Drogata e stuprata per anni, Gisèle Pelicot ha trasformato il processo sulle violenze che ha subìto in un j’accuse “a una società machista e patriarcale che banalizza lo stupro”.
Omicidio di Jamal Khashoggi, cinque condanne a morte in Arabia Saudita
Un tribunale saudita ha condannato cinque persone per l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi. Ma solleva il governo da ogni responsabilità.
Cinque cittadini sauditi sono stati condannati a morte per l’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi. Ad annunciarlo è stata la procura generale dell’Arabia Saudita, che ha così concluso un processo che aveva visto inizialmente undici persone sul banco degli imputati. Di queste, tre sono state condannate a pene complessive pari a 25 anni di reclusione. Le altre, invece, sono state assolte.
I giudici: “L’uccisione di Khashoggi non fu premeditata”
Il comunicato del tribunale di Ryad, tuttavia, non può che far discutere: “Siamo giunti alla conclusione – hanno spiegato i giudici – che l’uccisione di Khashoggi non è stata premeditata”. In particolare, non è stato dato alcun seguito alle accuse mosse nei confronti di Saud al-Qahtani braccio destro del principe ereditario Mohammed Ben Salman. Allo stesso modo, il numero due dei servizi segreti sauditi, il generale Ahmed al-Assiri, è stato assolto. Era sospettato di aver coordinato l’assassinio, avvenuto all’interno del consolato saudita di Istanbul nell’ottobre del 2018.
Saudi Arabia’s “trial” and “investigation” of Jamal Khashoggi’s murder has been a complete sham.
Executing five nameless, faceless men without transparency and an investigation into the regime’s responsibility is not justice. It’s just more bloodshed. https://t.co/loXin9B1hO
— Karen Attiah (@KarenAttiah) December 23, 2019
Nello mese di novembre dello stesso anno, dopo giorni di polemiche e pressioni internazionali, l’Arabia Saudita aveva deciso di avviare il processo contro i potenziali responsabili della morte del giornalista del Washington Post. Il 3 gennaio, giorno dell’apertura del processo, la procura di Ryad aveva dato notizia della prima udienza senza specificare l’identità degli imputati.
Il giornalista ucciso nell’ottobre del 2018
Ora la sentenza conferma di fatto l’innocenza delle autorità saudite. Le stesse nei cui confronti Khashoggi indagava da tempo, concentrandosi in particolare sulla deriva autoritaria del principe Ben Salman. E che lo hanno posto nel mirino di un commando di quindici agenti dei servizi sauditi, che gli hanno somministrato un’iniezione letale prima di smembrarne il corpo.
Secondo Ryad, si sarebbe trattato, dunque, di un’azione effettuata da servizi deviati. Una ricostruzione già da tempo contestata dagli Stati Uniti e dalla Turchia. Quest’ultima, in particolare, ha accusato direttamente Ben Salman di essere il mandante dell’operazione. E per questo ha chiesto l’estradizione di 18 sauditi: domanda alla quale è seguita una risposta negativa da parte di Ryad.
La farsa del processo per l’omicidio Khashoggi: cinque condanne a morte, assolti i due principali imputati tra cui il console generale del consolato di Istanbul…https://t.co/Vzpz3hvsJW
— Riccardo Noury (@RiccardoNoury) December 23, 2019
“Hanno voluto mettere a tacere i testimoni”
Anche le ong hanno reagito in modo critico di fronte alla sentenza: “Essa serve solo a dare un colpo di spugna e non giova né alla giustizia, né alla verità attesa dai familiari di Khashoggi”, ha commentato Amnesty International. Mentre il segretario generale di Reporter senza frontiere, Christophe Deloire, ha affermato che il processo “non ha rispettato i principi giuridici universalmente riconosciuti” e che l’unico obiettivo della sentenza “è di mettere a tacere per sempre i testimoni”.
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