatore della colonia britannica, definiva il kakapo come “più simile a un cane che a un uccello”. Alla fine del diciannovesimo secolo osservare un kakapo in natura divenne pressoché impossibile. Verso il 1970 si pensava che fosse già estinto.
Dal baratro al sovraffollamento
Questa storia però ha un lieto fine. All’inizio del diciannovesimo secolo fu messa in atto qualche misura di conservazione: una piccola popolazione di kakapo fu spostata su Resolution island per proteggerla, però arrivarono anche gli ermellini che in due anni la distrussero completamente. Nel 1949 partirono decine di esplorazioni per trovare i kakapo. Ne trovarono solo uno, maschio. Il kakapo era (forse) estinto.
Miracolosamente nel 1977 furono ritrovati circa 200 individui, i quali fecero, più o meno, la stessa fine di quelli trasferiti sull’isola, anche se in questo caso furono i gatti a mangiarli. La popolazione diminuiva del 56 per cento ogni anno, fino a che si decise di istituire il Kakapo recovery plan per cercare di salvare gli ultimi 65 individui rimasti. Furono trasferiti su tre differenti isole – questa volta controllando che fossero veramente predator free – dove iniziò il programma di recupero. Queste isole nel 1986 divennero una riserva naturale sotto il controllo del Wildlife service che ne impedì l’accesso anche ai membri della tribù Ngai Tahu, principali abitanti di queste terre.
Successivamente, nel 1996, il governo firmò un accordo con i maori, assegnando loro un ruolo chiave nella protezione della terra e dei kakapo. Si istituì così un gruppo di recupero del kakapo con rappresentanze sia maori che governative. Questa collaborazione ha prodotto un miracolo: la popolazione di kakapo è quadruplicata. Si è passati dalle poche decine negli anni ’90 ai 247 odierni, considerando che nel 2019 se ne contavano 147. Addirittura ora si parla di sovraffollamento, tant’è che alcuni sono stati trasferiti e reintrodotti in una nuova area a Sanctuary Mountain.
A detta di Andrew Digby, consulente scientifico del programma di recupero del kakapo, la scelta di proteggere così pochi individui è “una terapia intensiva”. “La protezione del kakapo necessita di un lavoro costante, 24 ore se 24”, spiega. Ripopolare questa specie è stato un duro lavoro. Principalmente per la sua biologia: i maschi raggiungono la maturità sessuale a cinque anni mentre le femmine tra i nove e gli undici. A complicare la situazione, le femmine depongono le uova solo ogni due o cinque anni, in concomitanza con la produzione di frutti del rimu, una conifera endemica della Nuova Zelanda con cui possono nutrire la prole. Inoltre, meno del 50 per cento delle uova deposte sono fertili a causa dell’alta consanguineità (pochi individui, pochi geni diversi, uova non fertili). Ad esempio, nel 2016, su 122 uova deposte solo 34 pulcini sono sopravvissuti.
Il boom delle nascite di kakapo
Nel 2019, il numero di nascite di kakapoha battuto ogni record. Le femmine hanno deposto ben 252 uova in totale, rispetto alle 122 del 2016. Di queste, 85 si sono schiuse ma solo 71 pulcini sono sopravvissuti. Uno dei punti chiave è stata l’annata buona del rimu. A Codfish island (una delle tre isole) ha fiorito dopo ben 17 anni mentre, in generale, il raccolto è stato il più prolifico degli ultimi 50 anni.
Per quanto i frutti abbiano giocato un ruolo importantissimo, non è stato solo merito loro, perché i ricercatori sono stati aiutati principalmente dalla tecnologia. Piccoli trasmettitori, montati come zaini sul dorso degli uccelli, hanno permesso di monitorare gli spostamenti, l’attività e l’accoppiamento degli individui. Altri sensori erano posti all’entrata dei nidi per controllare i movimenti delle femmine e la deposizione delle uova, poi prelevate e incubate artificialmente sostituendole con uova “smart” che si muovevano ed emettevano rumori, così da tenere pronta la madre al ritorno dei piccoli.
Infine, per combattere il problema dell’inbreeding (consanguineità), a partire dal 2015 i ricercatori hanno intrapreso il sequenziamento del genoma dei kakapo con l’obiettivo di completare l’intera mappa genetica della popolazione. Conoscere la genetica degli individui ha reso più semplice diversificare l’inseminazione artificiale. Così, una volta raccolto lo sperma dei maschi geneticamente importanti, appositi droni (chiamati corrieri cloacali) nell’arco di pochi minuti trasportavano lo sperma alle femmine in attesa dell’inseminazione. La velocità e il tempo di inseminazione sono infatti il fattore determinante per la buona riuscita della riproduzione.
Questo uccello così carismatico, probabilmente, ai più è poco conosciuto. Qualcuno, forse, avrà visto il documentario del 2009 della Bbc in cui Sirocco, un kakapo maschio, tentò di riprodursi con la testa di uno zoologo. Questa buffa scena diede un’incredibile visibilità alla specie, tanto che la pagina Facebook di Sirocco ha raggiunto i 240mila follower. Insomma, innamorarsi del kakapo viene spontaneo. E ora finalmente, anche se sembrava impossibile, la popolazione è tornata a sorridere.
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