Il governo del Kosovo doveva introdurre una legge che impone ai serbi nel paese di dotarsi di targhe provvisorie kosovari.
La minoranza serba ha organizzato barricate di protesta, ci sono stati spari e Pristina ha chiuso alcune frontiere.
La legge è stata rinviata come già era successo in passato e i premier dei due paesi si incontreranno il 18 agosto.
Nei giorni scorsi si è riaccesa la tensione in Kosovo. Il governo locale guidato da Albin Kurti aveva annunciato l’introduzione di una normativa che impone ai serbi che entrano nel paese di dotarsi di targhe e documenti di identità provvisori kosovari. Centinaia di serbi residenti in Kosovo, paese mai riconosciuto da Belgrado, sono scesi in strada e hanno eretto barricate. Ci sono stati spari e il governo kosovaro ha chiuso alcune strade di frontiera.
Un’escalation che ha fatto notizia ma che è in realtà ordinaria amministrazione nel paese, dove scaramucce di questo tipo si verificano di frequente. Ora la tensione sembra rientrata e nelle prossime settimane i presidenti di Kosovo e Serbia dovrebbero incontrarsi a Bruxelles.
La guerra delle targhe del Kosovo
Il primo agosto in Kosovo sarebbe dovuta entrare in vigore una normativa che avrebbe vietato l’uso di targhe e documenti serbi nel paese. La conseguenza sarebbe stata il rilascio di targhe e visti temporanei kosovari ma la disposizione non è entrata in vigore a causa delle tensioni esplose in alcune aree del paese.
Tra Serbia e Kosovo i rapporti sono da sempre molto tesi. Belgrado non ha mai riconosciuto l’indipendenza del paese autoproclamata nel 2008, a differenza di un centinaio di stati nel mondo tra cui gli Usa e gran parte dell’Unione Europea. Le tensioni hanno origini più lontane, da quella guerra della fine degli anni Novanta che vide contrapporsi le truppe federali jugoslave e i movimenti per l’indipendenza del Kosovo. Questi ultimi erano riusciti a controllare alcune fette del territorio e a quel punto il presidente serbo Slobodan Milošević diede vita a una campagna di pulizia etnica contro le popolazioni di etnia albanese che portò anche all’intervento militare della Nato nel 1999. Nel giugno di quell’anno venne accolto un piano di pace con allegata risoluzione Onu sull’autonomia del Kosovo, ma gran parte delle disposizioni restarono lettera morta lasciando il paese in una sorta di vuoto politico che non ha mai fatto scemare la disputa serbo-kosovara.
'We won’t give up', Vucic pulls out the map of Kosovo with Serbian flag
Una disputa che di tanto in tanto si riaccende, come ora nel caso delle targhe. In realtà in Serbia è già operativa una legge che vieta l’ingresso con targhe e documenti del Kosovo e proprio per questo il premier kosovaro Kurti ha parlato di norma di reciprocità a proposito di quella che sarebbe dovuta divenire operative nel paese l’1 agosto. Nel settembre scorso stava per entrare in vigore la medesima disposizione, ma come in questi giorni le violenze della minoranza serba e i moniti da Belgrado fecero sì che la legge venne bloccata.
Scaramucce e reazioni internazionali
Diversi camion e automobili serbe nelle scorse ore hanno bloccato le strade che portano verso Belgrado. Vere e proprie barricate per bloccare la circolazione nel paese come forma di protesta per la nuova disposizione sulle targhe. Ci sono stati anche spari e attacchi a cittadini kosovari di etnia albanese e ai loro mezzi di trasporto, mentre il governo di Pristina ha risposto chiudendo i valichi di frontiera di Jarinje e Brnjak ma anche rinviando l’entrata in vigore della nuova legge all’1 settembre, così da far scemare la tensione.
La notizia delle scaramucce ha ricevuto grande eco mediatica, probabilmente per l’effetto-Ucraina che fa sì che le tensioni in suolo europeo e le possibili conseguenti escalation abbiano ora un maggiore occhio di riguardo. Se infatti l’occidente è vicino al Kosovo, la Serbia può contare sull’appoggio della Russia, tanto che in queste ore si sono pronunciate anche figure istituzionali di Mosca come Vyachslav Volodin, presidente della Duma di Stato russa, che ha detto che “la colpa del conflitto al confine serbo-kosovaro è di Washington”. Il presidente serbo Aleksandr Vucic si è fatto vedere in televisione con una cartina del Kosovo coperto dalla bandiera serba, mentre il segretario della Nato Jens Stoltenberg ha dichiarato che “la forza militare della Nato nel Paese (Kfor), sulla base del suo mandato, è pronta a intervenire se la stabilità è compromessa”.
Il timore è insomma di un’escalation del conflitto e che il Kosovo possa diventare un nuovo terreno di scontro tra l’occidente e la Russia. In realtà i fatti di queste ore appartengono alla quotidianità del paese. Le scaramucce, soprattutto nell’area a maggioranza serba settentrionale di Mitrovica, hanno cadenza quasi quotidiana. E per il 18 agosto sarebbe in programma un incontro a Bruxelles tra il premier kosovaro Kurti e quello serbo Vucic, segno che il dialogo tra i due paesi non è stato interrotto dalle tensioni in corso.
L’Aia accusa ufficialmente Netanyahu e Gallant di crimini di guerra a Gaza. Per la prima volta nella storia della Corte si chiede l’arresto di leader occidentali.
Il paese del Caucaso punta su eolico, solare e idroelettrico. Ma il legame con il petrolio è ancora forte. Quali progetti ci sono nel cassetto e che ruolo gioca l’Europa.
Israele a Gaza sta attuando politiche che privano deliberatamente la popolazione delle risorse per vivere. Per il Comitato speciale dell’Onu è genocidio.
La società di contractor accusata di aver torturato i detenuti del carcere di Abu Ghraib è stata condannata a pagare un risarcimento danni di 42 milioni