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Kalidou Koulibaly. Il razzismo negli stadi e i giocatori che si sono ribellati alle offese
Due giornate di squalifica alla curva Nord della Lazio, una ai due distinti. È questa la sanzione inflitta questo pomeriggio dal giudice sportivo dopo i cori razzisti rivolti da una parte dei tifosi a Kalidou Koulibaly in Lazio-Napoli. La curva sconterà un turno per una precedente squalifica, che non era scattata a causa della sospensiva,
Due giornate di squalifica alla curva Nord della Lazio, una ai due distinti. È questa la sanzione inflitta questo pomeriggio dal giudice sportivo dopo i cori razzisti rivolti da una parte dei tifosi a Kalidou Koulibaly in Lazio-Napoli. La curva sconterà un turno per una precedente squalifica, che non era scattata a causa della sospensiva, e una seconda giornata per i fatti dell’Olimpico.
L’arbitro Irrati ha sospeso la partita per quattro minuti
L’altra sera, allo stadio Olimpico di Roma, ululati e “buu” hanno bersagliato per tutta la partita il calciatore senegalese del Napoli Kalidou Koulibaly.
L’arbitro pistoiese Massimiliano Irrati, 36 anni, di professione avvocato (e nel 2013 premiato come fischietto d’oro della serie B) contrariamente ad alcuni suoi più pavidi predecessori, ha interrotto la partita per quattro minuti, dicharandosi pronto a sospenderla se gli insulti non fossero cessati. In ogni caso, la decisione definitiva della sospensione sarebbe spettata al questore ma in questi casi i responsabili cercano sempre di far proseguire il gioco nel timore che la sospensione del match possa innescare problemi di ordine pubblico. Solita scusa per lasciar passare impuniti i cori razzisti.
Kalidou Koulibaly ha incassato gli insulti, ha continuato a giocare e ha concluso la partita senza alcun gesto di protesta. Forse un po’ gli insulti lo hanno toccato, perché s’è fatto ammonire. Alla fine della partita, però, ha regalato la sua maglia di gioco a un ragazzino laziale. Il gesto, fissato in una immagine che sta facendo il giro sui social network, ha concluso una serata difficile per il calciatore azzurro. Una bella risposta a insulti retrogradi, degradanti, a volte sentiti negli stadi italiani.
Da Omolade a Eto’o fino a Kalidou Koulibaly, i precedenti di razzismo allo stadio
Il caso Koulibaly è solo l’ultimo di una serie di eclatanti e imbarazzanti reazioni.
Nel 2001 Akeem Omolade, giovane attaccante nigeriano del Treviso, viene fischiato dai tifosi della propria squadra.
Nella seguente partita interna, contro il Genoa il 5 giugno 2001, calciatori e tecnico del Treviso prendono le distanze da quei fischi scendendo in campo con il volto tinto di nero, in segno di solidarietà nei confronti del compagno. Un messaggio chiaro: “Non esistono differenze”. In quella partita, Omolade entra dalla panchina e segna un gol, la migliore risposta ai razzisti.
Caso simbolo è stato quello che ha visto protagonista Marc Andrè Zoro, terzino ivoriano del Messina.
Dieci anni fa, durante il match di campionato fra la squadra siciliana e l’Inter, i tifosi interisti lo bersagliano di ululati e “buu”. Il giocatore chiede all’arbitro senese Matteo Trefoloni di sospendere la partita. Il direttore di gara risponde che non può farci nulla. Allora Zoro prende il pallone sotto il braccio avviandosi all’uscita del campo. Viene poi fatto rientrare da compagni e colleghi della squadra avversaria, tra cui Adriano. Zoro era stato insultato anche a Roma dai tifosi laziali e, anche in quella occasione, l’arbitro bolognese Paolo Dondarini si era dichiarato incapace di intervenire.
Nel fine partita di Chievo-Inter del dicembre 2009 Mario Balotelli parla a Sky Sport: “Voglio dire una cosa: ogni volta che vengo qui a Verona mi rendo conto che questo pubblico mi fa sempre più schifo”.
