Umberto Galimberti, l’anima e il cuore

Il mare è la metafora del cuore come la terra lo è dell’anima. Queste sono le parole di Umberto Galimberti: cuore e anima sono due opposti

” Il mare è la metafora del cuore come la terra lo è dell’anima, perché a differenza dell’anima, che
da quando è nata è sempre in cerca di salvezza, nel cuore c’è quella voglia di terre non ancora scoperte che solo il mare può concedere a chi non teme il senza-confine dischiuso da quegli spazi senza meta dove neppure il tempo conosce altra segnalazione se non quella offerta dalla luce e dal buio: la luce di mezzogiorno che cancella tutte le ombre e il buio della notte dove la luna diffonde il suo raggio solo per ingannare con le ombre.

Il senso del mondo si capovolge e l’incalcolabile, che sulla terra incute timore, diventa atmosfera del cuore costretto a non fidarsi né della calma trasognata dell’acqua né del suo burrascoso inabissarsi ed elevarsi, quando la costa è scomparsa e lo spazio e il tempo appaiono nel loro assoluto.

Qui e solo qui, non dietro la siepe dell’ermo colle, appare quanto è spaventoso l’infinito, e con l’infinito quanto è spaventosa la libertà sognata prima che l’ultima catena ci sciogliesse dalla terra, ora che non esiste più terra alcuna, ma solo il più assetato degli elementi, il più affamato, il più pauroso, il più misterioso, il mare”.

Umberto Galimberti, sono sue le righe che avete appena letto (foto di Roberto Serra - Iguana Press/Getty Images)
Umberto Galimberti, sono sue le righe che avete appena letto (foto di Roberto Serra – Iguana Press/Getty Images)

Questa pregnante pagina di Umberto Galimberti soffre, a mio avviso, di una stortura che si radica nella divaricazione anima-cuore. In altri termini, se per anima intendiamo semplicemente il luogo della ragione calcolante e disgiungente (vero-falso, sì-no, efficace-inefficace…), allora essa è l’antitetico per eccellenza del cuore; se essa, invece, si configura come spazio verginale, abisso metafisico delle accelerazioni e delle decelerazioni, del contrarsi e del distendersi dell’esistenza, insomma dell’apertura di senso con cui significare le cose e rinominarle, quindi, non più secondo un’asettica razionalità, ma secondo un Senso ulteriore, allora il cuore altro non è che il pronunciarsi stesso dell’anima rabbiosamente affamata di assoluto, di cose ultime, continuamente alimentata dall’inquietudine che da sempre abita colui che veleggia verso “terre sconosciute”.

Il cuore, dunque, abita l’anima e da essa non si disgiunge, nella misura in cui il pensiero meditante – la razionalità – incontra e accoglie l’affettività in quella suprema sintesi che è l’intelligenza affettiva o emotiva, dove la mente corrobora il cuore e il cuore feconda la mente lungo le inquiete vie che ci conducono al Senso ultimativo dell’esistenza.

 

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