Tornano le puntate speciali del podcast condotto da Giovanni Mori, registrate nelle Oasi Lavazza ¡Tierra! Si parla di benessere mentale.
Karen Guggenheim. Non è possibile trovare la felicità in un ambiente malsano
Abbiamo chiesto a Karen Guggenheim, organizzatrice del World happiness summit, qual è il legame fra la salute del Pianeta e la nostra felicità.
La pandemia ci ha insegnato l’importanza delle relazioni sociali e del contatto con la natura, elementi che devono essere preservati per assicurarci la salute, e che contribuiscono largamente alla nostra felicità. Ma come la si misura? Il più noto strumento di monitoraggio è il World happiness report che coinvolge oltre 150 paesi. A marzo 2021 è stato pubblicato anche il primo rapporto dell’associazione Ricerca felicità, che si propone finalmente di approfondire la situazione italiana. Resta però un ulteriore quesito. Che cos’è davvero la felicità?
Lo abbiamo domandato a Karen Guggenheim, fondatrice dell’organizzazione Wohasu che organizza ogni anno il World happiness summit, un evento che riunisce i massimi esperti nell’ambito della psicologia, del benessere, della mindfulness, della sostenibilità e dell’economia con l’obiettivo di aiutare le persone a essere più felici. Come ci dirà Guggenheim, l’obiettivo non è affatto essere sempre felici, perché non è possibile. Si tratta piuttosto di imparare ad accettare e superare i momenti negativi dell’esistenza, riuscendo così ad apprezzare ogni momento della propria vita.
Com’è cambiato il concetto di felicità con la pandemia?
Penso che la pandemia abbia portato il concetto di felicità in primo piano. È buffo perché pensavo che, annunciando il prossimo World happiness summit che si terrà nel marzo 2022, ci sarebbe stata qualche resistenza nei confronti della parola felicità, ma in realtà è accaduto proprio l’opposto. Le persone vogliono davvero essere felici, ora più che mai.
È importante specificare che, quando parliamo di felicità, non ci riferiamo unicamente al piacere, ma piuttosto abbracciamo termini come significato, scopo, coinvolgimento, relazioni e connessioni. Credo che la pandemia, e il lockdown specialmente, abbiano messo in luce l’importanza delle connessioni sociali, della compagnia di altre persone, cose che forse prima davamo per scontate. Ha davvero messo in discussione il modo in cui le persone vogliono vivere la loro vita, cioè dandole un significato e uno scopo.
Come si misura la felicità?
Ci sono diversi strumenti di misurazione della felicità. Quelli impiegati da Gallup per redigere il World happiness report misurano il grado di soddisfazione per la propria vita, la fiducia nelle istituzioni, nei governi, la capacità di guardare al futuro. Sono indicatori che riguardano il singolo individuo. Io penso che si debba guardare anche al contesto culturale, perché non tutte le società definiscono la felicità nello stesso modo. Per esempio, in Occidente corrisponde maggiormente al piacere, mentre nei paesi orientali ha più a che vedere con l’appagamento e la serenità.
Una delle domande poste agli intervistati per redigere il report riguardava il loro grado di eccitazione, di entusiasmo. In alcune culture questo sentimento è positivo, ma in altre è negativo. Per questo penso sia importante comprendere il contesto culturale di riferimento. Gli strumenti di misurazione sono importanti per avviare la discussione, per misurare il grado di benessere collettivo, ma poi bisogna andare più nello specifico.
Si sente parlare sempre più spesso di “positività tossica”. Che cosa significa?
È un concetto che mi rende un po’ perplessa. È l’urgenza di essere sempre felici, che va contro all’idea stessa di felicità e di vita. Non si può provare sempre piacere, la vita non è così. Per me, è più importante il modo in cui ci si approccia alla vita. È fatta di sfide, di momenti meravigliosi, di periodi noiosi o eccitanti. In che modo ci si può approcciare alla vita per apprezzare ciò che si ha e ottenere il massimo da ogni esperienza?
Inoltre, si dimentica l’altro lato della medaglia. Perché non parlare della negatività tossica? Dell’essere sempre negativi? Neanche così si ha un vero senso della realtà. La realtà è fatta sia di aspetti negativi che di positivi. Il modo in cui la interpretiamo è soggettivo.
Persino con un evento terribile come la pandemia, esistono modi diversi di confrontarsi con qualcosa che va al di là del proprio controllo in una maniera più serena. Questo non significa dire “oh, che bello che c’è il coronavirus”, ma, ora che c’è, guardarlo da un’altra prospettiva: sto passando più tempo con la mia famiglia, ho acquisito maggiore consapevolezza di me stesso, sento più spesso le altre persone.
Penso che la positività tossica travisi quale sia il vero significato di positività. La psicologia non ci aiuta a essere felici tutto il tempo, ma ci insegna come superare la negatività. Abbiamo così tanti pensieri durante il giorno: ciò che conta è quali pensieri decidiamo di prendere in considerazione. I pensieri possono riguardare i nostri problemi, possono essere negativi, tragici, ok, ma sono fuggenti. Se ci fissiamo su un pensiero, finisce per mettere radici e influenzare le nostre emozioni e le nostre azioni.
Molti giovani soffrono di solastalgia, cioè di ansia legata ai cambiamenti climatici. Perché?
Penso che molti giovani soffrano di ansia, punto. L’eco-ansia è solo una delle varie forme. Non ci stiamo prendendo cura del Pianeta, la questione è diventata politica e ci sono stati attacchi nei confronti della scienza, profondamente destabilizzanti.
L’interazione con i social media, inoltre, ha un impatto sull’ansia che i giovani provano, perché garantisce l’immediatezza dell’informazione, si può sapere in tempo reale cosa sta succedendo, e se l’algoritmo filtra soltanto le informazioni negative… La negatività vende, le brutte notizie interessano alle persone. Perciò, gli algoritmi tireranno fuori contenuti sempre più negativi. Se per esempio leggi la notizia di un incendio nella tua via, ti verranno proposti talmente tanti contenuti simili che penserai: “Cavolo, il mondo è in fiamme”.
La nostra salute dipende da quella del Pianeta. Anche la felicità?
È davvero difficile essere felici in un ambiente tossico, che si tratti del posto di lavoro, della propria casa, di una relazione, o del Pianeta. Ci sono delle condizioni che devono favorire la nostra felicità, perché scegliere di essere felici comporta degli sforzi. Come concetto è molto semplice, ma richiede rigore.
Se una persona si trova in ambienti malsani, dove magari l’aria che respira o l’acqua che beve fanno male, tutto questo non può che avere un impatto sulla sua felicità e sul suo benessere, sul benessere dei suoi figli, sulla preoccupazione che quella persona nutre per la sua salute, per quella della sua famiglia e della sua comunità.
Dobbiamo prenderci cura del Pianeta. Non possiamo essere felici nel vuoto, lo siamo all’interno di un sistema in quanto animali sociali e l’ambiente in cui viviamo è parte di questa equazione. Ha davvero un’influenza notevole. Il fatto che stare a contatto con la natura migliori l’umore è stato dimostrato in molti modi. Persino guardare fuori dalla finestra per qualche secondo può aumentare la produttività, figuriamoci uscire all’aria aperta.
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