C’è ancora chi fa la pace: l’accordo storico tra Kirghizistan e Tagikistan

Dopo decenni di dispute, Tagikistan e Kirghizistan hanno trovato una soluzione per porre fine alle discordie territoriali che hanno causato morti, feriti e centinaia di sfollati.

Mentre gli occhi del mondo sono puntati sui colloqui per fermare la guerra in Ucraina, due paesi dell’Asia centrale hanno raggiunto un accordo di pace storico, ponendo fine a una lunga e sanguinosa disputa territoriale e riaprendo valichi di frontiera chiusi da quasi quattro anni.

Lo storico accordo di pace tra Kirghizistan e Tagikistan

Il 13 marzo 2025 il Kirghizistan e il Tagikistan, ex repubbliche sovietiche, hanno sottoscritto un accordo per ridefinire i circa mille chilometri di frontiera comune, contesa per quasi metà della sua lunghezza, e dove negli anni si sono verificati diversi scontri, i più gravi dei quali nel 2021 e 2022, che hanno causato la morte di decine di persone.

La risoluzione ha permesso la riapertura dei valichi di frontiera e il ripristino dei collegamenti stradali, aerei e ferroviari. Ha inoltre comportato importanti concessioni territoriali, come il villaggio di Dostuk – il cui nome significa “amicizia” nella lingua locale – passato dal Kirghizistan al Tagikistan.

“Per quattro o cinque anni non è stato possibile attraversare la frontiera – ha raccontato Kazakov Rustam Ganievich, che vive sul lato tagiko del confine –. Ho fratelli, figli e nipoti che abitano in Kirghizistan. Per tutto questo tempo non siamo più riusciti a vederci. Siamo rimasti in contatto solo per telefono”.

L’accordo è stato siglato a Bishkek, la capitale del Kirghizistan, dal presidente Sadyr Japarov e dal suo omologo tagiko Emomali Rahmon, che dopo anni di tensioni si sono dati una lunga stretta di mano e tre abbracci: un gesto che segna la fine di una disputa risalente all’epoca sovietica, aggravata nel tempo dalla lotta per il controllo delle risorse idriche in un territorio fortemente segnato dalla siccità e dai cambiamenti climatici.

Le cause delle tensioni tra i due paesi asiatici

Le origini del conflitto risalgono al periodo sovietico, quando le autorità di Mosca delinearono i confini amministrativi senza considerare la complessità etnica e geografica di questa regione montuosa. Il crollo dell’Unione Sovietica ha quindi lasciato in eredità enclavi (come il villaggio di Vorukh, enclave tagika in territorio kirghiso) e la necessità di ottenere il controllo su risorse idriche, terre fertili e impianti industriali.

Buona parte delle tensioni negli anni si sono concentrate soprattutto attorno all’uso dei fiumi, canali e bacini artificiali, fondamentali per l’agricoltura e l’allevamento. L’aumento delle temperature, la siccità e il prosciugamento del lago d’Aral causato dalla coltivazione intensiva del cotone durante l’Urss, infatti, hanno reso l’acqua una risorsa estremamente preziosa in questa regione.

Kirghizistan
Le montagne nella regione di Chuy, in Kirghizistan © Azamat Esenaliev / Pexels

Gli scontri nelle zone di confine tra Kirghizistan e Tagikistan

A subire le conseguenze più gravi di queste tensioni sono stati gli abitanti delle zone di confine. Se fino al 2021 gli incidenti per il controllo del territorio erano rimasti di livello medio-basso, nei mesi successivi si sono intensificati, fino ad arrivare ai violenti episodi del settembre 2022, che culminarono in scontri armati, saccheggi e incendi nei villaggi.

Come si legge in un report di Human rights watch, in quell’occasione le tensioni si concentrarono su un tratto di confine di circa 110 chilometri, nella fertile valle di Fergana e nelle zone circostanti, dove si trovano punti strategici per l’accesso ai fiumi che riforniscono d’acqua Batken, capoluogo del distretto sul lato kirghiso, e vaste aree agricole del Tagikistan. I due Paesi schierarono le loro guardie di frontiera, mentre sul lato tagiko entrarono in azione anche l’esercito e le milizie. I combattimenti coinvolsero artiglieria e veicoli corazzati, con il Kirghizistan che fece ricorso anche a droni armati. Secondo Human rights watch, le violenze perpetrate potrebbero configurarsi come crimini di guerra. Solo in quell’occasione si contarono oltre cinquanta morti e centoventi feriti, mentre in Kirghizistan almeno 130mila persone furono costrette a lasciare le proprie case.

Secondo alcuni media indipendenti, nel corso degli anni i morti sarebbero stati circa duecento.

“I civili che vivono nelle aree di confine contese hanno pagato un prezzo altissimo per la condotta spietata delle forze kirghise e tagike durante i combattimenti di settembre 2022 – ha dichiarato Jean-Baptiste Gallopin, ricercatore senior su crisi e conflitti presso Human rights watch -. Le famiglie delle vittime meritano giustizia e risarcimenti”.

Un passo importante verso la stabilità della regione

La firma di questo accordo chiude quindi un capitolo particolarmente delicato e sanguinoso della storia dell’Asia Centrale. Una pace che arriva dopo oltre cento round di negoziati avviati dall’inizio degli anni Duemila, e che si inserisce in un clima di generale miglioramento dei rapporti tra le cinque ex repubbliche sovietiche centroasiatiche.

Il presidente kirghiso Sadyr Japarov e il suo omologo tagiko Emomali Rahmon avevano affrontato le questioni di confine anche in un raro incontro avvenuto lo scorso anno durante un vertice delle Nazioni Unite, alimentando la speranza di un possibile accordo. Poco dopo, i due Paesi si erano impegnati a collaborare per demarcare la frontiera.

Entrambi gli Stati sono membri dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva, un’alleanza militare creata negli anni Novanta e guidata da Mosca. Nel 2022 il Kirghizistan aveva chiesto al presidente russo Vladimir Putin di mediare, visto che le mappe originali e i documenti di archivio che avrebbero potuto fare chiarezza sulla frontiera contesa si trovano a Mosca. Ma la Russia, ormai impegnata nella guerra in Ucraina, non ha avuto un ruolo nell’accordo. Un accordo che, dopo decenni di tensioni e conflitti, rappresenta un passo importante verso la pace e la stabilità nella regione.

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