Motivo dello sfogo i cori razzisti contro di lui, per tutta la partita. La polemica è continuata ben oltre il 90′: dopo lo scudetto d’inverno, si è infatti aperto per l’Inter il caso-Balotelli sfociato oggi nella condanna a una multa di 7.000 al giocatore per gli appalusi rivolti al pubblico del Chievo e di un’altra multa all’Inter (15.000 euro) per cori razzisti all’indirizzo di un calciatore della squadra avversaria. L’attaccante ha pubblicato il giorno dopo sul suo sito un ulteriore comunicato: “Non mi scuso con chi mi ha insultato – si legge -, ma con quella parte di pubblico che non c’entrava niente e che ho offeso esprimendomi male perché esasperato dai ‘buu’ durante la partita e mentre uscivo dal campo. Avrei dovuto precisare che quei tifosi che mi hanno fatto i ‘buu’ a Verona, così come in altri stadi d’Italia, mi fanno schifo. Perché invece di godersi sportivamente una partita non pensano ad altro che a insultarmi. Sono stanco di sentire slogan e ‘buu’ razzisti anche quando in campo mi comporto bene. E non accade solo a me. A Verona mi sono vergognato dei miei tifosi quando ho sentito i ‘buu’ contro Luciano del Chievo. Mi ha dato molto dispiacere, è una vergogna che deve finire”.
Ha perso un paio di volte la pazienza anche Samuel Eto’o.
A Cagliari il 17 ottobre 2010, al terzo minuto della sfida tra i rossoblù e i nerazzurri, una parte dei tifosi cagliaritani comincia a bersagliare il calciatore interista con “buu” razzisti. L’arbitro Tagliavento chiama in mezzo al campo i capitani, poi chiede al quarto uomo di far intervenire lo speaker dello stadio. “In caso di ulteriori cori razzisti la partita sarà sospesa”, dice. Il camerunense scuote la testa. Poi al 39’ segna un gol capolavoro e si prende la rivincita rispondendo ai suoi detrattori con un’ironica danza da scimmia. Il Cagliari è stato multato di 25.000 euro. Non era la prima volta che Eto’o reagiva mimando il gesto del gorilla contro gli insulti razzisti. “Mi trattano come una scimmia e ho celebrato il gol come una scimmia”, aveva detto il 13 febbraio 2005 dopo una rete allo stadio della Romareda, in risposta ai tifosi del Real Saragozza.
13 agosto 2012, gli ultras del Varese fischiano un loro giocatore, Giulio Ebagua.
L’attaccante del Varese, nigeriano con cittadinanza italiana, mostra il dito medio ai suoi tifosi, che lo fischiano e fanno partire i “buu” dopo un suo gol allo stadio Ossola in occasione della gara valida per il 2° turno di Coppa Italia tra i biancorossi e la formazione dilettante del Pontisola.
Tre anni fa, a Busto Arsizio, dopo una ventina di minuti di gioco dell’amichevole tra la Pro Patria e il Milan, il calciatore ghanese del Milan Kevin Prince Boateng, ripetutamente insultato e bersagliato dai “buu” di un gruppo di tifosi locali, scaglia il pallone contro la balaustra delle tribune e abbandona il campo.
Il capitano del Milan Ambrosini fa rientrare la squadra rossonera dopo che l’arbitro bolognese Benassi dice di non essere in grado di prendere una decisione. Il tribunale di Busto Arsizio condanna poi sei tifosi a quaranta giorni di reclusione per “la inequivocabile finalità di discriminazione razziale” degli insulti a Boateng e ad altri tre giocatori di colore del Milan (Muntari, Emanuelson e Niang). In seguito la Corte d’Appello di Milano cancella la sentenza perché “il fatto non sussiste”.
A Genova la reazione di Amadou Diawara il 13 dicembre 2015 s’è svolta nella convulsa sequenza che gli è valsa il cartellino rosso dopo il gol-vittoria di Rossettini.
“Ero felicissimo per il gol. Dopo aver abbracciato Rossettini ho semplicemente mimato la gestualità del gorilla come reazione a degli ululati che avevo sentito provenire da alcuni spettatori dietro la porta di Perin. Non è stato assolutamente un gesto volgare o offensivo, ma una semplice risposta a quella che ho reputato una mancanza di rispetto nei miei confronti. Sono molto dispiaciuto che il mio gesto sia stato equivocato”. L’arbitro ha però punito la provocazione d’andare a esultare proprio sotto la gradinata genoana. È nato un vero e proprio caso, sull’espulsione del giocatore della Guinea: i pochi fotogrammi mostrati da Sky fanno intravedere Diawara che si batte il petto a due mani sotto la curva del Genoa, mentre negli highlights di Lega Serie A si sentono in modo distinto gli ululati subito dopo il gol di Rossettini.
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