Il paese del Caucaso punta su eolico, solare e idroelettrico. Ma il legame con il petrolio è ancora forte. Quali progetti ci sono nel cassetto e che ruolo gioca l’Europa.
La storia di un villaggio in Kirghizistan che vorrebbe abbandonare il carbone
La storia di un villaggio di minatori e di come potrebbe trasformarsi in un esempio di riconversione sostenibile. Parliamo di Jyrgalan, in Kirghizistan.
Jyrgalan era un villaggio vivo e operoso nato intorno a una miniera di carbone nei tempi in cui il Kirghizistan era ancora una repubblica sovietica. Adagiato a 2.500 metri di altitudine nella vallata che prende il nome dal fiume che vi scorre, circondato da montagne con boschi e praterie, si trova a pochi chilometri dal confine con il Kazakistan, nell’angolo nordorientale del Paese. Quando la domanda di carbone è crollata a seguito della dissoluzione dell’Unione Sovietica, le opportunità hanno iniziato a scarseggiare e la popolazione ha cercato lavoro altrove. Chi è rimasto, oggi circa mille persone, si dedica per lo più alla vita rurale, all’allevamento di mucche, cavalli o pecore. Solo sporadicamente qualcuno estrae ancora il carbone da utilizzare per riscaldare le case nei dintorni durante i rigidi inverni kirghizi.
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Il declino del carbone in Kirghizistan
Nei primi anni Novanta è venuto meno il sistema centralizzato di produzione controllato da Mosca che garantiva una fornitura di energia conveniente, e allo stesso tempo uno sbocco sicuro per le risorse energetiche e minerarie del Paese. Il Kirghizistan contribuiva allo 0,5 per cento del fabbisogno di carbone e allo 0,8 per cento di quello di energia elettrica a un sistema che operava per il 70 per cento con impianti termoelettrici e per il restante 30 per cento idroelettrici.
Nonostante l’abbondanza di carbone kirghiso, comunque, questo non sembra costituire un vero potenziale per lo sviluppo del Paese: per lo più di piccole dimensioni e a profondità considerevoli in zone montagnose, sono difficili da esplorare e rimangono ancora oggi poco sfruttate. Inoltre la mancanza di infrastrutture rende difficoltoso il trasporto del materiale estratto soprattutto tra nord e sud del Paese, separati da formazioni montuose e per questo storicamente il carbone viene per la maggior parte importato dal vicino Kazakistan.
Sono piuttosto le risorse idriche a costituire la vera ricchezza del Paese, sia per la produzione di energia elettrica sia per l’irrigazione dei campi nazionali e dei Paesi vicini. Secondo l’Associazione dell’idroelettrico con sede a Londra, nel 2017 più del 90 per cento di tutta l’elettricità in Kirghizistan è stata prodotta da impianti idroelettrici, che comunque sfruttano ancora solo il 10 per cento delle risorse potenzialmente disponibili. Il bacino di Toktogul, ad esempio, alimentato dal fiume Naryn che scende dalle montagne dello Tien Shien, produce da solo la maggior parte di questa energia.
Lo sviluppo di nuove centrali idroelettriche e la modernizzazione di impianti già esistenti sono in via di valutazione e potrebbero fare del Kirghizistan un esportatore netto di energia, riducendo non solo la sua dipendenza dal carbone importato, ma anche la tentazione di estrarre carbone dal proprio sottosuolo. In questo modo si potrebbe imboccare un cammino differente, un cammino che porti ad abbandonare definitivamente il carbone e investire nel capitale naturale e nel turismo sostenibile: risorse che possono diventare la vera miniera di questo Paese.
L’ascesa del turismo a Jyrgalan
Torniamo a Jyrgalan, che avevamo lasciato con una miniera di carbone ormai in disuso e una popolazione in calo. Le moltissime case abbandonate e in rovina sono chiara testimonianza del fatto che in passato Jyrgalan aveva un’altra faccia. Ma qualcosa sta cambiando e un nuovo progetto sta facendo rinascere la vallata e attirando turisti stranieri.
“Qualche anno fa non c’era modo di vendere una casa o un terreno a Jyrgalan perché non c’era mercato, oggi al contrario nessuno si sognerebbe di farlo”, spiega Gulmira Primova, direttore esecutivo del progetto turistico Destination Jyrgalan. “Allo stesso modo nel 2014 nessuno credeva nel turismo ma ora sono in molti ad aver capito che è la strada giusta”.
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Tutto è cominciato cinque anni fa a Karakol, il centro principale della regione che si sviluppa intorno al grande lago salato di Ysykköl, destinazione turistica a 60 chilometri da Jyrgalan frequentata per i suoi sanatori di epoca sovietica nonché nodo strategico per esplorare queste zone ancora poco battute. A Karakol, Gulmira e suo marito Emiliy gestivano una pensione, frequentata principalmente da russi e kazaki. Nel 2013 è arrivato un gruppo di appassionati di sci fuori pista e Gulmira tutte le mattine li portava proprio a Jyrgalan, a due ore di macchina.
Era chiaro che questo sistema non era sostenibile, ma Gulmira e Emiliy hanno saputo cogliere l’opportunità: l’anno dopo hanno aperto una guest house a Jyrgalan puntando sul turismo invernale di appassionati sciatori e su quello estivo degli amanti della natura e delle passeggiate.
Quando è iniziato il progetto Gulmira aveva solo alcune stanze e per la cucina si affidava ai vicini, iniziando già a creare le basi per una collaborazione diffusa con altre strutture e per l’associazione che sarebbe nata di lì a poco. Oggi l’associazione coinvolge nove famiglie, o 29 persone, crea un indotto positivo sulle attività locali visto che compra tutto il possibile dai produttori della valle, soprattutto carne, latte, uova e prodotti dell’allevamento, e ha permesso la creazione di nuove figure professionali, dalle guide alpine a quelle a cavallo, dai ristoratori al personale delle guest house.
Lo sviluppo di queste professionalità, così come parte del lavoro di comunicazione, sono stati favoriti dall’agenzia americana per la cooperazione internazionale (Usaid), che ha visto nel business model di Destination Jyrgalan una forma sostenibile di sviluppo di una comunità in declino.
Due modelli di sviluppo a confronto
L’idea del carbone comunque non è stata abbandonata completamente, purtroppo. I politici locali continuano a cercare qualcuno che possa investire nella miniera affinché possa tornare a un livello di produzione elevato. Gli sbocchi non mancherebbero, se si pensa che ad esempio la centrale termica che opera ancor oggi nella capitale Bishkek, e che consuma la maggior parte del fabbisogno di carbone del Kirghizistan, ha sempre funzionato utilizzando combustibile importato dal Kazakistan ma dall’anno scorso i gestori si sono impegnati a utilizzare carbone nazionale.
Già da anni c’è chi auspica proprio lo sviluppo della miniera di Jyrgalan per alimentare la parte nord del Paese e per questo il futuro di questa bella vallata potrebbe essere a rischio, in equilibrio precario tra uno sviluppo pulito e sostenibile o un ritorno all’età (nera) del carbone. Per questo dare un impulso al turismo responsabile e di comunità sarebbe un modo per dare più peso al piatto giusto della bilancia.
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